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Come Shakespeare può spiegare il XXI secolo: "L'esitazione di Amleto" di Yves Bonnefoy

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L'esitazione di Amleto - scritti su William Shakespeare
di Yves Bonnefoy
a cura di Sara Amadori
ilSaggiatore (giugno 2023)

pp. 192
€ 22 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Yves Bonnefoy, tra i maggiori poeti francesi del Novecento, ha avuto con Shakespeare un rapporto lungo e approfondito tramite anni di studio, tanto del suo teatro quanto dei sonetti. Le sue traduzioni del Bardo sono molto più che adattamenti in lingua francese: solo sull’Amleto è tornato cinque volte, aggiornando edizione dopo edizione, nel tentativo di esaurire la conoscenza dell’opera e della poetica di Shakespeare, e forse anche della propria posizione di poeta e critico. L’esitazione di Amleto – scritti su William Shakespeare è l’ultimo volume dedicato da Bonnefoy al grande poeta: uscito in Francia nel 2015, solo un anno prima della sua morte, è arrivato di recente in Italia a cura di Sara Amadori per ilSaggiatore

Nel libro sono raccolti quattro testi in cui in vario modo Bonnefoy si avvicina a Shakespeare con strumenti di consapevolezza consolidati: un lungo saggio in tre capitoli dedicato ad Amleto e alla sua esitazione ontologica tra l'essere e il non essere, una lettera indirizzata a Shakespeare – che Bonnefoy immagina finire in tasca del Bardo, troppo occupato a dirigere gli attori – e due interviste a chiudere il volume. Siamo all’apice della sua frequentazione del poeta inglese, e Bonnefoy dà prova della guadagnata familiarità con gli aspetti linguistici, lessicali, filosofici e letterari del testo shakespeariano. Con una prosa lineare, indirizzata anche al lettore estraneo all’opera di Shakespeare, Bonnefoy si occupa da vicino dell’Amleto, personaggio totalizzante di cui dichiara: 
Il suo rapporto con il proprio io chiama in causa il tutto della condizione umana. Sia gli aspetti del suo essere al mondo che i diversi momenti della sua coscienza di sé sono intrecciati gli uni agli altri, in modo tale che non se ne può notare uno senza essere obbligati a osservare gli altri. (p. 159) 
Riconoscere i drammi della condizione umana in Amleto è secondo Bonnefoy il fine per cui si continua a leggere Shakespeare anche in un secolo come il nostro, tanto lontano storicamente e sociologicamente da quello in cui il poeta scriveva. Per molte delle questioni tematiche che analizza – la vendetta, l’azione e l’inazione, l’amore, la posizione della donna, l’esitazione esistenziale, il rapporto alla madre e a un mondo eternamente corrotto – Bonnefoy cerca un ponte relazionale col nostro presente e sottolinea come gli interrogativi che Shakespeare si poneva nelle sue tragedie sono gli stessi che tormentano anche l’uomo del ventunesimo secolo: «il “troppo tardi” di Amleto è il “troppo tardi” anche dell’Occidente, quello che ha vanificato fino ad ora tutte le promesse di rivoluzioni di fratellanza, di giustizia […]» (p.67). 

L’analisi di Bonnefoy dell’Amleto non è solo dettagliata e sapiente, ma anche illuminata da un’apertura verso la Storia e la Letteratura: nell’affettuosa lettera che indirizza a Shakespeare chiede «il favore di un ingresso a teatro», ma da una porta secondaria, per non mescolarsi al popolo giudicante e violento al quale «non piace far spazio a persone diverse tra loro» (p. 143). Shakespeare tuttavia, pur essendo contemporaneo di questi, secondo Bonnefoy non assomiglia loro, e la sua ampiezza di pensiero e vastità di orizzonti viene da lui rappresentata attraverso le letture che gli attribuisce: Montaigne, Ariosto, Machiavelli, ma anche, con un po’ di immaginazione, Freud, Goethe e Baudelaire. Sarebbe infatti più facile credere che personaggi come Macbeth, Otello, Lear o Enrico IV siano stati scritti da qualcuno che già frequentava la psicanalisi e la filosofia moderne. Enorme stupore nell’ammettere invece che per la sensibilità di Shakespeare alle contraddizioni dell’umano non erano necessarie teorizzazioni: «un testo, sì, ma con cancellature a vive» lo definisce Bonnefoy, per il quale la complessità di queste figure teatrali poteva nascere solo da una penna fulminea e disordinata, stravolgendo qualsiasi abbozzo il poeta si fosse appuntato. 
Ofelia è la donna nella sua condizione di vittima. Comprendiamo che questi fiori che ha raccolto, meditando sul loro senso, ma che ora abbandona al primo venuto [...], hanno a che fare con la perdita di quella speranza che era stata per lei istintiva e profonda tanto quanto la sua adesione di essere vivente al suo corpo. (p. 120)
Sul numero di maggio della rivista letteraria francese «Le matricule des anges», dedicato a Bonnefoy, Emmanuel Laugier ha scritto che il poeta francese cercava nella poesia «tanto per cominciare un luogo, una presenza, qualcosa come il riconoscimento dell'unità perduta delle cose». Perciò, forse, anche nella sua lettura dell’universo shakespeariano tutto ha una propria necessaria collocazione, ogni dettaglio risponde a una domanda più alta: anche la scelta stilistica del verso – quello delle tragedie, quello dei drammi storici, quello del sonetto, ma soprattutto il «blank verse» dell’Amleto – rappresenta un baluardo di resistenza alla pulsione verso il non-essere, significa scegliere il «to be». Shakespeare scrive del male ma crede nel bene, insomma, e soprattutto nella capacità salvifica della poesia: dall’indignazione di Amleto verso le «words, words, words» nasce una riflessione sulla parola in un mondo alienato e sulla fiducia che si debba accordare ad essa per cercare una cura. Se Amleto è così la tensione alla poesia che c’è in ognuno di noi, la fiducia totale in essa cui approda il suo autore è in grado di restituire «alle “words, words, words” di cui dubitava Amleto la loro capacità di comprendere e affrontare la vita» (p. 113).

Michela La Grotteria