Nel quadro delle conoscenze e dei saperi che alimenta la vita pubblica delle nostre società orientandone le valutazioni e le scelte, si è aperto da qualche tempo, nell’indifferenza generale, un vuoto inquietante. Prodottosi quasi di colpo, ha per causa un fatto senza precedenti, con conseguenze che si stanno rivelando via via più disastrose: la scomparsa dalla scena d’Europa del grande pensiero sull’umano: filosofia, teoria politica, scienze storiche e sociali. Quello stesso che aveva formato finora la parte più influente dei gruppi dirigenti e dell’opinione pubblica del vecchio continente, e non soltanto. (p. 15)
Aldo Schiavone, storico, giurista e docente emerito di Storia romana, è una delle voci più autorevoli nel panorama intellettuale europeo. I suoi studi approfonditi sulla storia politica e sulle istituzioni offrono le basi per una riflessione acuta sul presente. In Occidente senza pensiero, lo storico affronta la crisi politica e culturale che segna l’Occidente contemporaneo, proponendo una diagnosi severa quanto lucida.
Il saggio evidenzia come Europa e Stati Uniti d’America stiano attraversando una fase di trasformazioni profonde e di fermenti estremisti che minacciano le sue stesse radici. A differenza di altri studiosi, come ad esempio Emmanuel Todd, che nel suo La sconfitta dell’Occidente poneva l’accento su aspetti geopolitici e antropologici, Schiavone indica la radice del problema nel vuoto di pensiero critico sull’umano. Filosofia, teoria politica, scienze storiche e sociali – le discipline che costituivano il cuore pulsante del dibattito pubblico europeo – sembrano oggi scomparse o incapaci di orientare le società. Questa perdita si traduce in una crisi culturale profonda, che si manifesta anche nell’ascesa delle onde populiste di destra, frutto di un vuoto di valori e di idee. L’Europa ha rinunciato volontariamente al suo ruolo storico di laboratorio politico e intellettuale, trasformandosi in una appendice degli Stati Uniti, e anche la sinistra ha perso la sua capacità critica, diventando una struttura burocratica senza un visione sul futuro, senza progettualità.
Attraverso un’analisi che richiama grandi autori e tradizioni intellettuali paese per paese, Schiavone offre una lettura lucida e inquietante del pensiero europeo contemporaneo, mettendo in luce contraddizioni che né l’Europa né gli Stati Uniti sembrano disposti ad affrontare. Il risultato è un Occidente esposto a derive autoritarie e privo di una guida intellettuale in grado di rinnovare il suo immaginario e la sua politica. Per Schiavone siamo di fronte a una eclissi culturale:
Di comparabile a tanta ricchezza , oggi non rimane più nulla; ed è così che il buio è sceso senza preavviso sul cuore dell’Occidente. I primi risultati sono sotto gli occhi di tutti: un’America irriconoscibile, e un’Europa che tace o balbetta. (p. 19)
Il vuoto delle grandi discipline del pensiero è riempito, sostiene Schiavone, dalla prospera presenza delle cosiddette materie STEM, le “scienze dure”, quelle legate alla tecnica, all’informatica, all’ingegneria e alle scienze naturali. È come se l’Occidente contemporaneo corresse sbilanciato, con una gamba tecnologica, efficiente, perfettamente funzionante e l’altra, umanistica e culturale, fiaccata, incapace di tenere il passo. La ricerca dei principali paesi europei, trascinati dal modello statunitense, sembra tutta proiettata verso l’accelerazione della tecnica, termine che l’autore accosta subito a un altro concetto centrale: il capitalismo. La società in cui viviamo è infatti descritta come tecnocapitalistica e tecnocratica, dove la crescita tecnologica non è neutra, ma strettamente intrecciata alla logica del profitto e del potere economico. In questo scenario la tecnica, che è sempre stata presente nelle varie fasi storiche dell’umanità, non è mediata dal pensiero, ma si sviluppa come forza autonoma, rapida, pervasiva, che la politica e le scienze umane non riescono più a interrogare né a governare. E Schiavone ci pone di nuovo davanti allo stesso interrogativo martellante, una costante che attraversa i capitoli, ne dà il ritmo quasi. Qualcuno potrebbe domandarsi se la ripetizione serva solo a rafforzare o non rischi talvolta di irrigidire la lettura. Ma forse è proprio nella reiterazione che si misura l’urgenza di questa crisi, in fondo repetita iuvant?, recitavano gli antichi.
