Roma capovolta
di Giò Stajano
Feltrinelli, giugno 2025
pp. 176
€ 16 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)
"Hai ragione," replicai. "Ma non è per la gente, è per me... Se porto i capelli tinti d'argento e mi vesto con camicie di raso non posso abbracciare una donna, ammesso che mi vada di farlo. Sarebbe ridicolo, no?...
"Perché ridicolo? Nel Settecento come si vestivano? In fondo tu sei un po' uomo e un po' donna. Perché vuoi complicarti la vita?" esclamò. "Non devi fare proprio nessuno sforzo per cambiare. E poi, cambiare che cosa? Basta che quando stai con qualcuno, a seconda di chi si tratti, lasci fare al tuo istinto di quel momento... Più semplice di così...
E riprese ad incollare sulla parete le proprie fotografie.
"Ma non è coerente..." osservai. "Si deve essere o in un modo o in un altro."
"Non c'è niente che sia soltanto in un modo," sentenzia. "Prendi il numero quattro, per esempio. Può essere: due più due o cinque meno uno. Può essere: trentadue diviso otto, o tremilasettecentocinquanta meno tremilasettecentoquarantasei... o addirittura la radice quadrata di sedici... Eppure rimane sempre il numero quattro..."
Ammisi che aveva ragione. Ma, in realtà, quando scesi dal suo studio non ne ero gran che convinto. (p. 89)
Contessa Maria Gioacchina Stajano Starace Briganti di Panico, nota semplicemente come Giò Stajano (Gioacchino Stajano Starace, conte Briganti di Panico, all'anagrafe): nata uomo, di nobili natali, è stata autrice, giornalista, pittrice transessuale italiana, facendo parlare moltissimo di sé per aver dato scandalo in molteplici occasioni durante quello che chiamiamo il periodo della "dolce vita" romana, a cavallo degli anni '50 (una nota: mi riferirò a Stajano al femminile per rispettare la sua transizione di genere).
Dicono di questo testo che sia stato il primo romanzo dichiaratamente omosessuale a essere stato pubblicato in Italia: Walter Siti, nella postfazione, chiarisce bene la questione:
Roma capovolta, il romanzo uscito nel 1959, passa per essere "il primo romanzo italiano che parlasse in prima persona e in modo esplicito dell'omosessualità". È vero e non è vero. Fabrizio Lupo, di Carlo Coccioli, è del 1952 e Atti impuri di Pasolini è addirittura del 1947, per non parlare di Ernesto di Umberto Saba, del 1953. Certo, né Pasolini né Saba avevano osato dare alle stampe il loro romanzo, e Coccioli aveva dovuto pubblicarlo in Francia.
L'Anonimo lombardo di Arbasino esce nello stesso 1959 qualche mese dopo, però il racconto principale, Giorgio contro Luciano, stava già nelle Piccole vacanze del 1957.
Si tratta, d'accordo, di un racconto e non di un romanzo, e le voci narranti sono due. Ma insomma, come si dice, i tempi erano maturi: un amante della cultura francese come Stajano non poteva ignorare (o forse sì?) il Corydon di Gide o Le livre blanc di Cocteau che risalgono agli anni dieci e venti, mentre degli anni quaranta sono Les Amitiés particulières di Peyrefitte e Le sabbat di Maurice Sachs. Fatto sta che Stajano pensa il proprio romanzo come se la propria confessione fosse pionieristica e ci si dovesse turbare ai suoi svelamenti. (pp. 164-165)
Dunque Roma capovolta: l'aggettivo si riferisce senz'altro all'appellativo in voga all'epoca, quando gli uomini omosessuali venivano chiamati "invertiti", ma anche alla denuncia della falsità dello splendore romano, dei suoi café, dei suoi club, dei suoi personaggi assurdi e incoerentemente irresistibili (in questo senso, ho avuto come l'impressione che il romanzo fosse sorrentiniano ante-litteram).
