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Il viaggio verso la montagna, nello spazio turbolento dell'io: Emmanuel Carrère è tornato con "Yoga"

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Yoga
di Emmanuel Carrère
Adelphi, maggio 2021

Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala

pp. 367
€ 20 (cartaceo)
€ 13,99 (ebook)





Noi siamo puro caos, confusione, siamo una poltiglia di ricordi e paure e fantasie e vane aspettative ma dentro di noi c'è qualcuno di più tranquillo, che vigila e riferisce. (p. 35)
A un certo punto di questo libro Carrère parla di un "dossier sullo yoga". Si tratta, effettivamente, di uno strano concetto di dossier: letterario, intimo, fluido e inarrestabile come i flussi della coscienza. Più che a un documento, sembra somigliare a un monumento.
L'acclamato autore francese è tornato e questo per il mondo editoriale è già un evento (a renderlo tale hanno contribuito anche alcune polemiche legate a un accordo legale tra lo scrittore e la sua ex moglie). Lo ha fatto con un libro che ancora una volta è un'indagine profonda dell'io, suo terreno di esplorazione privilegiato. Questa volta lo sguardo, sempre a cavallo tra memoir e autofiction, è rivolto ancor di più verso se stesso. "Il solito egocentrico Carrère", verrebbe quasi da dire, se alla fine dei conti lui non ci piacesse proprio per questo. Alla filosofia orientale rimandava anche il titolo della sua raccolta di scritti vari Propizio è avere ove recarsi, una delle risposte del libro oracolare cinese dell'I Ching. Lì aveva già lasciato che noi lettori lo spiassimo entrando all'interno della sua dimensione personale. Ma la scena che aveva offerto ai suoi spettatori amanti era ancora in gran parte quella del sé pubblico: Carrère lo scrittore di vite incredibili, lo sceneggiatore di storie impossibili, l'intervistatore di personaggi straordinari, lo studioso, l'incerto credente. Tanti Carrère in un solo Carrère. Un classico suo.
Eccolo di nuovo che parla di Oriente, qui in un viaggio al centro delle discipline che ha praticato e pratica: lo yoga, la meditazione, il tai chi
Sotto la superficie del racconto di queste arti e della loro ricerca di equilibrio c'è il solito mare in tempesta interiore di uno scrittore pieno di demoni che vengono ad assediarlo. La depressione l'ha colpito anni fa proprio quando credeva di essere arrivato al culmine del successo, proprio quando credeva di essere felice (no, non ce lo immaginiamo proprio un Carrère squisitamente felice). 
L'autore costruisce una sorta di inventario letterario di definizioni che rispondono alla domanda "Che cos'è la meditazione?": stare seduti, in silenzio, immobili; vedere le cose per come sono; non giudicare; arrestare le fluttuazioni mentali; essere al proprio posto in qualsiasi posto; essere coscienti di tutto; lasciar perdere; vivere nel qui e ora, sono solo alcune di queste. 
Non si limita a inserirle nell'ambito del racconto di un seminario di meditazione Vipassana, ma le colloca dentro un più ampio racconto di vita in cui trovano spazio l'attentato di Charlie Hebdo, un viaggio a Leros, il rapporto con i suoi editori (e con uno in particolare), il metodo typing.com, i ricordi familiari, le disavventure amorose e le avventure sessuali più coinvolgenti. E poi le sonate di Chopin, l'esperienza dei rifugiati, la morte. 
Come al solito ci consegna il senso di un viaggio esperienziale, che questa volta è diretto a una montagna talmente alta da sembrare irraggiungibile. 
La meditazione è un'arte che Carrère pratica mentre è intento a portare avanti le altre arti, prima tra tutte l'osservazione del sé soggetto. Il paradosso è tutto lì: mentre ci dice che "meditazione è scoprire che siamo altro da ciò che dice in continuazione: Io! Io! Io!", lui è immerso fino al collo nel proprio io:
Io mi occupo soprattutto di cosa significa essere me. Forse fin troppo. Di recente mi sono reso conto che la mia amica Hélène F. comincia quasi tutte le sue frasi con «tu» e io quasi tutte le mie con «io». Il che mi ha fatto riflettere. C'è una regola di bon ton un po' desueta che vieta di cominciare una lettera con «io»: avrei tanto da guadagnare se la osservassi, nella vita e nel lavoro [...] Quello che dovrei fare io è dare la caccia alle frasi che cominciano con «io». Difficile. Irrealizzabile? Problema arduo. Simone Weil, sempre lei, diceva: sono in pochi, alla fine, a sapere che gli altri esistono. A essere, semplicemente, al corrente dell'esistenza altrui. La meditazione, undicesima definizione, dovrebbe metterci al corrente di questo. Se non lo fa, se resta una faccenda tra noi e noi, allora non serve a niente: l'ennesimo giochino narcisistico. A un tratto ho paura che, almeno per me, altro non sia l'ennesimo giochino narcisistico. E questo mi rattrista. (pp. 101-102)
Essere uno scrittore egoriferito non è un limite di Carrère, è il suo più grande valore. Perché nel suo guardarsi ci guardiamo anche noi. Ecco che nell'io entra anche il tu del lettore e il cerchio (lo stesso che troneggia in copertina) si chiude. 
Lo facciamo con la stessa dolente vanità che lo contraddistingue ("il bastone della vanagloria, il bastone dell'odio verso se stessi", per usare sue parole).
L'autofiction rimane la frontiera - per me molto coraggiosa - di un'esplorazione solitaria in cui ci tuffiamo quando decidiamo di leggere un suo testo. 
Al di là delle polemiche, ci importa davvero che quella che lui racconta sia tutta la verità? E soprattutto: può esistere davvero una verità cristallina quando si parla dell'io? Se anche ci fosse, saremmo in grado di raccontarla? Queste sono le domande che mi porrei a proposito di Carrère, convinta che la sua letteratura parli anche del mio io.
Forse dovremmo smetterla di cercare la verità quando entriamo dentro un libro. Siamo tutti viaggiatori smarriti verso la montagna sconosciuta; quello che raccontiamo durante il cammino è semplicemente la nostra versione di una stessa storia. 


Claudia Consoli