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Riflessioni su "Potrebbe anche non esserci più un mondo" di Lovecraft e di come dialogare, ancora, con il passato

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Potrebbe anche non esserci più un mondo
di Howard P. Lovecraft
Piccola Biblioteca Adelphi, luglio 2025

Traduzione di Ottavio Fatica

pp. 161
€ 14,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


Il fatto è che non puoi dirti vivo e vegeto se non hai adeguato e agevole accesso in generale all’immaginario, al pensiero, ai sentimenti, alle attività, alle prospettive, alla grandezza del mondo e del cosmo. (p. 85)

Dall’8 luglio torna in libreria, con una nuova traduzione a cura di Ottavio Fatica – già impegnato in curatele su Allan Poe, Kipling e London –, l’epistola 381, tratta da Letters of H. P. Lovecraft to Woodburn Harris and Others che, nella presente edizione della Piccola Biblioteca Adelphi prende il titolo di Potrebbe anche non esserci più un mondo. E qual è il miglior modo per vivere l’effetto di ricevere una «strabocchevole lettera» (p. 154) da Lovecraft se non prenderne una, forse la più lunga, e consegnarla, come libro, al lettore-destinatario? Ma quello che avrà tra le mani, questo ipotetico destinatario, sarà molto più che una lettera: un saggio di filosofia infarcito di riflessioni sull’epoca a Lovecraft contemporanea.

Ma se quello che il lettore si aspetta è il Lovecraft più noto, condito da atmosfere inquietanti e oniriche e paure latenti o, ancor meglio, colmo di menzioni più o meno esplicite ad alcuni dei suoi personaggi più famosi, come Abdul Alhazred, autore del Necronomicon, resterà fortemente deluso. Quello che, invece, si srotolerà davanti ai suoi occhi è, sì, pur sempre un mondo, ma molto più realista e concreto, denso di ironia e cinico disincanto. D'altronde, si sa, la forma letteraria dell’epistola, per eccellenza il più confidenziale dei mezzi letterari, ben si fa portavoce delle istanze sostenute da un autore il quale, facendo proprie le modalità del genere letterario, è in grado di esprimere il proprio pensiero in modo più libero e scevro dai vincoli che altri generi imporrebbero.

Providence, 9 novembre 1929: un Lovecraft «stanco morto» (p. 11), perché subissato dal lavoro, mette in guardia l’amico Harris da non leggere la lettera tutta d’un fiato perché lui stesso, l’autore, ha impiegato un’intera settimana nel comporla: «dev’essere la lettera più lunga da me scritta nell’arco di una vita che ammonta a 39 anni, 2 mesi e 26 giorni» (p. 11). E l’avvertenza non giunge a torto perché le 147 pagine che la compongono, dense di riflessioni e stimoli, avranno bisogno di tempo per sedimentare ed essere, solamente così, pienamente comprese.

A questo punto, prima di procedere, è forse doverosa una precisazione: il testo è colmo di quello che oggi noi, uomini e donne contemporanee, troveremmo poco politicamente corretto. Il pensiero che Lovecraft, questo «settecentesco yankee greco-romano» (p. 158), esplicita è traboccante di un classismo aristocratico ai limiti con il determinismo razziale. Società e popoli, creduti intrinsecamente inferiori, sono apostrofati con epiteti di certo poco lusinghieri – come il «mangiaspaghetti» (p. 15) attribuito agli immigrati italiani – e figli dei tempi, gli anni ’20 e ’30, in cui Lovecraft è immerso. Tenuto a mente questo, come pure tenute a mente posizioni che, con la verifica del tempo, si riveleranno erronee (come nel caso di Einstein), ed epurando dunque le pagine dalla patina di obsolescenza che quasi in secolo di storia vi ha gettato sopra, andrà fatta una netta distinzione tra il contenuto dell’opera, spesse volte esecrabile, dal criterio metodologico, quasi sempre retto e ragionevole. Dopotutto è l’autore stesso a sostenere che «non permetto neanche ai sentimenti più forti di influenzare minimamente la mia opinione intellettuale» (p. 97) e, anche laddove esprime i concetti più controversi, lo fa nel modo più pacato e sobrio possibile.

Avremo, allora, pagine dense di excursus storici sulle ascese e i declini delle società del passato, di riflessioni sulle abitudini sessuali di animali ed esseri umani, di critica al meccanicismo, al culto della quantità a discapito della qualità, di consigli all’amico, proprio come un moderno Mecenate, su come realizzare la biblioteca privata migliore, per poter vivere al meglio da umanista tra le rovine di una società in declino, perché:

Non immagini nemmeno quanto arricchirà la tua esistenza: ti darà una sensazione di padronanza su varchi e vie di fuga dai soffocanti limiti fisici che aprono su infiniti viali di libertà e magnificenza dell’inventiva. La mia idea di libro è quella di una via d’accesso. (pp. 94-95)

E, ancora, con dei guizzi che hanno del profetico – o forse semplicemente frutto di un uomo ben conscio della natura umana – e uno sguardo dissacrante sulla realtà, sarà in grado di azzardare alcune previsioni che, a distanza di 96 anni dalla redazione della lettera, si riveleranno pericolosamente vicine a quanto, effettivamente, realizzato. Ne sono esempio lampante le pagine in cui, con sorprendente lucidità, sarà in gradi di predire, senza troppi errori, la degenerazione cui gli Stati Uniti andranno incontro:

Il futuro socio-politico degli Stati Uniti è quello di essere dominati da vasti interessi economici consacrati a ideali di guadagno materiale, attività priva di scopo e comodità fisica; interessi controllati da autorità astute, insensibili e di rado educate, reclutate in mezzo a un branco omologato mediante una competizione di acume affilato e furbizia pratica, una lotta per la posizione e il potere che eliminerà il vero e il bello come obiettivo, per sostituirli con il forte, l’enorme e il meccanicamente efficace. (p. 99)

Se è vero che «il sonno della ragione genera mostri», sostiene Francisco Goya, Lovecraft, vittima per tutta la sua vita di incubi soffocanti, sarà in grado di riconoscerli, questi mostri, analizzarli e, molto spesso, prevederne il destino. Fuor di metafora, emerge un autore complesso e non sempre condivisibile, ma in grado di decifrare le ansie e le paure del suo tempo. Un uomo che, ben consapevole di vivere in un mondo e in una società in declino, sa esplorare il futuro ignoto e dargli un ordine, grazie al possesso di un metodo retto ed inflessibile. Confrontarsi oggi con l’epistola 381 è una sfida: provare a dialogare con un autore e con le complesse sfaccettature del suo pensiero.

Corinna Angelucci