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Donne in tensione tra i modelli pre-bellici e l'emancipazione: "Giorni felici" di Brigitte Riebe

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Brigitte Riebe

 
Giorni felici
di Brigitte Riebe
Fazi editore, settembre 2021 
 
Traduzione di Teresa Ciuffoletti e Nicola Vincenzoni
 
pp. 402
€ 18,50 (cartaceo) 
€ 9,99 (ebook) 


Silvie ha il cambiamento nel sangue, in famiglia non lo capiscono e parlano di "instabilità", ma lei sa perfettamente che nulla rimane mai così com'è, e che tutto è destinato a mutare in continuazione. (p. 12) 
Gli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, quando Berlino era solo un cumulo di macerie e andava inventato un nuovo futuro recuperando quanto possibile dei sogni e delle aspirazioni del prima, erano gli anni di Rike Thalheim. Organizzata, pragmatica e indefessa lavoratrice, la maggiore delle sorelle è stato il punto di vista per la narrazione del primo volume della saga delle sorelle del Ku'damm, Una vita da ricostruire (trovate qui la recensione). Il nuovo decennio e il nuovo romanzo di Brigitte Riebe, Giorni felici, danno voce a Silvie, la passionale e affascinante ragazza che con la sua voce aveva incantato il circolo degli ufficiali inglesi e che vive tutto con ardore: dalle storie sentimentali al lavoro, in lei non c'è nulla di scialbo o vissuto a metà. Nel 1952, alla ripresa della storia, tutto sembra andare per il verso giusto: Oskar è rientrato dal campo di prigionia russa, il lavoro alla radio procede con notevole successo, non manca un'avventura sentimentale che dovrebbe guarirla dagli abbandoni del passato e il boom economico lavora a favore dei grandi magazzini di famiglia. Eppure non è tutto a posto per Silvie: lei, così emancipata ed energica, così poco attenta alle convenzioni sociali, lei che percorre spericolata a cavallo della sua Vespa il Ku'damm, non riesce a togliersi dalla testa un ritornello che pare mostrarle quanto la sua vita sia poco completa. 
Senza un uomo. Senza una casa. Senza un figlio. (p. 191)
Come già si ragionava nel parlare del precedente capitolo della saga, la Storia non ha sempre una sua linearità. Non è tesa verso un continuo progresso, ma è fatta di battute d'arresto e di quelle che possono sembrare regressioni. Le donne, che nel periodo della guerra e nell'immediata fine del conflitto si erano fatte carico di ruoli e attività prima solo appannaggio maschile, negli anni Cinquanta vivono un'inversione di rotta. Gli uomini sono tornati dalla guerra, rivendicano le loro posizioni e le intrepide che avevano liberato Berlino dalle macerie rientrano nel ruolo domestico. È il caso di Claire, moglie di Friedrich e madre di Flori, che si occulta di nuovo dietro l'ombra del marito tanto che Rike stenta a riconoscerla. La stessa moda indica questa tendenza: le donne vestono in maniera colorata, perfettamente abbinate in ogni minimo dettaglio a scapito della praticità, come se dovessero essere oggetti d'arredo gradevoli da guardare ma senza alcuna funzione attiva se non quella di essere buone madri e devote mogli. Lo vive sulla sua pelle Rike che, con il ritorno di Oskar dalla guerra, si vede esautorata di parte del suo ruolo all'interno dei grandi magazzini per volere del padre che riesce a vedere solo nel figlio maschio il suo degno successore negli affari, nonostante lui sia "inesperto, incompetente e, a quanto pareva, per niente motivato" come deve riconoscere, a malincuore, la stessa Silvie.
Come Silvie – come tutte le sorelle Thalheim, in realtà – stoni in questo inquadramento della figura femminile è subito evidente. Una delle voci radiofoniche più amate della Germania senza distinzione di Est e Ovest, anzi all'Est vista come un'esponente della cultura capitalista proprio mentre la tensione tra le due superpotenze sta crescendo, creatrice di nuovi format e, anche se non è il suo interesse principale, molto più brava del fratello nell'offrire i propri talenti per l'azienda di famiglia, Silvie soffre per la sua vita sentimentale burrascosa.
Un polacco senza un vero lavoro, un amico ebreo che non mi ha mai preso sul serio perché non ebrea, e infine un convinto comunista con due figli, che per motivi di coscienza non avrebbe mai divorziato: di amori sbagliati ne ho già avuti abbastanza! Almeno una volta nella vita non potrei innamorami di un uomo affidabile, che mi tratti con ogni riguardo e che abbia una professione rispettabile? (p. 41)
Proprio lei che della rispettabilità, delle convenzioni e del rigore, qualità che ha sempre solo tollerato in Rike, non ha mai saputo cosa farsene, scopre in realtà di desiderare ciò che ha sempre snobbato: un uomo, una casa e un figlio. 
Silvie che, nonostante la sua modernità, resta sorpresa nello scoprire che Miriam si intende di politica e che, anche se riconosce che Oskar non è adatto al mondo degli affari, non esita a coprirlo e supportarlo di fronte a Rike che invece non ha la benché minima intenzione di farsi scalzare solo in quanto donna.
Sono stufa di sentire questa storia! Trincee e prigionia non possono giustificare ogni fesseria che fa. Dopotutto non è stato l'unico ad andare al fronte e a finire in un campo di prigionieri di guerra. È toccato a intere generazioni, ma ora quegli uomini sono tornati al lavoro, e senza tanti capricci. (p. 80) 
Si sfoga e Silvie riesce solo a pensare che la sorella si comporta così per via degli ormoni, mostrando un maschilismo interiorizzato e nemmeno riconosciuto.
"Sei diventata una borghesotta come tutti gli altri" la accusa Flori nella sua esuberanza e ribellione giovanile.
Verrebbe da cedere alla tentazione della delusione nei confronti di Silvie che sembrava così avanti per i suoi tempi e invece si rivela più tradizionalista di quanto non ci si aspettasse. Ci sono però due aspetti da considerare: il primo è che lei vive in un periodo storico in cui ci si aspetta che le donne si riconformino ai modelli pre-conflitto che lei ha interiorizzato e non sa come gestire né riconoscere. Il secondo è che la narrazione della realizzazione femminile, quale che sia l'epoca, non si discosta mai molto dal modello uomo-casa-figlio. In un prodotto recente e ai suoi tempi di rottura, Sex and the city – che con tutte le riletture e le critiche che gli si possono muovere ha davvero segnato un'epoca –, la protagonista riflette 
Si è sempre in cerca di un lavoro, di un ragazzo o di una casa; mettiamo di averne due su tre e che sono favolosi, perché permettiamo all'unica cosa che non abbiamo di rovinarci quelle che invece abbiamo?
Silvie è già così moderna da sembrare tornata indietro perché, forte dell'emancipazione lavorativa e della posizione che ha raggiunto solo con le sue forze, può permettersi di struggersi per amore rendendola più simile a un'eroina americana di inizio millennio che non a una donna degli anni Cinquanta. 
Resta da attendere l'ultimo capitolo della saga e – ma qui entriamo nel campo dell'illazione – sarebbe interessante sentirlo raccontare dalla voce di Flori che con la sua inquietudine di nata durante il Terzo Reich e adolescente in una Germania della Guerra Fredda sarebbe la perfetta incarnazione degli anni Sessanta e dei suoi movimenti.
Giulia Pretta