Piccola Biblioteca Adelphi, luglio 2025
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Il fatto è che non puoi dirti vivo e vegeto se non hai adeguato e agevole accesso in generale all’immaginario, al pensiero, ai sentimenti, alle attività, alle prospettive, alla grandezza del mondo e del cosmo. (p. 85)
Dall’8 luglio torna in libreria,
con una nuova traduzione a cura di Ottavio Fatica – già impegnato in
curatele su Allan Poe, Kipling e London –, l’epistola 381, tratta da Letters
of H. P. Lovecraft to Woodburn Harris and Others che, nella presente edizione
della Piccola Biblioteca Adelphi prende il titolo di Potrebbe anche non
esserci più un mondo. E qual è il miglior modo per vivere l’effetto di
ricevere una «strabocchevole lettera» (p. 154) da Lovecraft se
non prenderne una, forse la più lunga, e consegnarla, come libro, al
lettore-destinatario? Ma quello che avrà tra le mani, questo ipotetico
destinatario, sarà molto più che una lettera: un saggio di filosofia infarcito di
riflessioni sull’epoca a Lovecraft contemporanea.
Ma se quello che il lettore si
aspetta è il Lovecraft più noto, condito da atmosfere inquietanti e oniriche e
paure latenti o, ancor meglio, colmo di menzioni più o meno esplicite ad alcuni
dei suoi personaggi più famosi, come Abdul Alhazred, autore del Necronomicon,
resterà fortemente deluso. Quello che, invece, si srotolerà davanti ai suoi
occhi è, sì, pur sempre un mondo, ma molto più realista e concreto,
denso di ironia e cinico disincanto. D'altronde, si sa, la forma
letteraria dell’epistola, per eccellenza il più confidenziale dei mezzi
letterari, ben si fa portavoce delle istanze sostenute da un autore il quale,
facendo proprie le modalità del genere letterario, è in grado di esprimere il
proprio pensiero in modo più libero e scevro dai vincoli che altri generi imporrebbero.
Providence, 9 novembre 1929: un
Lovecraft «stanco morto» (p. 11), perché subissato dal lavoro, mette in
guardia l’amico Harris da non leggere la lettera tutta d’un fiato perché lui
stesso, l’autore, ha impiegato un’intera settimana nel comporla: «dev’essere
la lettera più lunga da me scritta nell’arco di una vita che ammonta a
39 anni, 2 mesi e 26 giorni» (p. 11). E l’avvertenza non giunge a torto
perché le 147 pagine che la compongono, dense di riflessioni e stimoli, avranno
bisogno di tempo per sedimentare ed essere, solamente così, pienamente
comprese.
A questo punto, prima di
procedere, è forse doverosa una precisazione: il testo è colmo di quello che
oggi noi, uomini e donne contemporanee, troveremmo poco politicamente corretto.
Il pensiero che Lovecraft, questo «settecentesco yankee greco-romano»
(p. 158), esplicita è traboccante di un classismo aristocratico ai
limiti con il determinismo razziale. Società e popoli, creduti
intrinsecamente inferiori, sono apostrofati con epiteti di certo poco
lusinghieri – come il «mangiaspaghetti» (p. 15) attribuito agli immigrati
italiani – e figli dei tempi, gli anni ’20 e ’30, in cui Lovecraft è immerso.
Tenuto a mente questo, come pure tenute a mente posizioni che, con la verifica
del tempo, si riveleranno erronee (come nel caso di Einstein), ed epurando
dunque le pagine dalla patina di obsolescenza che quasi in secolo di storia vi
ha gettato sopra, andrà fatta una netta distinzione tra il contenuto
dell’opera, spesse volte esecrabile, dal criterio metodologico, quasi
sempre retto e ragionevole. Dopotutto è l’autore stesso a sostenere che «non
permetto neanche ai sentimenti più forti di influenzare minimamente la mia
opinione intellettuale» (p. 97) e, anche laddove esprime i concetti più
controversi, lo fa nel modo più pacato e sobrio possibile.
Avremo, allora, pagine dense di excursus
storici sulle ascese e i declini delle società del passato, di riflessioni
sulle abitudini sessuali di animali ed esseri umani, di critica al
meccanicismo, al culto della quantità a discapito della qualità, di consigli
all’amico, proprio come un moderno Mecenate, su come realizzare la biblioteca
privata migliore, per poter vivere al meglio da umanista tra le rovine di una
società in declino, perché:
Non immagini nemmeno quanto arricchirà la tua esistenza: ti darà una sensazione di padronanza su varchi e vie di fuga dai soffocanti limiti fisici che aprono su infiniti viali di libertà e magnificenza dell’inventiva. La mia idea di libro è quella di una via d’accesso. (pp. 94-95)
E, ancora, con dei guizzi che hanno
del profetico – o forse semplicemente frutto di un uomo ben conscio
della natura umana – e uno sguardo dissacrante sulla realtà, sarà in
grado di azzardare alcune previsioni che, a distanza di 96 anni dalla redazione
della lettera, si riveleranno pericolosamente vicine a quanto, effettivamente,
realizzato. Ne sono esempio lampante le pagine in cui, con sorprendente
lucidità, sarà in gradi di predire, senza troppi errori, la degenerazione cui
gli Stati Uniti andranno incontro:
Il futuro socio-politico degli Stati Uniti è quello di essere dominati da vasti interessi economici consacrati a ideali di guadagno materiale, attività priva di scopo e comodità fisica; interessi controllati da autorità astute, insensibili e di rado educate, reclutate in mezzo a un branco omologato mediante una competizione di acume affilato e furbizia pratica, una lotta per la posizione e il potere che eliminerà il vero e il bello come obiettivo, per sostituirli con il forte, l’enorme e il meccanicamente efficace. (p. 99)
Se è vero che «il sonno della
ragione genera mostri», sostiene Francisco Goya, Lovecraft, vittima per
tutta la sua vita di incubi soffocanti, sarà in grado di riconoscerli,
questi mostri, analizzarli e, molto spesso, prevederne il destino. Fuor di
metafora, emerge un autore complesso e non sempre condivisibile, ma in grado di
decifrare le ansie e le paure del suo tempo. Un uomo che, ben consapevole di
vivere in un mondo e in una società in declino, sa esplorare il futuro
ignoto e dargli un ordine, grazie al possesso di un metodo retto ed
inflessibile. Confrontarsi oggi con l’epistola 381 è una sfida: provare
a dialogare con un autore e con le complesse sfaccettature del suo
pensiero.
Corinna Angelucci
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