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Una scatola cinese nascosta sotto la tonaca di un prete: quello di Antonio Gurrado è davvero un atto di dolore?

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Atto di dolore
di Antonio Gurrado
Wojtek Edizioni, marzo 2023

pp. 220
€ 18 (cartaceo)


Se dovessi riassumere questo romanzo in un sintagma sceglierei "scatola cinese". Sommariamente, un cubo pieno fino all'orlo di onanismo (molto), religione (meno) e una serie di personaggi che sono tutti proiezione dell'autore stesso
Antonio Gurrado - aka Antonio Gurrado 2, Giustino Sperandìo, una donna "postuma" persino? - mette in piedi in Atto di dolore, edito da Wojtek, un esperimento di narrazione a matrioska, in cui il protagonista è un uomo che scrive che parla di un uomo che scrive che giudica un uomo che scrive, nel mezzo di ogni sorta di rapporto sessuale che ha a che fare, inevitabilmente, sempre con se stesso. 

Il protagonista (i protagonisti) è un uomo che ha superato i trenta e cerca di partorire un romanzo degno di questo nome (o anche no, basta che faccia soldi) ma è incastrato in una polisemia letterale e fisica che, da una parte, lo conduce nelle grinfie di un editore di romanzi pornografici da due soldi, dall'altra, tra le braccia e le cosce di innumerevoli donne intercambiabili, salvo due o tre degne di nota, ovvero una ragazzina bionda e quasi minorenne, la fatale Salomè, e la divinizzata Grazia Spadafora, quest'ultima sogno dell'adolescenza che si trasforma in tormento per gli anni a venire.

Pugliese, scrittore di articoli per Il Foglio, accademico fallito, il protagonista si ritrova per forza di cose a insegnare al liceo, scientifico sottolinea, e a cambiare casa e città spessissimo. 
Da Altamura, cittadina rovente di una Puglia che non vede il mare neanche col binocolo (parafrasando Ortese, Il mare non bagna Altamura) però ha il pane buono, a Napoli, Milano, Pavia, persino a Oxford, il narratore ci racconta in prima persona, parlando con se stesso, ai suoi alter ego e a noi, della sua infanzia e adolescenza passate a cercare di evitare la presenza ingombrante dei genitori che non solo non volevano si masturbasse, ma se lo faceva (e lui lo faceva eccome) lo svergognavano davanti agli amici e ai parenti e lo costringevano alla confessione.
Dunque un imprinting tenace che il protagonista si porta appresso fin da adulto, incarnato nella sua incapacità di trovarsi una "brava ragazza", di concretizzare il suo romanzo smettendo di riversare inchiostro - sperma, in questo caso, perché l'autore ci tiene a sottolineare che l'uno si manifesta nell'altro e viceversa - in paginette pornografiche che non legge nessuno, nella sua incapacità di essere un vero accademico e, sostanzialmente, un uomo.
Non un vero uomo, un uomo e basta, un essere che respira e che non prova dolore nel farlo.

La narrazione procede, a volte in modo inutilmente prolisso, nei racconti di tutte le donne con cui ha avuto rapporti sessuali, con dovizia di particolari, interrompendo una scena per introdurne un'altra, lunga anche molte pagine, così da far perdere il filo (forse volontariamente, pensiamo alla foggiana dalla faccia "vastasa" di nome Debora, o a Gaia Domincis che non dice mai "facciamo sesso", ma usa un ben più esplicativo eheheh), citando qua e là autori conosciuti e realmente esistenti - autori Wojtek, come Antonio Moresco o Marco Malvestio, che ha scritto il bellissimo Annette, o personaggi storici come Apollinaire e Voltaire - e saltando vorticosamente tra passato e presente per giustificare di quali paturnie soffre.

Il narratore è parodia di se stesso? Si potrebbe pensarlo, anzi è sicuramente così, perché nella reiterata descrizione del suo onanismo feroce e consumato fino alla nausea, un po' si ride di questo personaggio, si prova persino tenerezza, un uomo schiavo di certe pulsioni quasi freudiane in risposta a una singola domanda: sono capace di amare ed essere amato? La risposta arriva nella dichiarazione folle a Salomè e nella sua decisione finale, nel sacrificio rivolto a una donna che non può dargli niente in cambio. Per una volta.

La scrittura, come dicevo, in alcune parti è inutilmente prolissa, si sarebbe potuto fare lo stesso identico romanzo con cinquanta pagine in meno, ma fa ridere, fa provare ribrezzo, e alcune persone, forse, potrebbero anche empatizzare. Chi non si è trovato nella condizione di pensare al sesso e ai massimi sistemi contemporaneamente, specie dopo il coito? Nel caso di Atto di dolore i massimi sistemi sono nel titolo: le confessioni costrette, il ritiro in una specie di monastero, l'amante-non-amante Irene che cerca di convertirlo (con sorpresa), la biblica colpa di toccarsi, impossibilitati a farlo senza sentirsi sporchi, la risoluzione di alcuni insormontabili dubbi affidandosi alla religione.

Gurrado e i suoi "altri" dicono che Atto di dolore è un libro che parla di sesso e religione. Io credo sia più che altro un tentativo di sopravvivenza e di annullamento nel consumo dell'atto, perché, come l'autore, sono pugliese anche io, sono cresciuta in una famiglia fortemente devota e ho rinnegato l'assoluzione che piove dal cielo solo perché non si è acuti abbastanza da capire che Dio, con le nostre paturnie, non c'entra proprio niente.
Assegniamo alla divinità uno scopo e questo scopo è dirci come comportarci, perché e con chi, e quando riceviamo in cambio il silenzio, o i borbottamenti inutili che provengono da un confessionale - recita un Ave Maria per penitenza, un atto di dolore così ti dimostri meritevole dell'assoluzione - allora decidiamo che Dio ci odia e noi dobbiamo odiarlo di rimando. E come? Andando contro i suoi (?) comandamenti, soprattutto - in questo testo - contro il sesto.

Come con tutti i libri Wojtek, da vedere il già citato Annette, al lettore deve interessare un certo tipo di scrittura sperimentale. A prescindere dal presente narcisismo (dell'autore o dei suoi personaggi?), ciò che posso fare è chiedervi: avete letto Undicimila verghe di Apollinaire? Ce lo consiglia Gurrado stesso. Oppure, andando oltre la definizione di romanzo erotico (Atto di dolore non è per niente un romanzo erotico, a mio avviso), i libri di Miller (non Madeline, ma Henry)? Bukowski al massimo, ma giusto per non essere troppo selettivi, o Le età di Lulù di Almudena Grandes, se vogliamo proprio esserlo, se siete donne e volete leggere di libertinaggio dal punto di vista di una donna (argomento toccato anche da Gurrado in maniera metaletteraria, capirete perché).

Deborah D'Addetta