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Il ritratto senza sconti di una generazione, vent'anni dopo: «Tutti giù per terra - remixed», di Giuseppe Culicchia

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Tutti giù per terra - remixed
di Giuseppe Culicchia
Milano, Mondadori, 2014

pp. 142
€ 16,00 (cartaceo); € 10 (tascabile)
€ 6,99 (ebook)

 

Aprile 1994: per Mondadori esce Tutti giù per terra, romanzo di Giuseppe Culicchia, giovane autore promettente, che si affaccia al mondo editoriale con alle spalle l’incoraggiamento e la stima di Pier Vittorio Tondelli. L’opera è un romanzo generazionale, che inquadra senza pietà lo smarrimento dei giovani che a metà degli anni ’90 sanno di non potersi aggrappare ai solidi appigli della società dei loro padri, per costruire il loro futuro, e in poco tempo il libro diventa un piccolo cult, tanto da farne un film con Valerio Mastandrea, al pari di altri che hanno fatto la storia, inserendosi nel filone della crisi di un’epoca (su tutti, il celeberrimo Jack frusciante è uscito dal gruppo).

Vent’anni dopo, il 1° aprile 2014, l’autore decide di dare alle stampe non un seguito, come ci si sarebbe potuti aspettare e come spesso accade, bensì una riscrittura della storia ai giorni d’oggi. Esperimento decisamente interessante, se contiamo che la società dei primi anni 2000, in cui la vicenda è immersa, è ormai completamente diversa da quella degli anni ‘90. Tuttavia, leggendo il libro, quello che pare evidente è che cambiano gli strumenti – l’avvento di Internet, dei cellulari, dei social – ma non cambia lo smarrimento del protagonista: un altro figlio della crisi, che sa solo cosa non vuole essere. Il risultato che ne viene fuori è a dir poco drammatico poiché tale riscrittura dimostra che il ritratto di Culicchia è purtroppo ancora attuale.

Certamente la vicenda del protagonista non vuole essere rappresentativa di tutti i giovani che si affacciano all’età adulta, tuttavia ne rappresenta sicuramente una parte, e fotografa una condizione esistente.

«Giro giro tondo, casca il mondo… Da troppo tempo il mondo sembra sul punto di cascare e io nell’attesa mi limito a girare in tondo, giorno dopo giorno. Faccio sempre più o meno lo stesso percorso. Senza una meta. Ogni mattina gli stessi video. Le stesse notizie. Gli stessi scatti. Ogni pomeriggio le stesse vie. Le stesse vetrine. Le stesse facce. I commessi guardano fuori dai negozi come gli animali allo zoo guardano fuori dalle gabbie. Rispetto a loro mi sento libero. Ma sono solo libero di non far niente.» (p. 9)

Il libro inizia così, inquadrando la condizione del protagonista, il quale vive la propria vita senza una direzione precisa, né ha una meta a cui tendere. Lo seguiamo passare da un lavoro all’altro, da un incarico presso il Servizio Civile ad un contratto temporaneo presso il Salone del Libro di Torino, fino ad un impiego presso un “Banana Store”, riferimento piuttosto esplicito ad un colosso dell’informatica. Nel mentre, qualche relazione di poco conto, serate in discoteca in cui la noia lo devasta, qualche colloquio e un’iscrizione poco convinta alla facoltà di lettere e filosofia.

L’opera presenta diversi tratti interessanti, come ad esempio, la ciclicità: tale movimento ripetuto e inconcludente, che caratterizza la vita del protagonista, sembra riflettersi anche nella struttura del libro, il quale inizia con una riflessione sul contrasto tra la sua apparente libertà e la vita degli impiegati, chiusa in scatole di vetro (i negozi e gli uffici), ritratti mentre guardano al di fuori dalla gabbia, e finisce con lo stesso ragionamento, in questo caso rivolto alla sua condizione.

Sono inoltre presenti dei divertenti e autoironici inside-jokes, come i riferimenti allo stesso autore: prima di tutto, il "Banana Store" presso cui il nostro protagonista trova un lavoro si trova dove prima c’era una libreria e da quello che sappiamo Culicchia, prima di diventare uno scrittore, ha lavorato presso un negozio di libri dove oggi sorge un punto vendita di una grande catena di hardware; inoltre, nello stesso romanzo, compare addirittura lo stesso Culicchia: al Salone del Libro, Walter, in un impeto di coraggio, consegna i propri racconti proprio all’autore.

«È a fine turno che il venerdì mi spingo fino allo stand della Mondadori. Giuseppe Culicchia firma le copie del suo nuovo romanzo. Non ho mai letto niente di suo. Con me ho una decina di racconti scritti dopo la fine del servizio civile volontario. Dentro lo stand Culicchia è circondato da giovani lettori. Lui è gentile, firma a ciascuno la sua copia disegnando una faccina.» (p. 71)

Il dialogo che segue, sull’opportunità di scrivere e sull'importanza della scrittura, avviene tra l’autore, o meglio, la sua rappresentazione romanzesca, e il protagonista, e ciò è a dir poco paradossale ma presenta un carattere surreale da tenere in considerazione: tale parentesi diventa una sorta di gioco di specchi grazie al quale il lettore si potrebbe aspettare una risoluzione definitiva, una specie di liberazione e di rivelazione, dopo la quale il protagonista finalmente potrebbe trovare la sua strada.

In realtà, queste aspettative vengono disattese e Walter si ritrova nuovamente a vagare tra colloqui improvvisati e lavoretti saltuari, senza crederci davvero. È, quindi, forse, quest’ultimo l’aspetto che colpisce di più, ovvero la totale mancanza di determinazione: come detto precedentemente, la figura del protagonista non si può certo considerare come rappresentativa di un’intera generazione; tuttavia, è innegabile che ne possa rappresentare una parte. Colpisce, di conseguenza, il suo procedere, come tra le onde del mare, da una storia all’altra, senza mai riuscire a scorgere una luce da seguire. Infatti, il finale lascia a bocca aperta, poiché, aperto ed enigmatico, lascia intravedere una vasta gamma di possibilità, senza poter prevedere quale sia quella più probabile.

Valentina Zinnà