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Rotolare senza freni lungo il pendio della nostra vita: pensieri, parole, dubbi e omissioni ne "Il prodigio" di Fabrizio Sinisi

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Il prodigio
di Fabrizio Sinisi
Mondadori, agosto 2025

pp. 252
€ 19,50 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)


Se potessimo mettere a tavolino, oggi, José Saramago e Samuel Beckett, il risultato sarebbe un prodigio, e non un prodigio a caso, ma quello dell'esordio di Fabrizio Sinisi, giovane drammaturgo italiano, ora anche scrittore. 

Come in Cecità di José Saramago, dove un'epidemia inspiegabile trasforma il mondo e mette a nudo le crepe morali della società, anche in Il prodigio un evento misterioso scuote la normalità e rivela la brutalità e l'ipocrisia dell'animo umano. Al posto della perdita collettiva della vista, qui c'è la comparsa di un volto misterioso nei cieli di una importante città italiana. Il Volto, così come verrà ribattezzato, è un'immagine impossibile da ignorare e diventa subito oggetto di interpretazioni contrastanti, tra paura, speranza, miracoli e fanatismo:

Siamo in un tempo in cui la gente si sveglia la mattina, apre la telecamera del telefono e ci vive dentro tutto il giorno fino a dimenticarsi che fuori c'è il mondo. (p. 17)

A viverne le conseguenze in prima persona è Don Luca, sacerdote quarantenne, brillante e mediatico, abituato a muoversi con sicurezza tra fede e visibilità pubblica. La sua vita privata, però, è segnata da un amore malato e irrisolto per Marta, una giovane fragile e tormentata. Mentre la folla si divide tra devoti e scettici, e le strade si riempiono di pellegrini e nuovi profeti, Don Luca si ritrova a fronteggiare una doppia crisi: quella della propria fede e quella di un'intera comunità, che cerca un senso nella propria vita e lo attribuisce a un'ignota figura mistica che la osserva dall'alto.

Lo guardo. Chi l'avrebbe mai detto, mi domando, pensando senza pensare: chi l'avrebbe mai detto che dopo così tanti secoli saremmo tornati con ansia a scrutare il cielo, a decifrare i segni? (p. 24)

Tutti si aspettano che qualcosa accada, ma nulla realmente avviene. C'è infatti una grande attesa in questo romanzo, caratterizzato da capitoli brevissimi, dal richiamo tanto teatrale quanto cinematografico. Seppure in maniera e in ambientazioni differenti, qui come in Aspettando Godot di Samuel Beckett, i protagonisti sono passivamente succubi e ossessivamente affascinati dall'attesa che qualcosa o qualcuno agisca per loro. Se nell'opera beckettiana l'azione non arriva concretamente mai, in Sinisi i personaggi sono come schiacciati da un'entità ignota che li sovrasta e, in alcune circostanze, si impossessa della loro volontà, rendendoli burrosi burattini tra le sue mani, randagi feroci pronti a disseminare violenza. Il nonsense, dunque, ha una forte eco in questo senso, e il ritmo incalzante e ben scandito rende questa lettura non solo un punto di riflessione per il lettore, ma un vero e proprio punto di partenza per la nostra stessa esistenza, e ce lo rivela attraverso le perplessità angoscianti e mutilanti del protagonista:

[...] non può essere vero, non deve essere vero, dove andremo a finire se le ossa ricrescono dai loro moncherini e ciò che è morto dalla sera alla mattina torna a pulsare e a sanguinare? La materia stia dov'è e segua le sue leggi, feroci sì ma puntuali, sempre uguali, non suscettibili a eccezioni o capricci del cielo. Se cambia questa certezza, se la materia da un giorno all'altro diventa controvertibile, allora crolla tutto. (p. 68)

Un giorno, avviene un presunto miracolo e le certezze di Don Luca crollano rovinosamente. L'evento, infatti, anziché rafforzare la fede nel ministro di Dio non fa altro che farla vacillare ancor di più. Questo paradosso rivela la forte critica sociale, politica e religiosa che pervade l'intera opera. Il linguaggio crudo e tagliente, i pensieri di desiderio di possessione e controllo maniacale, i riferimenti espliciti al sesso, alla ferocia umana e la condanna dell'ipocrisia clericale, messi in bocca e nei pensieri di un prete rendono l'intero romanzo una vera perla preziosa, non per tutti ma che sicuramente si rivolge a tutti. É una lettura che apparentemente, se non si sa andare oltre le pagine, oltre il testo e oltre il contenuto, può sembrare statica, ritmata sì, ma senza un vero scopo. Se si ha invece la voglia, il tempo e la brillantezza di viverla in prima persona, la rivelazione prodigiosa accade e il lettore può trarne tutti i benefici che ne conseguono.

I personaggi, infine, sono così ben caratterizzati che il lettore li vede e li sente oltre la pagina. Il personaggio di Marta, ad esempio, insopportabilmente fragile e opportunista, è come l'allegoria di un uccellino che chiede salvezza, perché ha un'ala spezzata e non riesce a prendere il volo. Cade, si schianta, cerca di risalire, ma non è facile, se non si sa come farlo. Non ci sono eroi in questa storia, ma solo vittime della propria condizione soffocante e vincolata ai dogmi della società. Prendiamo Laura, la perpetua non perpetua. Una cinquantenne affascinante, devota al Signore, una donna organizzata e attenta, e che pur essendo circondata sempre da bisognosi e credenti, si sente così sola da rendersi schiava al suo dovere di brava e devota fedele. In realtà, però, non è nulla di tutto ciò, perché gli impulsi e la volontà umana sono più forti della fede stessa. Pensiamo anche al Vescovo, o a Folker, o a Enzo: tutti personaggi circolari che ruotano attorno ai protagonisti, ma che in fondo sono come palline continuamente rimbalzanti su un tavolino da ping-pong. Chi siamo realmente? In cosa crediamo, se nemmeno chi dice di sapere tutto, se lo vede, lo riconosce?

Il prodigio è un'opera magistrale, dai tempi di scrittura perfetti, che andrebbe fatta leggere in Chiesa durante la messa e che dovrebbe essere trasmessa in prima serata alla televisione. Così, forse, il Volto ci sorriderebbe.

Carlotta Lini