Adelmo che voleva essere Settimo
di Daniele Mencarelli
Mondadori, 2025
pp. 186
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
In una giornata di mercato, nella piazza centrale di un paese indistinto – che
potrebbe essere qualunque paese, in una qualunque
epoca –, una giovane donna racconta a un pubblico incantato e ammutolito la
storia di un bambino che cerca in tutti i modi di diventare un uomo degno.
Il nuovo volume
di Daniele Mencarelli si apre all’insegna di tutti gli stilemi e i tòpoi della
fiaba. Quando nella Pianura Piccola, Evelina dà alla luce il suo settimo
figlio, la minuscola scintilla di delusione provata nel trovarsi davanti un
altro maschietto, come tutti i precedenti, innesca una richiesta inconsueta: il
neonato non dovrà chiamarsi Settimo, proseguendo la tradizione famigliare della
“numerazione” dei neonati, bensì Adelmo. Non sa, la madre amorevole, che questa
scelta segnerà una spaccatura insanabile
tra l’ultimo arrivato e i suoi fratelli: Adelmo è il più piccolo, il più
coccolato, ed è anche l’unico ad avere l’opportunità di studiare invece di
iniziare a lavorare. Tutti i maggiori, soprattutto Primo, ne sono gelosi e lo escludono, sottolineando la sua diversità. E, mentre Adelmo cresce in grazia e
bellezza, si conferma in lui il desiderio
di rinnegare il suo nome, per poter essere
come gli altri, per poter diventare
solo Settimo.
La morte del
padre e la disgregazione della famiglia costituiscono l’innesco del viaggio dell’eroe; la madre, gravemente
malata, gli affida infatti una
importante missione: avventurarsi nei Regni vicini per ritrovare tutti i
fratelli ormai dispersi e riportarli a casa, in modo che lei possa salutarli
un’ultima volta.
Adelmo sfrutta le proprie qualità (educazione, gentilezza, competenza, sensibilità) per entrare in contatto con le persone che incontra, risolvere problemi, tenere sotto controllo la paura, e ogni volta che si trova a farlo cresce un po’.
La mattina seguente si svegliò con una meravigliosa sensazione nel cuore. Era soddisfatto di se stesso e si sentiva più grande: succedeva sempre così quando riusciva a sconfiggere la paura. (p. 55)
Quello che egli compie è un percorso a
ritroso, un conto alla rovescia, letteralmente, dal sesto fratello al
primo, attraverso terre sconosciute e conti
in sospeso col passato; un viaggio
di scoperta e riconciliazione, necessario per potere, come nella migliore
tradizione fiabesca, tornare al punto di
partenza definitivamente cambiato. Ogni tappa dell’avventura pone un
diverso quesito, una diversa questione
etica (il vizio, il potere, la libertà, le cause per cui combattere, la
guerra, la malattia). A guidare Anselmo, e via via i suoi fratelli, è l’amore puro e assoluto per la donna
che li ha messi al mondo. È il ricordo di lei ad indirizzare la sua mano nelle
sfide, a guidare il suo acume. Allo stesso tempo, però, Anselmo mantiene salda la sua lucidità, che gli consente
di adattare il piano alle circostanze,
di cambiarlo quando non è più ragionevole o sensato proseguire lungo una strada
che appare senza uscita. Fa parte di qualsiasi percorso di crescita, infatti,
ammettere che non tutto si può ottenere,
che non qualsiasi desiderio si può realizzare. E in alcuni casi, questa flessibilità si incastra con il giusto pizzico di fortuna per sistemare
le questioni irrisolte.
Adelmo, che fin
da bambino è l’unico dei figli ad avere un’identità
autonoma, non segnata dalla sua posizione nella gerarchia delle nascite,
per tutta la vita ha sognato di essere uno fra i tanti, di confondersi nel
gruppo. Mentre cerca attivamente di diventare Settimo, però, sono gli altri
fratelli ad acquisire una loro individualità distinta, aiutandolo a comprendere
l’importanza di conoscere ed accettare
se stessi.
La prosa semplice e lieve di Mencarelli
conduce verso l’atteso, commovente lieto fine e la scelta di aderire alle convenzioni del genere fiabesco non lascia
incertezze al riguardo; al contempo, la cornice della narrazione vuole
sottolineare il potere fascinatorio
della parola, in grado di ammaliare chiunque vi presti ascolto. Le fiabe, i racconti, sembra dire
l’autore – che non è del resto nuovo al concetto – alimentano l’anima, l’essere umano se ne nutre come di sostanze
vitali, e in esse cerca un continuo
raffronto con il reale, le chiavi necessarie a decifrarlo.
Adelmo che voleva essere Settimo è una lettura piacevole, che gli adulti possono
condividere con i più giovani; certo, e va tenuto presente per evitare
delusioni, non ha molto a che spartire con i precedenti romanzi di Mencarelli,
e non solo perché diverso è, in partenza, il target di riferimento.
Chi abbia seguito l’itinerario creativo dello scrittore e ne conosca la tendenza a sperimentare e sperimentarsi (non ultimo nella continua oscillazione tra prosa e poesia), ne trae l’impressione che questo esordio nel mondo della letteratura per ragazzi non sia riuscito al cento per cento. Se si riesce infatti benissimo a immaginarsi degli scritti di Mencarelli rivolti specificamente a un pubblico adolescente (e del resto a quella fascia d’età si possono assolutamente proporre La casa degli sguardi, Tutto chiede salvezza e Sempre tornare), nel parlare ai più piccoli, adattando a loro il lessico e la scrittura, qualcosa della sua forza si perde, e si fatica a riconoscere quella voce inquieta e dolente per cui sempre, finora, l’abbiamo amato.
Carolina Pernigo
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