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La rivista satirico-umoristica che ha fatto da banco di prova per la borghesia allargata degli anni Trenta: "Bertoldo e i suoi illustratori" di Cinzia Mangini e Paola Pallottino

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Bertoldo e i suoi illustratori

Bertoldo e i suoi illustratori
di Cinzia Mangini e Paola Pallottino
Ilisso, settembre 1994

pp. 208
€ 28,00 (cartaceo)


Nasceva così in quell'Italia in cui i gusci municipali e regionali erano ancora tanto duri da rompere, un fenomeno di linguaggio e di atteggiamento che s'estendeva a tutte le città (o almeno nel Nord e nel Centro) per cui i lettori del "Bertoldo" si riconoscevano subito tra loro appena scambiavano due battute. (p. 164)

Un fenomeno culturale e di costume che accomunava le letture della borghesia e che percorreva la penisola negli anni che andavano dall'incrollabile sostegno al regime fascista fino ai primi cedimenti con l'ingresso dell'Italia in guerra. Una rivista che ha segnato il modo di fare umorismo e che è rimasto nella nostra conoscenza inconscia fino agli ultimi decenni, ma che non è così vivo nella conoscenza e nella memoria di tutti: cos'era, quindi, Bertoldo?
Bertoldo
Primo numero del Bertoldo, 1936

Tra gli anni Venti e Trenta, l'Italia è un fermento di riviste in cui la satira e l'umorismo la fanno da padroni: tra i tanti, spiccano il Marc'Aurelio, a Roma, e il Settebello, anch'esso romano ma migrato a Milano dopo l'acquisto di Mondadori. A questo grande nome dell'editoria italiana se ne affianca un altro, quello di Rizzoli, che vuole pubblicare qualcosa di simile. Dopo varie prove per trovare il titolo giusto, si opta per Bertoldo, riprendendo il nome del contadino dell'opera omonima seicentesca di Giulio Cesare Croce. Partita come uscita bisettimanale nel 1936, la rivista, di circa sei pagine ogni numero, continuerà la sua vita fisica fino al 1943; la sua eredità intellettuale si spanderà nei decenni a venire perché in quella caotica e anarchica redazione dove non si rispettavano gli orari di ufficio, si scriveva al bar e ci si ritrovava a notte fonda, lavorarono alcuni dei nomi più potenti della cultura italiana. Due di loro, in particolare, faranno tesoro di questa esperienza e trasporteranno le loro competenze nella creazione del Candido nel secondo dopoguerra, settimanale dalla marcata impronta politica oltre che prima "casa" per il sindaco e il prete più famosi della Bassa: Don Camillo e Peppone. Le due figure a cui ci stiamo riferendo, sono Giovannino Guareschi e Giovanni Mosca.

Il panorama degli argomenti a cui ispirarsi per fare panorama della satira, del resto, non è mai stato tanto ampio per i bertoldiani. In alcune riflessioni significative al riguardo Guareschi ricorda le riunioni settimanali dei redattori i quali, intorno a un tavolo, si chiedono con angoscia: «Che si fa? (...) Non nel senso che ci manchino le idee, ma nel senso che abbiamo, purtroppo, delle idee. Tutto è intoccabile.» (p. 141)

Bertoldo e i suoi illustratori che contiene, oltre alla prefazione di Rossana Bossaglia, gli interventi critici di Cinzia Mangini e Paola Pallotino, porta avanti un esame delle immagini, non dei testi che si trovavano nella rivista. Un'analisi stilistica ed evolutiva delle varie penne e pennini che hanno prestato la loro opera nel corso dei sette anni di pubblicazione e che guida il lettore, anche inesperto, nelle caratteristiche di ogni vignettista, nelle ispirazioni e nelle influenze.
Bertoldo
Coppa, Casanova, 1936

Oltre ai già citati Mosca e Guareschi – che avrebbe messo a buon frutto la sua abilità di illustratore nei disegni per Don Camillo – veniamo guidati nelle vedute paesaggistiche di Carlo Dalla Zorza, nei semplici tratti di Carletto Manzoni che virano verso il surrealismo, fino ai tratti filiformi di Saul Steinberg che avrebbe collaborato con il Bertoldo fino all'emanazione delle leggi razziali nel 1938. 
L'equilibrio richiesto ai bertoldiani non era semplice. Si trattava di far ridere senza toccare argomenti spinosi per evitare i richiami del MinCulPop che scriveva spesso a Rizzoli per esortarlo a un controllo maggiore sugli argomenti pubblicati.

Si rinnova ancora una volta l'invito a codesta direzione perché sia attentamente esaminato e vagliato il materiale da pubblicare scartando ogni argomento che possa comunque riguardare la politica interna, materia della quale è bene che i periodici umoristici non si occupino affatto. (p. 159)

Monito che Guareschi non deve aver dimentica e che, per reazione, lo porterà a esprimere con quanta più forza possibile le sue opinioni politiche nell'esperienza del Candido.
Bertoldo, come evidenzia Rossana Bossaglia nella prefazione, "era una lettura per tutti. Non presupponeva un pubblico né smaliziato né ingordo né morboso" per quanto alcune vignette come I soldati del Carrilon di Guareschi non risparmiassero bonarie prese in giro al mondo monarchico-militare. Proponeva giochi intellettuali illustrati, fidelizzando il pubblico con delle rubriche e dei personaggi fissi come le celebri Vedovone di Guareschi e il Veneranda di Manzoni. 

Bertoldo
Guareschi, Vedovone, 1937-38


Si scagliava contro le correnti artistiche, non risparmiava le caricature a personaggi dello spettacolo riconoscibili dal pubblico e forniva una koinè linguistica transregionale dove tutti sapevano cosa di intendeva con l'espressione "pissi pissi bao bao" e ridevano del "purismo o morte" in difesa della purezza della lingua italiana (ebbene sì, il conservatorismo linguistico non è prerogativa solo contemporanea).
L'apparato iconografico di questo volume è ricchissimo e con didascalie che rimandano puntualmente al testo in modo che anche il lettore meno esperto possa seguire le caratteristiche e le finezze artistiche. E, se si vogliono anche solo leggere le battute, in alcuni casi scappa proprio una risata perché alcune freddure e situazioni, da vintage, hanno fatto il giro e sono tornate attuali.

Cristoforo Colombo
Mondaini, La scoperta dell'America 1937


Chiudiamo con un piccolo accenno e un'avvertenza nella lettura dei testi che accompagnano le vignette. È umorismo intelligente, mai grossolano o volgare – in questo, la rivista aveva voluto allontanarsi dallo stile del Marc'Aurelio – fatto di richiamo ai modi di dire, meta letteratura e sciarade. In alcuni casi, le battute potranno quasi sembrare tratte da un numero dell'attuale Settimana Enigmistica; la battuta sulle caravelle di Colombo che diventano "caramelle" è un gioco che da bambini abbiamo fatto tutti e nasce dalla vignetta di Giaci Mondaini. In alcuni casi saranno verbalmente violente, soprattutto nella rappresentazione dei rapporti tra i sessi. Andranno tutte interpretate come spia e termometro dei tempi. Nulla è immediato come la satira per fare riferimento a un determinato periodo storico, con tutti i suoi elementi caratteristici, da considerare nell'ottica della scrittura del tempo.

Giulia Pretta