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La direzione possibile per il nuovo assetto geopolitico mondiale. Anthony Pagden spazia dal concetto di stato-nazione alla federalizzazione del pianeta

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Oltre gli stati. Poteri, popoli e ordine globale
di Anthony Pagden
Il Mulino, Collana Faustiana, 16 giugno 2023

Traduzione dalla versione preliminare in lingua inglese di Giovanna Mancini 

pp. 256
€ 19,00 (cartaceo)
€ 13,30 (ebook)


Il saggio di Anthony Pagden, docente di Scienza politica presso l’University of California a Los Angeles, fa parte dell’interessante collana Faustiana. Il destino dell’Occidente diretta da Aldo Schiavone per la casa editrice Il Mulino, di cui fa parte, giova segnalarlo, anche l’illuminante saggio di Davide Sisto, I confini dell’ umano.

È un libro interessante e molto attuale, perché mai come negli ultimi anni di quest’epoca che viene ormai definita dalla quasi totalità degli intellettuali “post-globale”, dove il concetto di Stato-nazione, pressoché ovunque sulla Terra, è stato superato, è necessario interrogarsi su quali saranno i nuovi centri di potere, quale sarà il destino dei popoli di fronte alle ondate migratorie (questione non soltanto europea) e che forma potrebbe avere il nuovo ordine mondiale. Chi ama guardarsi intorno, scoprire i meccanismi socio-politici che muovono la realtà intorno a noi e chi prova a informarsi sul destino dell’Occidente e non solo, troverà nel lavoro del professor Pagden un libro molto istruttivo, scritto in maniera accessibile e godibile.
È un testo attuale che, lungi dal prendere aperte posizioni politiche, indaga l’attualità dialogando continuamente con la storia passata e con il pensiero di eminenti pensatori e filosofi.
«Occidente è un termine vago e antico. In origine fu genericamente identificato con l’Europa, oppure con tutti quei territori a ovest dello stretto dei Dardanelli. Tuttavia la geografia conta poco in questa storia». (p. 7)
In apertura, Pagden chiarisce subito che non solo i concetti, come quello di «Occidente», «civiltà, popoli civilizzati», ma come si vedrà, tutta la trattazione trascende le questioni geografiche (e/o di presunte superiorità di un popolo rispetto a un altro).  Partendo dal concetto di stato-nazione e delle sue origini, lo studioso traccia un profilo attraverso cui emerge come i diversi stati abbiano costruito la propria identità: le prime città sorte in Asia poi diffusesi in Europa, i grandi imperi e le monarchie universali. A questo proposito ci ricorda che, anche in questo caso, «gli imperi non furono una creazione dell’Occidente. Il primo fu forse l’impero persiano achemenide che arrivò quasi a distruggere il mondo greco antico; se ciò fosse accaduto avrebbe anche spazzato via tutta la cultura greca e dunque gran parte di quello che oggi viene identificato come Occidente» (p. 24). Ma sappiamo bene che non è stato così e ciò ha permesso poi alla fine del Quattrocento le prime esplorazioni del globo da parte dei portoghesi, che rivoluzionarono la visione del mondo e di tutti gli aspetti della vita umana. Ma se la storia dell’Occidente avesse seguito un’altra strada, avrebbero mai provato i Cinesi a curiosare oltre i loro confini? Sarebbero stati loro i primi esploratori?, mi chiedo. Prima o poi forse sì, ma non possiamo dirlo con certezza.
La Cina, ricorda lo studioso, costituisce uno degli imperi più longevi del pianeta: il potere fortemente accentrato del suo governo è stato sicuramente la causa della sua lunga stagnazione economica, da cui ha iniziato a riemergere solo in tempi recenti, mentre l’Occidente sperimentava, attraverso forme più avanzate di collaborazione transnazionale (federazioni, alleanze, leghe economiche o militari) un decollo economico senza precedenti.

Il futuro dei popoli, quindi, non è più certamente nello stato accentrato, nell’isolazionismo o nella costituzione di un impero (come vorrebbe anacronisticamente Putin, ad esempio), - come si è detto all’inizio -  Pagden in più occasioni all’interno del libro, citando grandi filosofi e pensatori come Herder, Hobbes, Bodin, sostiene che il concetto di stato-nazione è ormai superato, così come quello di sovranità del singolo Stato destinata a sparire anche da quelle realtà territoriali e politiche ancora, per certi aspetti, restie:
Lo stato-nazione - l’applicazione di un potere sovrano a una società civile multiforme, viva e vibrante - richiedeva qualcosa di più se doveva sopravvivere e prosperare, anzi doveva restare unito. Esso necessitava di un’ideologia: il «nazionalismo». Offuscato dal retaggio del fascismo e del nazionalsocialismo, oggi il nazionalismo appare come una forma di tribalismo che sa di xenofobia, ignoranza, fanatismo, faziosità e aperto razzismo. La medesima immagine, con varie sfumature e concessioni alla sensibilità pubblica, emerge nella retorica della nuova destra europea: Rassemblement National in Francia, Alba Dorata in Grecia, Lega e ora Fratelli d’Italia, Alleanza Fiamminga, il Partito popolare danese, i Veri Finlandesi, Alternativa per la Germania e simili. (p. 42)