Ma questa volta dov’è il pensiero - filosofico, economico, sociale, politico, giuridico, etico: in una parola, l’indagine sulle società e sull’umano in trasformazione e sui loro nuovi caratteri - che dovrebbe far da guida al passaggio d’epoca, orientandone direzione e conseguenze, come è accaduto con le grandi rivoluzioni della modernità? Dove troviamo qualcosa di almeno lontanamente paragonabile all’incandescenza intellettuale che l’Europa conobbe quando attraversò una situazione di rottura e di mutamento per molti versi comparabile - pur se meno dirompente - con l’attuale? (pp. 25-26)
La risposta è sconfortante: non esiste oggi un pensiero all’altezza della complessità che stiamo attraversando, né una classe intellettuale capace di fornire strumenti interpretativi efficaci per orientare la trasformazione in corso. Non si tratta solo di un vuoto accademico o editoriale, ma di un’assenza culturale strutturale, che investe tanto le istituzioni quanto la società collettiva. È questa la vera crisi dell’Occidente, non un cedimento militare o economico, ma un’anemia intellettuale, che riguarda la capacità stessa delle società occidentali di immaginare il futuro.
La crisi osserva Schiavone non è iniziata oggi, ma ha radici profonde nel passato tra XX e XXI secolo, quando i grandi sistemi di pensiero sono andati esaurendosi senza che nuove visioni li sostituissero, da qui nasce la domanda chiave che intitola un capitolo centrale del saggio: Perché adesso? È nel momento in cui l’Occidente sembrava aver trionfato, dopo la fine della Guerra Fredda, che ha cominciato a perdere la sua forza più sottile e decisiva: il pensiero critico sull’umano. L’egemonia americana, lungi dal colmare questo vuoto, lo ha ulteriormente amplificato, e l’Europa non ha saputo reagire: ha perso il suo ruolo di avanguardia teorica. Anche le forze progressiste di un tempo oggi appaiono svuotate, gli intellettuali si sono scollati dalle masse consegnandole alle nuove destre (in certi casi populiste) e a un diffuso sentimento di avversione alla politica.
Ho trovato interessante e illuminante anche il capitolo sulla globalizzazione, un processo che non si può negare e dal quale non si può tornare indietro. Lo stile di Schiavone è rigoroso, denso, ma chiaro, adatto a un pubblico colto più ampio. D’altronde l’autore è uno storico di chiara fama, ma non fa sfoggio di un linguaggio difficile: i suoi termini sono precisi e ben spiegati, le sue argomentazioni sono solide ed articolate, il tono misurato, lontano da ogni ideologia o faziosità. La struttura del libro è semplice e chiara, la trattazione è scandita in sei capitoli con una prefazione intitolata Dentro, non di fronte…, in cui l’autore dichiara le motivazioni e gli intenti dell'opera.
Vorrei però esprimere la mia riflessione critica finale su questo importante lavoro. Negli ultimi tempi, si è diffusa una vera e propria “estetica della crisi” che narra di un Occidente agonizzante, una narrazione che talvolta rischia di diventare un luogo comune. È indubbio che i grandi pensatori del Novecento - Heidegger, Adorno, Arendt, Wittgenstein - abbiano profondamente trasformato il pensiero europeo e che oggi non siano paragonabili a figure del presente. Tuttavia, forse oggi non abbiamo bisogno di nuovi Marx o Heidegger, bensì di pensatori capaci di muoversi nell’incertezza, in territori ibridi e complessi. Viviamo un’epoca diversa da quella a cui Schiavone guarda quasi con nostalgia: i grandi sistemi totalizzanti sembrano superati, e il pensiero si esprime spesso in modi laterali, commentando più che rifondando. La contemporaneità, definita da molti “post metafisica” non è priva di grandi nomi: anzi pensatori come Peter Singer, Noah Chomsky, Yuval Noah Harari, Timothy Morton, Slavoj Žižek, Judith Butler e tanti altri testimoniano una vitalità intellettuale che si sposta verso tematiche come la bioetica, gli studi di genere, l’ecologia politica. Si può dire che il pensiero occidentale non sia morto, ma che si sia trasformato, evoluto e diffuso in forme più plurali e meno sistematiche, ma altrettanto vive. Probabilmente però è vero che questi intellettuali rimangono «personalità isolate, […] che non costituiscono una rete d’intelligenze e di studi in grado di fare massa critica» (p. 19), ma chissà che in tempi adeguati non siano capaci di incidere profondamente sulla società; d’altronde, lo stesso Schiavone con questo libro ha lanciato l’allarme, nella speranza che venga invertita la rotta.
Occidente senza pensiero si impone, al di sopra di ogni ideologia, come un monito e un appello urgente a recuperare il ruolo centrale del pensiero critico sull’umano, fondamentale per costruire un futuro all’altezza delle grandi tradizioni culturali e politiche europee.
Se non sarà l’Occidente nel suo insieme - l’Europa e l’America - a correre ai ripari, e a inventare soluzioni che non conducano verso abissi di dimensioni incalcolabili, non possiamo aspettarci nessun aiuto da fuori: perché, letteralmente, un «fuori» non esiste più, dal punto di vista delle possibili alternative di civiltà - o anche semplicemente di sistemi culturali - oggi effettivamente praticabili. (p. 53)
Marianna Inserra
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