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In bilico tra melancolia e passioni pure: la ristampa di "Yoga" di Carrère per Adelphi

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Yoga
di Emmanuel Carrère
Adelphi, febbraio 2023

Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala

pp. 312
€ 14 (cartaceo)
€ 13,99 (ebook)


Il mio mestiere, il mio talento, è la narrazione, e la domanda a cui mi sforzo di rispondere in ogni circostanza è: qual è la storia? L'esatto contrario della meditazione, che mira proprio, dodicesima definizione, a smetterla di raccontare storie (p. 145)
Ristampa di un testo già uscito per Adelphi nel 2021 (e recensito qui sul sito di CriticaLetteraria da Claudia Consoli) "Yoga" di Emmanuel Carrère è il primo libro che leggo dell'autore francese. Non intratterrò allora con una critica vera e propria, ma con le impressioni che ho avuto leggendo questo libro.
Brevemente, Carrère racconta cos'è lo yoga e la meditazione in modo molto personale, come è nel suo stile, e il racconto non scorre in modo lineare, ma viene interrotto da alcune vicende traumatiche che deviano dal percorso principale, prima fra tutte l'attentato alla sede di Charlie Hebdo nel 2015 e successivamente la ricaduta dell'autore in una grave forma di depressione che ha richiesto addirittura delle sedute di elettroshock. Depressione che pare essere compagna di vita, quella che la sua amica americana Erica chiamerà l'Ombra e lui stesso depressioni melancoliche (p. 195).
La lotta portata avanti non è solamente contro questa condizione d'annientamento, ma per la conquista dell'amore e contro il proprio ego: quest'ultimo, chiodo fisso dell'autore, è il suo più grande nemico, il doppio che vive dentro il suo corpo e dentro la sua mente. Carrère cerca di razionalizzare, di dirsi che tutto sommato è un uomo fortunato a cui non manca nulla per essere felice, per raggiungere quello stato tanto agognato di meraviglia:
Ho detto spesso che bisogna relativizzarlo, che la sofferenza nevrotica non è meno atroce della normale sofferenza umana, ma paragonare allo strazio che hanno vissuto e che stanno vivendo questi ragazzi di sedici o diciassette anni la storia di uno che ha tutto, assolutamente tutto per essere felice, e che fa in modo di sabotare la propria felicità e quella della sua famiglia, è un'oscenità che trovo inconcepibile chiedere loro di capire e che dà ragione ai miei genitori, quando dicono che, durante la guerra, non ci si poteva permettere il lusso di essere nevrotici. (p. 255)
Dunque lui lo sa, è perfettamente consapevole dell'assurdità della sua condizione, ma non lo sono forse tutti quelli che soffrono, chi più chi meno? Da uomo intelligente e istruito, Carrère esamina e viviseziona profondamente la sua malattia: si autodefinisce "nervoso", parla di "noialtri", intendendo separare nettamente le persone che non sperimentano la depressione da quelli che ne vengono tremendamente colpiti. Qual è dunque la soluzione? Verrebbe da dire l'amore, ma in pratica si tratta di elettroshock e sali di litio, che assume tutt'oggi per tenere a bada il mostro.
Probabilmente la parte d'umanità tanto fortunata da non averci mai avuto a che fare non potrà mai capire questo tipo di malessere profondo, eppure il racconto è talmente vivido da toccare: se non noi, qualcuno della nostra famiglia, un parente, un caro amico, persino un conoscente, potrebbe esserne caduto, e quindi ci ritroviamo a empatizzare con le sue tribolazioni e la sua feroce autocritica, ché se da una parte si e ci assilla con il suo ego, dall'altra si rimprovera per lo stesso motivo.
Dice: "La mia triste storia personale può diventare universale" (p. 163) e non fatichiamo a crederci anche se non abbiamo mai subito una seduta di elettroshock e non abbiamo mai avuto pensieri suicidari: probabilmente Carrère esaspera il concetto per arrivare in modo più incisivo, ma se pensiamo la vita come una somma di alti e bassi (i suoi alti sono più alti e i suoi bassi più bassi) non possiamo evitare di porre noi stessi al centro di questa narrazione, di ricordare anche i nostri momenti di sconforto, quelli che pensiamo non passeranno mai. 
Chi può dire al mondo di essere sempre stato felice? Nessuno. In fondo siamo esseri umani ed è nella nostra natura soffrire. Carrère dice di soffrire di più, più intensamente e, all'opposto, di amare di più, più intensamente: nel libro infatti non ci parla solamente dei suoi "bassi", ma anche d'incontri incredibili, di passioni cinematografiche, di amicizie benedette, senza sapere cosa sia vero e cosa no, ma alla fine che importa? Bisogna mostrare che c'è una via d'uscita, altrimenti la sofferenza non avrebbe motivo d'esistere.
Come suo primo libro in assoluto che mi trovo a leggere, devo dire di esserne rimasta giustamente impressionata, non tanto per le sue capacità narrative che non sono in discussione, quanto per il suo talento di restare in bilico, ché leggiamo una pagina e pensiamo sia un astuto egoriferito, ne leggiamo un altra e crediamo sia un genio. Forse l'ago della bilancia in questo caso pende più verso la seconda considerazione, perché se un autore incuriosisce e ti viene voglia di leggere altro del suo catalogo, allora l'obiettivo è raggiunto (difatti, ho preso anche "Limonov" pochi giorni dopo aver letto "Yoga").
Lo consiglio a chi pratica yoga, a chi non lo pratica, a chi è stato depresso e a chi non lo è mai stato, e qualcuno potrebbe dire: quindi lo consigli a tutti? Effettivamente sì, non è una cattiva idea.

Deborah D'Addetta