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Un ritratto chiaroscurale dell’animo umano e dei suoi sentimenti più reconditi: l’ultimo, magistrale, romanzo di Alessandro Piperno, «Di chi è la colpa»

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Di chi è la colpa
di Alessandro Piperno
Mondadori, 14 settembre 2021

pp. 444
€ 19,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Dopo cinque anni dall’ultimo libro, Dove la storia finisce (Mondadori, 2016), Alessandro Piperno torna in libreria con un nuovo romanzo, Di chi è la colpa. Già il titolo propone un interrogativo etico-morale non di poco conto, che troverà spiegazione nelle ultime pagine del libro. Ma cominciamo dall’inizio: il libro racconta di un ragazzo che è cresciuto in una famiglia ben poco idilliaca, con genitori litigiosi e animati da rancori repressi che esplodo in frequenti scontri notturni. A questo risultato contribuiscono i non pochi debiti e le gravi difficoltà economiche che il padre attraversa, e a cui non riesce a far fronte, e il passato misterioso della madre:

«Ma che pensare di lei? Il suo riserbo aveva il potere di conferire al passato tratti fumosi ed enigmatici assai poco confacenti alla signora della luce. Come riusciva a non farsi scappare allusioni ai genitori, alla casa avita e alle vacanze? E perché mi era così difficile figurarmela se non come era adesso? Non era ignobile che una persona così specchiata non mettesse le carte in tavola, non esponesse fino in fondo sé stessa? O forse il problema era che di lei non c’era niente da sapere se non che da bambina era stata solo un po’ più giovane di adesso.» (p. 62)

Divenuto un po’ più grande, alle soglie dell’adolescenza, finalmente scopre che un passato, nella vita della madre, c’è e che è costituito da una famiglia benestante, i Sacerdoti, composta da numerosi membri, da cui la donna ha voluto allontanarsi per motivi che lasciamo al piacere della vostra lettura. L’occasione per un primo riavvicinamento è costituita da una festività della Pasqua ebraica a cui essa viene invitata, con marito e figlio. Si viene così a sapere che sua madre proviene da questa famiglia, decisamente caratteristica e costituita da membri talvolta poco alla mano ma che esercitano su di lui un fascino irresistibile. Attrazione che si accrescerà ulteriormente poco tempo dopo, quando lo zio Gianni inviterà il nostro in un viaggio in America con lui e i cugini. Tutto sembra scorrere come sempre quando accade un fatto tragico, destinato a cambiare per sempre le vite delle due famiglie e a unirle indissolubilmente.

La fama di Piperno precede e accompagna il suo nome: vincitore del premio Campiello Opera Prima, del Premio Strega e del Prix du meilleur livre étranger. A questi riconoscimenti si affiancano la sua attività di docente presso L’Università di Roma Tor Vergata e, da novembre 2020, la carica di direttore de I Meridiani. Questo per dare una breve -seppur incompleta- panoramica dell’autore.

Ma concentriamoci sul libro: anche stavolta Piperno si dimostra un ottimo romanziere, una delle voci più raffinate del nostro panorama editoriale e sicuramente uno degli autori di punta dei nostri tempi. Uno scrittore che riesce a costruire una storia in maniera efficacemente magistrale, gestendo alla perfezione attese, coup de théâtre e anticipazioni, senza il minimo tentennamento, ed è in grado – senza dubbio alcuno – di raccontarla con una forma precisa e una lingua esatta, eccellente e di livello. In poche parole, Piperno possiede una fulgida capacità di creare storie appassionanti e di saperle raccontare in maniera altrettanto avvincente, impreziosendo il tutto con una scrittura eccelsa e raffinata.

È infatti magistrale il modo in cui riesce a illustrare la metamorfosi lenta e implacabile subìta dal protagonista: la famiglia della madre, che dopo la tragedia di cui sopra si fa sempre più vicina, ha su di lui un effetto pervasivo e costante, trasformando il ragazzo pian piano in una versione alquanto differente dalla precedente. A poco a poco, quel modo di vivere della famiglia Sacerdoti che durante il viaggio a New York aveva avuto modo di osservare da vicino e approfonditamente e che aveva suscitato in lui tanta meraviglia e altrettanto stupore, ora s’impadronisce di lui, inesorabilmente e silenziosamente. Tutto ciò, però, provoca nel protagonista delle crepe interne, dei rovelli, che lui stesso inizialmente ricaccia indietro, sordo a delle verità che ha paura di svelare. Più che sulla verità, tuttavia, il romanzo di Piperno trova il proprio fulcro e la propria ragione di esistere nel concetto che sta alla base del titolo assegnato al libro, la colpa. Tema tra i più complessi da trattare, su cui alcuni dei più importanti romanzieri russi (Tolstoj viene citato, in apertura) hanno basato i loro scritti, se non addirittura l’intera loro opera; Piperno ci dà conto della sua personale elaborazione di una vicenda che da fatto di cronaca diventa un viaggio all’interno di un sentimento misterioso e profondo; un itinerario non facile da affrontare per il nostro protagonista, il quale, per pareggiare i conti col passato dovrà giocoforza affrontare i fantasmi che esso porta con sé, fino a scoprire che la verità su cui si era basata la sua vita finora, e quindi anche la sua menzogna, forse non era così autentica. È nei territori della mistificazione, del senso di colpa taciuto e nascosto che si cela l’opera di falsificazione e metamorfosi messa in atto dal protagonista: forse – è possibile ipotizzare – un meccanismo di autodifesa, più o meno inconscio, con cui egli sceglie di proteggersi.

