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La storia spassionata della scoperta di sé, tra erudizione, erotismo ed emicrania: il romanzo inedito di Antonio Alatorre

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L'emicrania
di Antonio Alatorre
Ventanas, settembre 2025

Traduzione di Giulia Bancheri

pp. 104
€ 14 (cartaceo)

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lo sto prendendo il sole in giardino e non sono affatto angosciato, ma assorto, in un'intensa attività interiore. È così che viaggio nell'anno 1937. Sono quel Guillermo che trema sotto le sferzate dell'emicrania, qualche minuto prima dell'inizio della lezione di latino; tuttavia non mi sento angosciato, ma semplicemente affascinato. Se dicessi che il ricordo di quell'emicrania si ravviva con il passare dei secondi, mentirei. Invece succede che l'emicrania continua dentro di me e adesso mi si offre l'opportunità di fare ciò che allora era impossibile: scrutarla, penetrarla, vederne le fattezze, lo strano modo in cui lo zigzagare di argento vivo nasce dal nulla all'improvviso e nel nulla all'improvviso finisce; di colpo si notano estensioni inquietanti; a volte, quasi che il getto di argento vivo fosse eccessivo anche per la voracità del buco nero in cui sprofonda, ci sono come dei riflessi dall'alto verso il basso, e la materia luminosa scorre in su a zigzag, senza perdere il suo tremolio, allo stesso ritmo di prima, simile a un neon acido e liquido che risale i tubi di un alambicco impazzito. (pp. 55-56)

Antonio Alatorre, uno dei filologi, traduttori e intellettuali messicani più influenti del suo tempo, è noto al pubblico più che altro per i suoi saggi, i suoi testi accademici, la sua critica letteraria e per aver fondato numerose riviste letterarie, come Pan e La Revista mexicana de literatura.
Amico di scrittori altrettanto celebri quali José Arreola, Raimondo Lida e Alfonso Reyes, è autore degli insuperabili Los 1001 años de la lengua española (1979) e Ensayos del los siglos (2007), ma risulta poco noto per i suoi lavori di narrativa, se si esclude il suo romanzo picaresco, purtroppo non tradotto in italiano, El brujo de Autlan (2001). 

Ecco, questo breve romanzo incompiuto e finora inedito, pubblicato da Ventanas, ci apre anche a un Alatorre inconsueto, un Alatorre divertente, dalla prosa dolcissima, elegante, con una storia autobiografica che aggancia gli eventi intorno a un perno: la sua perenne emicrania.

Ma facciamo un passetto indietro: il manoscritto de L'emicrania fu scoperto dai tre figli dopo la sua morte, senza finale, come dicono loro stessi nella prefazione. Gli eredi hanno dichiarato che sembrava chiaro che il padre volesse prima o poi pubblicarlo, e così - per rispettarne la volontà - hanno pensato di darlo alle stampe concludendo la storia monca con un piccolo paragrafo scritto da tutti e tre

A parlare è un narratore che si palesa essere lo stesso Alatorre, ma che nel testo prende il nome di Guillermo. L'uomo si trova nel giardino di casa sua, in una giornata assolata lievemente velata dalla nebbia estiva, e l'innescarsi dell'emicrania rappresenta la miccia per lasciar fiorire i ricordi. D'improvviso Guillermo non è più nel giardino, ma in convento, all'età di quindici anni, una sorta di collegio dove studiava per intraprendere la vita ecclesiastica. Insomma, Guillermo/Alatorre era destinato a diventare un prete. 

Grande studioso sin da bambino, si dedica a quella vita con rigore, con piacere persino: adora la musica, il greco, il latino, ama il silenzio del convento, ama la vita semplice con i compagni. Tuttavia, l'emicrania e il risveglio di un altro Guillermo - in una narrazione che procede sdoppiando l'io del narratore - che scalpita, che vuole vivere, vuole divertirsi, che scopre il proprio corpo erotico, scombinano suoi piani.

Nel titolo ho detto "tra erudizione, erotismo ed emicrania": queste mi sembrano le tre e fondamentali del testo. Il fiorire del malessere viene descritto magistralmente come fosse un'ameba fluorescente che si muove a zigzag a margine dell'occhio sinistro e che il protagonista tenta in tutti i modi di imbrigliare, di definire, di controllare. Ovviamente fallendo. Ma, allo stesso tempo, è la scusa per innescare anche il ricordo, lo slittamento della personalità: sappiamo che Alatorre non diventerà prete, dunque quell'altro sé in qualche momento, e per qualche ragione, ha avuto la meglio.

