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Anatomia di un’ossessione: la dipendenza emotiva e la lucidità della scrittura in “Passione semplice” di Annie Ernaux

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Passione semplice
di Annie Ernaux
BUR Rizzoli, 29 aprile 2025

Traduzione di Lorenzo Flabbi

pp. 80
€ 11,00 (cartaceo)

Prima di andarsene si rivestiva con calma. Lo guardavo abbottonarsi la camicia, infilarsi i calzini, gli slip, i pantaloni, voltarsi verso lo specchio per fare il nodo alla cravatta. Quando avrebbe indossato la giacca tutto sarebbe finito. A quel punto ero soltanto tempo che scorreva attraverso di me. (p. 17)

Passione semplice è un racconto che il Premio Nobel Annie Ernaux ha pubblicato in Francia nel 1991; in Italia era già stato pubblicato da Rizzoli nel 2004, ma stavolta la casa editrice ce lo ripropone in una nuova veste grafica e con la traduzione di Lorenzo Flabbi. 

In quest’opera l’autrice riesce a raccontare la storia di un’ossessione amorosa senza mai cadere nel patetico o nell’autocompiacimento. Al centro del libro - breve, chirurgico, essenziale - c’è una donna, un io femminile di cui non conosciamo il nome (potrebbe essere la stessa autrice?) che racconta di una breve storia d’amore con un uomo, che rimarrà per tutto il tempo solo una iniziale, A., originario dell’Est Europa. La protagonista è tutta risucchiata dall’attesa di quest’uomo, appesa a una telefonata tanto agognata che anticipa fugaci momenti di felicità. Lei vive in funzione di quei pochi momenti d’amore consumati a casa sua, per i quali organizza tutto, da cosa indossare per l’occasione (ma lui non ha tempo di ammirare i suoi outfit!), a cosa mangiare insieme e, soprattutto, chiede ai figli, ormai grandi, di non presentarsi a casa senza averla avvisata prima. Una donna innamorata, si sa, è come una gatta distratta:

Che i figli neghino pure l’evidenza inscritta nello sguardo assente della madre, nei suoi silenzi distanti: per lei, in certi momenti, non contano più di quanto contino dei vecchi cuccioli per una gatta impaziente di correre via. (p. 23)

Il lettore non può non sentirsi coinvolto in questa attesa, perché la penna di Ernaux lascia dei solchi dentro di noi. La protagonista ci rivela con spietatezza tutti i suoi pensieri ossessivi, le sue gelosie più tormentate: confessa di avere l’amato nella testa dalla mattina alla notte, ogni attimo del suo tempo sembra finalizzato ai momenti vissuti con  A., a una sua telefonata. Eppure Ernaux non cerca mai di giustificare o abbellire questo “abbandono interiore”, anzi lo analizza con sguardo clinico, facendo sì che la protagonista si osservi da fuori pur restando immersa fino in fondo in questa ossessione totalizzante. Ciò che colpisce profondamente - almeno a me è successo questo - è il contrasto tra un’esperienza immersiva che esclude tutto, qualsiasi altra preoccupazione,  e la scrittura, che arriva quando tutte le attese sfumano via,  e consente di rielaborare, di prendere le distanze e recuperare sé stessi, anche se solo in piccola parte.

La voce narrante usa due tempi in tutto il racconto, spiegandocene il motivo: l’imperfetto e il presente. Il primo è il tempo della passione, una passione che la donna non considera ancora totalmente perduta, perché non vuole abbandonarla: questa Passione semplice, l’ha fatta sentire viva, accesa, seppure in maniera discontinua e sempre per brevi momenti. Il presente è il tempo della scrittura, della consapevolezza, è il tempo di chi però ancora non si rassegna del tutto alla fine dell’amore.

Eppure quando mi sono messa a scrivere è stato proprio per restare in quel tempo, quello in cui tutto andava nella stessa direzione, dalla scelta di un film a quella di un rossetto: verso qualcuno. L’imperfetto che ho usato spontaneamente fin dalle prime righe è quello di una durata che non volevo finita, quello di frasi come «a quei tempi la vita era più bella», di un’eterna ripetizione. (p. 59)

L’uso del presente rappresenta la scrittura stessa che diviene mezzo che consente alla protagonista e voce narrante di rivivere in qualche modo quella storia così intensa, restituendole una tensione emotiva vivida come il profumo dell’uomo amato che non va più via e viene registrato in una sorta di archivio dell’anima. È un meccanismo interessante quello che Ernaux ci pone davanti: nella mente di una donna ossessionata da un uomo, la mancata rassegnazione produce un’attesa estenuante, per cui l’assenza dell’oggetto amato diviene presenza fissa nelle giornate di lei.

Ma continuavo a vivere. Vale a dire che scrivere non bastava a impedirmi, nel momento esatto in cui smettevo di farlo, di sentire la mancanza dell’uomo di cui non udivo più la voce, l’accento straniero, di cui non toccavo più la pelle, che conduceva in una città fredda una vita impossibile per me da immaginare - la mancanza dell’uomo reale, più irraggiungibile dell’uomo scritto, designato dall’iniziale A. (p. 60)

Ho trovato molto efficace questa scelta stilistica basata su un doppio binario temporale, nonostante il percorso narrativo sia breve, perché il lettore coglie pienamente la condizione dell’anima della protagonista, sospesa tra la consapevolezza che l’amore sia finito e il bisogno di poterlo rivivere seppure tramite il ricordo evocato dalle parole scritte.

Marianna Inserra