Stajano racconta la sua vita a Roma come pittrice, dei suoi tentativi di incontrare l'amore degli uomini importanti che ha cercato di trattenere nella sua vita, con un certo patetismo e una propensione alla drammaticità quasi cinematografica. Dapprima il grande amore, Giorgio, con il quale avrà il classico rapporto tira e molla che oggi definiremmo "tossico"; poi una sequela di altri personaggi che non fanno altro che approfittarsi di lei, della sua casa, del suo denaro, del suo cuore aperto senza difese; e poi Enzo, l'ultimo ma non ultimo, il quale causerà al personaggio di Giò la disillusione e il disamore.
Viene affiancata da un ventaglio ampio di personaggi bizzarri (la cui scoperta, all'epoca, fu l'intrattenimento più divertente per i lettori, perché Stajano nascondeva dietro i loro nomi di fantasia persone realmente esistenti della città, anche molto note): l'onorevole Fiorenzo, coi suoi kimono di seta e il denaro con cui pagava gli uomini con cui andava a letto; Fiaba, che altri non era che la pittrice Novella Parigini; Emilio, nella realtà Schuberth, il sarto delle dive; il senatore Pasticcetto, evocato da una sua mantenuta, Maurella, che probabilmente era un pezzo grosso che sedeva in Parlamento, e così via.
Non è escluso che anche i suoi amanti siano davvero esistiti.
La narrazione procede saltando di festa in festa, di serata alcolica in cene e pranzi a via Margutta o a Via Veneto, in mezzo a una pletora di figure che lei stessa chiama "gli uomini così", ovvero gli omosessuali. Roma ne pare piena, tant'è che viene detto nel romanzo:
Luciano giocava a sollevarmi in braccio e a lasciarmi cadere in acqua. Io gridavo aiuto, fingendomi spaventato e mi aggrappavo al suo collo come un amante, sotto il fuoco degli sguardi scandalizzati di tutta la borghesia in villeggiatura. Lo facevo apposta. Volevo metterli di fronte alla realtà, costringerli a non poter più fingere di ignorarla, secondo la loro comoda abitudine.
Non c'è avvocato, medico, ingegnere, o altro professionista, i cui figli (purché l'aspetto fisico glielo consenta) non abbiano avuto rapporti con qualcuno "così".
I padri li vedono spendere denaro che essi non hanno loro dato, li vedono indossare camicie o pullover o vestiti che essi non hanno comperato... Da dove viene quella roba e tutto il resto? In famiglia non se ne parla mai, e le nonne continuano a raccontare che le fatine buone vanno in giro per il mondo distribuendo doni ai ragazzi che se li sono meritato, e col tocco della loro verga magica trasformano in principi i poveri... Veramente magiche quelle verghe... (pp. 22-23)
Lo stile di Stajano alterna passaggi ironici come questo di poc'anzi a interi periodi di eccessi opposti: o la gioia più sfrenata - e quindi frivolezze, shopping, regali, bevute e mangiate, e una Roma splendida splendente - o lo scoramento più nero - e quindi istinti suicidi (nel testo, Stajano proverà a suicidarsi come Marilyn, coi barbiturici), depressione, avvilimento, disamore, una Roma crepuscolare.
Possibile che la mia anima, i miei sentimenti, valgano tanto poco che chiunque può avvilirli a suo piacimento? Pensavo. Possibile che tutti abbiano più diritti di me? Che tutti possano manifestarli, questi diritti, ed io no? E, se fosse andata sempre così, che cosa dovevo aspettarmi dal futuro? Anzi, valeva la pena di aspettarlo?
Era meglio dormire. Addormentarsi per tanto tempo e dimenticare, dormendo, me stesso e ogni cosa. Non vedevo l'ora di arrivare a casa. Piangevo, nell'autobus, senza preoccupazione di nascondere le lacrime.
Non mi importava che potessero vedermi. Era come se fossi stato solo. Appena arrivai in camera mia presi la scatoletta di Pronox e ingoiai tutte le pasticche che conteneva. Volevo dormire il più a lungo possibile. Dormire per tutta la vita... (p. 99)
Cè una nota masochistica nel personaggio: Giò ama solo uomini etero, solo uomini che prima di portarsela a letto premettono ipocritamente: "a me piacciono le donne, però". Intanto, in quel suo letto, ci passano politici, vescovi, attori, giornalisti, avvocati, marinai, artisti. Tutti.
