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Una fiaba oscura e rivelatoria: "Penultime parole" di Cristò per Mondadori

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Penultime Parole
di Cristò
Mondadori, aprile 2025

pp. 120
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)


Vitaliano Trevisan evidenziò il limite dei libri contemporanei che gli passavano sotto il naso: la direzione della storia, si lasciò andare durante un'intervista (tra le ultime), è già evidente nella prima pagina. Ricordo che non ne parlava con astio ma con rammarico. Incolpava l'indolenza di alcuni autori e certi compromessi da grande editoria. 
Ci pensavo in relazione all'incipit di Penultime Parole, in totale controtendenza rispetto all'affondo di Trevisan e che, dopo un ragionamento più approfondito, mi suggerisce come il magnetismo dei libri di Cristò derivi in parte dalla capacità di creare, nel lettore, seri interrogativi sulla strada che prenderà il testo - interrogativi cause di aspettativa, curiosità, verso ciò che accadrà e come andrà a finire. 
Le righe che seguono, come vedrete, somigliano a varchi aperti a possibilità ignote.
La casa era piccola - rispose -, non potevamo conservare il superfluo. Tutte le cose dovevano essere utili; dovevano esserlo anche le parole. (p. 13)  
I fulcri di questa storia sono una casa e il silenzio che la conquista. 
Lo erano già stati in Restiamo così quando ve ne andate (Terrarossa, 2017) ma, al contrario di quella che si rappresentava come una faccenda dei nostri tempi (fatta di alienazione, umana e professionale), questa nuova narrazione non si lega ad alcun arco temporale troppo definito, anche se non pochi dettagli forniscono qualche indizio attendibile (si tratta di riferimenti a Freud, Jung, Lacan, Wittgenstein). Al di là comunque di una precisa collocazione temporale, Penultime Parole riesce a rievocare e condensare le paure universali, trasmettendo attraverso il racconto di uno, quello di tutti. 
Sotterrammo i saggi di filosofia, storia, politica e religione di Matteo e i libri di Freud, di Jung, di Lacan sottolineati e annotati da nostra madre e le sue monografie di fotografia; di mio padre buttammo tutta la letteratura in ordine alfabetico per autore; tutti i libri di Teresa, tutti i miei. Tutti tranne uno. Quello nel cassetto che lei non apriva mai. (pp. 18-19)  
La casa, vero e proprio attore della storia, è distante dal centro abitato di un paese in collina e appartiene a due sorelle, che si stanno liberando di ciò che possiedono. La privazione coincide con la cessazione del dialogo: loro decidono di non parlarsi più.
La casa continuava a essere piccola, ma si era liberato spazio per questioni più importanti che si portavano dietro tante parole, persino urlate; e crude, violente, definitive. (p. 15) 

Già la mattina successiva sentii il silenzio che cominciava a riprendere spazio. Dopo una settimana era diventato insopportabile, facevamo fatica a spostarci con tutto quel silenzio per la casa. (p. 17)  
Più che precipitare tra i motivi di una scelta drastica, diventa interessante soffermarsi su un silenzio che si concretizza in presenza prevaricante: spetta presto al lettore chiedersi se in questo caso, come in tutti, faccia più male la parola o la sua mancanza. 
Il silenzio è un gas, riempie tutto. (p. 15)  
Quel silenzio diventa debilitante quando una delle sorelle si unisce alle stesse piante a cui un tempo parlava, scegliendo di abbandonare l'altra, in balia del tempo. Un tempo che perde la funzione di far cessare una sola vita: quella di chi racconta la storia.

Ma che succede a chi non può morire?

Il processo somiglia a una punizione indecifrabile, e vengono a galla certe considerazioni di Herzog ("Non avere la capacità di invecchiare è terribile. La morte non è il peggio: ci sono cose molto più orribili della morte": Nosferatu, 1979).

Se si è incapaci di morire, allora non si è liberi.

Ma chi lo è? Chi è soggetto alle regole del tempo o chi ne è impermeabile?

Ci riflette tanto Cristò, che non è mai assillante o didascalico e appare capace di donare al lettore profonde verità sul conto dell'essere umano. C'è soprattutto qualcosa che Cristò sembra gestire meglio forse di chiunque altro: un vasto immaginario in equilibrio tra incanto e disincanto, che affonda in una tristezza autentica e custode di bellezza abbacinante. Si tratta di un immaginario di sottigliezze, di insetti che brulicano e lupi che ululano, di piante che oscurano la vista e notti da tregenda, ed esaltato da un lavorio di scrittura ineccepibile, di sottrazione e ritmo, levità e grazia, dalla precisione musicale e l'incanto della fiaba
Le persone arrabbiate si espandono, occupano spazio. (p. 13)  

Da bambina, quando la finestra era di tutti e tre - mia, di Teresa e di Matteo - le case mi erano sembrate un branco di animali venuti al corso d'acqua per bere, il campanile della chiesa, il collo di una giraffa. (p. 20)  

Certe volte mi immaginavo, o forse devo averlo sognato, che il faggio crescesse così tanto da sollevare la casa e portarsela in alto. E allora dovevo usare la scala a pioli per poter entrare e uscire, e poi la scala non bastava più e ne costruivo una più grande, poi ne facevo una di corda e continuavo ad allungarla di notte perché bastasse, il giorno dopo, per scendere. (p. 48) 

Un'aura romantica attraversa, del resto, la carriera letteraria di Cristò, esplosa col ripescaggio di La Carne, inizialmente pubblicato da Intermezzi (2016) e poi fortunosamente riscoperto da Neo. (2020) - la leggenda vuole che sia stato scovato dall'editore a una bancarella - e negli anni diventato libro feticcio. Questa luminescenza ha accompagnato le successive magnifiche storie per adulti (La meravigliosa lampada di Paolo Lunare, Terrarossa, 2019, ora tradotta in Francia) e per bambini (L'estate in cui sparirono i cani, Giunti, 2024), e il passaggio in Mondadori - e quindi la prospettiva di rivolgersi a un pubblico più ampio - assume un significato quasi simbolico, di giusta ricompensa per una scrittura autoriale unica. Perché se nel tempo sono stati tanti e giusti gli accostamenti a Landolfi e Buzzati, ormai sarebbe corretto sostenere che questa scrittura sia la scrittura di Cristò, di cui Penultime parole ne rappresenta l'espressione più compiuta. 

Daniele Scalese