I partiti citati hanno trovato sostegno soprattutto nei ceti medio-bassi (come ha ben spiegato l’eurodeputata Elisabetta Gualmini in Mamma Europa) quelli cioè più deboli che hanno accusato le più pesanti difficoltà della disoccupazione, quelli che non hanno i mezzi, le competenze e le conoscenze per inserirsi in un mondo del lavoro che cambia a ritmi incontrollabili e che rende obsoleti i mestieri tradizionali. Sono questi partiti, in gran parte populisti, anche se meno reazionari di un tempo - ammette Pagden - a spingere negli anni a posizioni euroscettiche. Curioso leggere nel libro che «tuttavia il nazionalismo non è sempre stato populista e autoritario come questi partiti odierni e come lo sono stati i fascisti e i nazisti […] . Di fatto le sue origini furono liberali  e, paradossalmente, internazionaliste» (p. 43). Basti pensare a Giuseppe Mazzini e alla sua «Giovine Europa»: l’illustre italiano andò contro ogni principio deterministico:

A  coloro che sostenevano che di fatto la nazione era soltanto una «manifestazione del passato, un concetto medievale che ha causato molto spargimento di sangue e continua a frazionare il pensiero di Dio sulla terra», Mazzini rispose che la nuova «nazionalità» non sarebbe stata «un’aspra guerra all’individualismo». […] [Mazzini] condannava i tre pilastri della razza, la lingua e il clima su cui si era in precedenza basato tanto eccezionalismo. […] Tutto quello che si poteva sperare per il futuro prossimo dell’umanità era ciò che Mazzini chiamava «armonizzazione», un processo che nell’Europa frammentata e discorde emersa dalla devastazione delle guerre napoleoniche poteva essere avviato e realizzato solo dalla nazione. (pp. 43-44)

L’esperimento dell’Unione Europea (UE), checché se ne dica, risulta a oggi l’unico ben riuscito: uniti nella diversità, i ventisette stati hanno iniziato dapprima (non tutti nello stesso momento, ovviamente, gli ingressi sono aumentai negli anni) a collaborare per la ripresa economica dopo la devastazione delle guerre mondiali fino ad arrivare a una Costituzione e a un’unica moneta. I passaggi sono stati graduali ma costanti. L’Europa può essere veramente considerata una federazione di stati, sostiene Pagden, dal momento che vengono condivise delle norme che hanno integrato i singoli sistemi legislativi. Lo studioso dedica un intero capitolo, intitolato Dal nazionale all’internazionale proprio a questo passaggio dal diritto particolare di una singola comunità a quello universale, ossia al «cosmopolitismo giuridico», quello che riguarda soprattutto quelli che vengono chiamati «diritti umani», ma non soltanto quelli. È veramente fondamentale, come si evince dal lavoro di Pagden e come avevano già preannunciato i filosofi già citati, la collaborazione tra i popoli per superare situazioni di empasse socio-economiche, per scongiurare guerre, per lottare contro le discriminazioni: ormai il mondo è talmente interconnesso che neppure gli stati autarchici possono sognare di vivere isolati. D’altronde la storia insegna, scrive l’autore:

Le federazioni, le leghe, le alleanze tra gli stati e le associazioni transnazionali hanno svolto un ruolo cruciale nello sviluppo e, a volte, nella sopravvivenza dell’Occidente. Senza le alleanze che consentirono a tutte le città-stato greche, per quanto frammentate possano essere state per altri aspetti, di contrastare il potente impero persiano, la civiltà greco-romana e l’intera civiltà occidentale non sarebbero mai esistite. (p. 184)

In un mondo plurale e complesso, che cambia a ritmi vertiginosi e con tante sfide da affrontare, prima tra tutte quella climatica, cosa dovremo aspettarci se non che la società umana del pianeta si aggreghi in un’unica federazione di stati federali? Ma forse potremo trovarci in un futuro prossimo di fronte a qualcosa di simile:

Molto prima che accada qualcosa di questo genere, tuttavia, presumibilmente il pianeta si dividerà in modo ancora più netto fra le tre regioni principali già esistenti: gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina. I paesi che gravitano nella loro orbita con ogni probabilità stringeranno alleanze più forti, o nuove alleanze, qualora non esistessero ancora. È possibile che paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda, la Corea del Sud (o una Corea unita) e Taiwan (qualora sopravviva alla crescente aggressione da parte della Cina) stabiliscano relazioni politiche - o federali - più strette con gli Stati Uniti […]. Forse l’Europa si amplierà fino a comprendere non solo Israele, ma anche i paesi della costa nordafricana. (p. 211)

Non ci resta che attendere e restare vigili - anche grazie a libri come questo - per scoprire cosa accadrà. 

Marianna Inserra