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Con ago, filo, cartamodelli e una rete di donne si rimettono in piedi città: "Una vita da ricostruire" di Brigitte Riebe

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Brigitte Riebe

Una vita da ricostruire
di Brigitte Riebe
Fazi editore, marzo 2021
 
Traduzione di Teresa Ciuffoletti e Nicola Vincenzoni

pp. 366
€ 17,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
 
La Seconda Guerra Mondiale è appena terminata e Berlino è ridotta in briciole. Gli eserciti degli Alleati corrono per le vie di quella che era una delle capitali più eleganti del mondo alla ricerca di ricchezze e nel tentativo di consolidare la propria posizione politica per gli anni che verranno. Per la popolazione, la fine del conflitto non significa necessariamente un miglioramento delle proprie condizioni. La famiglia Thalheim, un tempo appartenente alla ricca borghesia e proprietaria di grandi magazzini, ora è privata della villa e delle proprietà di famiglia. Il padre, Friedrich è in un carcere sovietico perché iscritto al partito nazionalsocialista; il figlio, Oskar, è ancora disperso in Russia. Restano le donne della famiglia: Rike, la primogenita, concreta e portata per l'organizzazione; Silvie, sorella gemella di Oskar, dalla voce e dall'aspetto affascinante e dal carattere vivace; Flori, l'ultima nata della famiglia, bella ed eterea come un'elfa e con un talento non comune per l'arte e il disegno. Insieme all'amica d'infanzia Miriam, sfuggita alle persecuzioni e sarta eccezionale, le donne Thalheim punteranno in direzione di un aspetto della ricostruzione di Berlino, qualcosa che possa di nuovo dare colore a una nazione disintegrata: la moda.
«Se solo potessimo lavare via ogni cosa come si fa con un po' di sporco! Ormai anche gli acquedotti hanno ripreso a funzionare. Il gas e l'elettricità vengono distribuiti per qualche ora al giorno. Molti cinema hanno riaperto i battenti, in tutta la città si svolgono concerti e spettacoli teatrali. Presto riapriranno anche le scuole.» (p. 75)  
Nei periodi storici emergenziali – e quello che stiamo vivendo ne è prova tangibile – ci si focalizza sugli aspetti più basilari dell'esistenza: cibo, riparo, salvezza personale. Una volta che l'emergenza si attenua però è necessario considerare anche aspetti che possono sembrare meno fondamentali, ma che vanno ad appagare il bisogno di "altro": le forme artistiche, la socialità, la bellezza, elementi che sono connaturati al vivere umano, che possono risultare quasi frivoli quando in ballo ci sono delle vite, ma che sono essenziali per il ritorno alla normalità. Questo è quello che avviene nella Berlino del romanzo di Brigitte Riebe ed è su questo che le sorelle Thalheim si focalizzano.
«Le donne ci tengono a essere sempre belle, soprattutto dopo i momenti difficili. Tutti hanno sofferto e vissuto stenti e privazioni, e adesso ne hanno le tasche piene. Ora vogliono vivere, dimenticare quell'orrore... e vogliono abiti alla moda!» (p. 79)
Rike, in particolare, vuole che il nome della famiglia sia di nuovo associato alla moda come quando negli anni Trenta Berlino guidava i trend e i grandi magazzini Thalheim erano un punto di riferimento. Coraggiosa, assennata e capace, deve però fare i conti oltre che con la scarsità di mezzi che la obbligano a usare tessuti ricavati dai vecchi stracci, oltre che con le interferenze ora di una ora dell'altra parte delle forze Alleate nel momento in cui si gettano le fondamenta della Guerra Fredda, anche con l'accondiscendenza degli uomini che, poco a poco, ritornano dalla guerra e dai campi di prigionia e non sono più disposti a lasciare che le donne mantengano il ruolo lavorativo che si erano, obbligatoriamente, scavate durante gli anni del conflitto. Così Rike si vede palpare dal socio d'affari Brahm che è l'unico in grado di recuperare forniture di tessuto e si vede sminuita anche dal padre.
Come modella sarebbe andata benissimo, poteva essere tranquillamente accettata in quanto figlia del capo: ma come donna d'affari, soprattutto se in ballo c'erano somme importanti, non era credibile (p. 260),
riflette amaramente. Ma in realtà, se non fosse per lei che ha una visione del mondo e degli affari al passo con i tempi, non fosse per Silvie che sa usare il suo fascino per ottenere favori alla borsa nera e che poi si costruisce una carriera artistica, non fosse per l'abilità di Miriam, per l'idealismo di Flori e la capacità di Claire, la nuova moglie del padre, di fare da cuscinetto, il nuovo mondo post bellico non potrebbe esistere. Insomma, se non fosse per le donne e se queste donne, pur con inevitabili scontri, non facessero rete non si ricostruirebbe nulla. Anche solo partendo da ago e filo e da vecchi cartamodelli che Miriam, da ebrea "sommersa" che è scampata all'internamento, è riuscita a conservare durante tutti gli anni della sua fuga. 
La storia, sia quella reale che quella della narrazione, non sempre scorre in maniera lineare. Non è sufficiente una sfilata ben riuscita tra le macerie per dare il via a una risurrezione economica così come non sono stati sufficienti anni di conflitto perché le donne riuscissero a mantenere i ruoli fuori dalla famiglia, come mostreranno poi gli anni Cinquanta e la riduzione della presenza femminile nel mondo del lavoro. L'autrice tratteggia questo sali e scendi in maniera molto verosimile, non addolcendo le difficoltà, non trasformando la storia di questa famiglia in un'inarrestabile ascesa. Sono tutti soggetti ai singhiozzi del destino anche se, affidandoci sempre alle riflessioni di Rike, appare chiaro che l'obiettivo per tutte le donne è ben fissato.
"Ma a mio avviso", pensò, "ho trent'anni e non voglio più essere solo una figlia, una sorella, una nipote [...] Voglio avere qualcosa che sia solo mio". (p. 305)
Un romanzo pieno di avvenimenti, a volte un po' affrettati, ma che vogliono seguire il ritmo di quei frenetici anni nella Berlino occupata. In alcuni casi, i dialoghi perdono un po' di verosimiglianza, rivolgendosi più al lettore che non ai personaggi e con qualche inciampo in luoghi comuni linguistici. 
Coprendo l'arco temporale tra il maggio del 1945 e l'estate del 1951, Una vita da ricostruire pone le basi per una trilogia che esplora la moda di quegli anni e rivendica la posizione delle donne che tanto hanno combattuto durante il conflitto e per le quali la vera battaglia inizia solo con il ritorno degli uomini a casa.
Giulia Pretta