Qualcuno, anni fa, mi spiegò che ciò di cui avevo sofferto si chiama emicrania. lo gli dissi che emicrania era di sicuro un francesismo (migraine) che significava semplicemente "mal di testa", e lui mi rispose: «Francesismo o meno, quello che ti è capitato durante l'adolescenza si chiama così». E ho anche letto qualche descrizione di quella cosa che conosco per esperienza diretta, e che prende il nome di "emicrania". L'elusività dell'emicrania somiglia a quella dell'innocente ameba cristallina che ho appena strapazzato, e la cui spirale malconcia ora mi fa quasi pena. Queste allucinazioni non durano, sono molto fragili: ti strofini energicamente gli occhi con i pugni e le sposti, le schiacci, le polverizzi. L'emicrania è d'acciaio, un acciaio colorato e rilucente. Ti stropicci gli occhi come un disperato, te li premi con furia, ti copri il viso con le mani, sprofondi nel buio, strizzi le palpebre, facendo smorfie che per fortuna nessuno vede, e lei continua a stillare argento vivo giallo e azzurro, talvolta orlato di un filino di verde bilioso. Il tuo buio e le tue smorfie non sono serviti a niente. Al contrario, ora l'emicrania si presenta più vigorosa di prima, monile perverso su uno sfondo di velluto nero. Malvagia, maledetta, malefica emicrania, saetta viva e pulsante. (p. 43)

Seguendo il suo dolore fisico, mai trattato in modo patetico ma profondamente poetico, ci rendiamo conto che avviene nel corpo e nello spirito del quindicenne una battaglia: seguire la strada che ama o ascoltare quella vocina malefica che suggerisce di deviare il percorso? Guillermo sembra piuttosto sicuro di voler sposare Dio e la fede, ma probabilmente i piani per lui erano altri.

Come rinnegare ciò che avevo per amore di qualcosa di così remoto e così irraggiungibile, soprattutto quando quello che avevo era meraviglioso e sublime? La vita religiosa, ci diceva padre Bernardo, era «il cielo in terra».

Chi baratterebbe diamanti con sassolini? Inoltre io amavo tutto quanto era studio, acquisizione di conoscenze: la storia, da Babilonia e dall'Egitto in poi; la storia naturale; perfino la trigonometria mi divertiva. Amavo il latino di Virgilio e di Orazio, di Cicerone e di Tacito; amavo il greco. (Per conto mio, anche se con l'aiuto del professore, stavo traducendo l'Anabasi di Senofonte dal greco al latino).

Ero il primo della classe e facevo in modo che il distacco tra me e il secondo fosse ben chiaro. Ecco il motivo della lacerazione. C'era l'altro Guillermo, che urlava. Ma la sua lingua mi risultava incomprensibile, perché parlava come un ragazzino dell'ultimo anno delle medie o di prima liceo e diceva: «Al diavolo la sottana! Al diavolo padre Bernardo! Al diavolo i futuri asigmatici e l'eleganza del singulare pro plurali! lo vorrei studiare quello che studiano questi ragazzi. Vorrei essere uno di loro. Uno qualunque, non importa chi: magari quello che faceva la cronaca del gol pazzesco che Casarín aveva rifilato all'Atlante, o uno di quelli che ascoltava il suo commento; quello che mostrava qualcosa dentro una scatola (forse una rana). Vorrei essere come il più disgraziato, come il più scalognato, pur di essere uno di loro: un ragazzo normalissimo». (pp. 67-68)

Nel momento in cui l'altro Guillermo si palesa, si risveglia anche la consapevolezza di avere un corpo, un desiderio sessuale, degli impulsi trattenuti che, per il luogo in cui si trova, sono peccato. Tutto però sembra cospirare per indurlo a cedere: la vista di un compagno nudo, gli orgasmi notturni, il risvegliarsi improvviso del corpo nei momenti inopportuni, come durante la messa, i pensieri sulla vita che potrebbe avere se non dovesse fare quello che fa. 

La prosa, come dicevo, è dolce, elegantissima, colta. Si avverte appieno l'erudizione dell'autore, anche quando parla di sé in modo narrativo. La lacerazione di cui parla, lo sdoppiamento dei suoi desideri, è trattato con grazia, avvolgendosi intorno al nodo del mal di testa, che è croce e delizia

Non avevo mai letto nulla di questo autore e ne sono rimasta davvero impressionata. Un testo bellissimo, avvolgente, confortante in qualche modo.
Lo consiglio vivamente a chi ama la letteratura sudamericana, il sottile modo di trattare l'erotismo in un corpo adolescente, i contrasti tra fede e desiderio.

Deborah D'Addetta