Niente sembra più avere senso e rispondere a un qualsivoglia desiderio disperato di mettere un ordine, un discrimine chiaro e preciso, al di là del quale mettere i colpevoli e tirare una riga dritta, salda e immutabile, tra vittime e carnefici. Non è così: le cose si confondono, le tracce si fanno più difficili da seguire e il nostro non può o forse non vuole sapere di più. Senza esclusione di colpi, le parti si invertono, i colpevoli diventano vittime e viceversa, e poi ancora di nuovo. La verità, la menzogna, la colpa: tutto pare sciogliersi e mischiarsi nell’animo del protagonista. Il finale pare restituirci un disegno conclusivo, forse finalmente risolutivo, di colui che ormai è diventato un uomo.

Tutto ciò si fa ancora più interessante se notiamo che l’autore sceglie una prima persona singolare per il racconto della vicenda: è lo stesso protagonista, infatti, a parlare della propria storia, offrendo così al lettore l’occasione di confrontarsi con una delle più grandi questioni su cui la critica letteraria si interroga da sempre di fronte a casi di questo tipo, ovvero l’attendibilità del narratore, il quale, essendo in prima persona implicato nelle vicende, offre un punto di vista personale e perciò potenzialmente influenzato da sentimenti individuali. E quindi anche l’attribuzione di una colpa, può risultare di difficile interpretazione. Nell’ultima parte del libro la storia arriva alla sua risoluzione e l’abilità narrativa di Piperno raggiunge il suo apice: una volta girata l’ultima pagina si resta interdetti per quanto accaduto e si ritorna alla citazione di Toltoj posta in apertura, che qui trova la sua spiegazione.

Con questo romanzo Piperno si inoltra nei meandri di sentimenti atavici e primordiali e lo fa con la consueta bravura, con la sua sicura capacità di introspezione e analisi psicologica che già abbiamo avuto modo di saggiare nelle precedenti pubblicazioni. Allo stesso modo, sono presenti temi che già abbiamo incontrato: la famiglia, colta nelle sue più intime dinamiche, talvolta anche contraddittorie, la riflessione introspettiva, i sentimenti atavici che animano le vicende umane, solo per fare qualche esempio. Come spesso accade nei grandi narratori, si crea un microcosmo in cui alcuni temi diventano ricorrenti, diventando così prospettive, chiavi di lettura, peculiari e caratteristiche di quell’autore, sempre però orientati in direzioni varie e originali.

Un’altra caratteristica che colpisce è l’assoluto equilibrio con cui Piperno racconta le vicende; mai oltre, mai troppo: sebbene alcuni dei fatti raccontati nel libro (la vicenda tragica di cui sopra, ad esempio) potrebbero effettivamente fornire allo scrittore l’occasione di spingersi nei territori del pulp, Piperno assume una voce narrativa equilibrata e, senza risultare mai patetico ed esagerato – anzi, al contrario, riuscendo a mantenere un controllato equilibrio nei confronti di ciò che viene scritto –, riesce lo stesso a smuovere nel lettore sentimenti ed emozioni differenti, arrivando così alla difficile impresa di confezionare un libro appassionante, ben scritto, con un significato profondo, che costituisce il fondamento dell’opera. Un testo, insomma, costruito con una saggia progettazione e una precisione millimetrica nel rendere sia i personaggi (magistrale il ritratto chiaroscurale di cui è oggetto lo zio Gianni, ad esempio) che ruotano attorno al protagonista sia i sentimenti – complessi, contorti, talvolta contraddittori – che si nascondono nel cuore di quest’ultimo Allo stesso modo, altrettanto accurato e studiato è l’impianto generale della storia: anticipazioni sibilline che il narratore-autore concede al lettore, affermazioni icastiche su alcuni dei temi portanti, appelli che giustificano l’importanza di un personaggio, tutto è studiato per costruire un libro in cui niente, davvero niente, è lasciato al caso.

Valentina Zinnà