Pure le donne. Perché probabilmente il pregio migliore del testo è aprire, in tempi ancora non maturi, il dibattito su una questione: la fluidità di genere. Vero è che Giò Stajano si considerava - quando era uomo - omosessuale, ma poi ha compiuto la transizione di genere, e nel testo si fa venire parecchi dubbi circa la natura del suo desiderio: "si deve essere così o così". Eppure, Fiaba spalanca le porte a una narrazione meno rigida: "non c'è niente che sia soltanto in un modo".
Per l'epoca - parliamo della fine degli anni '50 - questo era progressismo.
Dunque il romanzo non è solo una sequenza ordinata delle avventure più o meno riuscite di Stajano, ma anche la cronaca dell'ipocrisia borghese che voleva la casa pulita e il garage sporco; la moglie impeccabile e la prostituta dietro l'angolo; l'omofobia e le notti a nascondere rapporti omosessuali in qualche sordido motel o club.
Eppure ragazzi e uomini molto belli, ai quali piace andare con le donne, vanno con costoro per un qualche interesse (grande o piccolo che sia) superando a cuor leggero ogni scrupolo morale, giustificandosi col dire a sé stessi: "Tanto ci vado per interesse...".Spesso gloriandosene, anche, con gli amici, senza rendersi conto di essere scesi così al di sotto del livello delle prostitute. E tutto questo è veramente triste per l'umanità. Desolante. Avevo sempre creduto che essere "uomo" significasse essere forte, avere una dirittura morale, una dignità, un carattere... Invece pare che, oggi come oggi, essere uomo non significhi altro che possedere la capacità di andare a letto con una donna, suscitando così i desideri degli omosessuali ed essendo pronti a soddisfarli... E si badi bene che non tutti gli omosessuali sono passivi, come comunemente si crede; e i pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati sono molti dị più di quanti non si pensi, fra i quali non pochi "virilissimi" attori e "aitanti" campioni, idolatrati e sognati da migliaia di donne... (p. 154)
Questi passaggi meravigliano e gratificano per la loro estrema modernità. Insieme ai legittimi dubbi circa la sua natura e il suo desiderio sessuale e affettivo, che palesa nel testo a favore dei lettori e delle lettrici, sono i punti più centrati del romanzo.
Tuttavia, non ho apprezzato molto il tono della narrazione: non amo particolarmente i toni lagnosi, commiserevoli, drammatici in modo mieloso. Stajano di fatto ha pubblicato un diario. Vero è che c'è voluto del coraggio per portarlo alla luce del sole, in quegli anni, ma a livello di letterarietà c'è molto poco.
Si tratta, a mio avviso, di una lunga lettera a cuore aperto che racconta i patemi di un uomo omosessuale, poi donna, in una città e in un Paese che la voleva solo quando faceva comodo, cioè al buio, di nascosto, e in silenzio.
Ci sono molto modi di raccontare una storia. Quello scelto da Stajano, che alterna picchi di frenesia a profondi momenti di disillusione con una voce querula e patetica (nel senso di "maniera"), non è il mio preferito, non è quello che cerco in un libro. Ho preferito Stajano come giornalista di Men, quando curava una celeberrima rubrica che si chiamava "Il salotto di Oscar W. spolverato da Giò Stajano" (1972-5): ecco, nelle lettere che riceveva dai lettori, ma soprattutto nelle sue risposte, caustiche, pungenti, divertenti, ho trovato la sua sfumatura che preferisco, la disillusione che si fa reazione (esiste un testo pubblicato da Manni che raccoglie le lettere inviate a Stajano per Men, qui).
La testimonianza di Stajano resta fondamentale per capire le contraddizioni di un Paese come il nostro, in cui tutti professano idee reazionarie e poi, nella pratica, guai ad avere un figlio "così".
Deborah D'Addetta
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