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Dove vanno a finire i sogni di una stagista? Il precariato culturale raccontato con ironia da Jolanda Di Virgilio e Sara Canfailla in "Non è questo che sognavo da bambina"

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Non è questo che sognavo da bambina
di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio
Garzanti, agosto 2021

pp. 288
€ 16,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Un lavoro. Forse è questo che significa diventare adulti. Ti siedi qui, lo accetti. Non farai quello che avresti voluto fare, non sarai quello che avresti voluto essere. Ma sarai qualcuno. (p. 17)

Ida Attanasio: 25 anni, abruzzese d'origine, trasferitasi a Milano per studiare e per preparare il suo futuro da sceneggiatrice. Carina, single con un ex che le rimbomba in testa, nessun segno particolare da dichiarare, se non una propensione decisamente insana in questi anni: seguire i propri sogni. Nella Milano dove tutti vanno di corsa e hanno una vera e propria dipendenza dal lavoro, Ida inizia il suo percorso da stagista in un'agenzia di comunicazione: è una realtà sconosciuta, piena di parole sensazionalistiche, anglicismi e tecnicismi dai significati sconosciuti. Quei suoi nuovi colleghi di cui non sa ancora il nome le sembrano lontani anni-luce da lei e, diciamocelo, all'inizio del romanzo Ida si tiene volontariamente a margine, osserva con aria scettica e snob un presente che le sembra pieno di apparenza, a cui fa fatica ad adattarsi (e, d'altra parte, non vuole farlo). Mentre tutti rincorrono contenuti social "disruptive" e "emotional", Ida è un pesce fuor d'acqua, che non può esimersi dal giudicare chi la circonda. Rari, d'altro canto, sono i tentativi per coinvolgerla e dopo pochi giorni la protagonista ha già capito con sgomento che «essere costantemente ignorata è più faticoso di quanto immaginasse» (p. 21). 

Se, da un lato, nella testa di Ida rintocca come un mantra la frase: uno sceneggiatore, come copywriter, muore (ad esempio, a p. 75), dall'altro si insinua l'impressione che le cose non possono andare avanti così: non è una soluzione a lungo termine sbronzarsi ogni sera con la sua amica Connie per sopportare il giorno successivo, quindi andare al lavoro e mendicare pause di micro-sonnellini e pianti in toilette, mal digerendo quel che accade intorno e scrivendone via mail all'altra amica di sempre, Giò. Lo stage di Ida, per quanto estremamente frustrante, è un pensiero ossessivo, dal quale è impossibile liberarsi, se non con alcol a basso prezzo (la vita di una stagista prevede di lottare ogni giorno con il conto in rosso), tante lamentele con le amiche di sempre e un po' di divertimento forzato. Mentre alcuni colleghi al lavoro provano a dare consigli a Ida e a farla inserire nel gruppo, un pensiero si fa strada: che sia il caso di trovare un compromesso? Ma fare di tutto pur di essere parte del gruppo significa rinunciare a una parte di sé?  Dove vanno a finire i propri sogni?

Imparare a gestire gli errori e fare ammenda, cercare di integrarsi, gestire le frustrazioni, fare proprio il lessico di chi le sta attorno, trovare un mentore, ma anche venire a patti con le aspettative e mettersi davvero in gioco sono le basi per sentirsi meno inadeguata. Se a volte Ida ironizza straniandosi dalla sua realtà, altrove è una risata amara quella che ci regala, perché il presente la fagocita con le sue richieste e continua a sembrare poco invitante: 

«È così che finisce il mio viaggio dell'eroe? L'eroe ottiene un contratto a tempo determinato per un lavoro che ancora deve ben capire che lavoro sia, e vissero tutti felici e contenti?» (p. 204). 

Tra un collega per cui prova attrazione, ma che si nega, un ex che di tanto in tanto appare a portare false speranze e un capo fin troppo attento nei suoi confronti, anche la vita sentimentale di Ida subisce tanti scossoni. Ma Ida non ha tanto tempo da dedicarvi, perché tutta la sua vita è assorbita dallo stage: deve prestare attenzione alle novità da imparare, cercando di evitare che l'altra stagista le faccia le scarpe e tenta comunque di tenersi vicine le sue amiche storiche, unico sostegno e punto fermo. Rintoccano i mesi di stage, così come l'incubo di qualsiasi precario di tornare in mezzo alla strada, gli incarichi si accumulano e le responsabilità arrivano. Arriveranno anche le soddisfazioni? E saranno vere o un surrogato di quelle davvero desiderate da bambina?

Tanti sono gli interrogativi in Non è questo che sognavo da bambina, il vivace ed equilibrato esordio narrativo a quattro mani di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio, due giovani autrici che, lavorando nel mondo culturale e della comunicazione, hanno attinto in parte da ciò che hanno visto attorno a loro per rendere estremamente verosimili i personaggi di Ida e quelli dei colleghi. In particolare, come dichiarato nell'intervista in calce al romanzo, il personaggio di Ida nasce dal momento di passaggio dalla fine della Scuola Holden all'ingresso nel mondo del lavoro, quando, dopo lo stage, Sara e Jolanda si trovavano e condividevano quasi ossessivamente le loro giornate. 

Più verosimile che caricaturale - lo sa bene chi si è occupato per qualche tempo di comunicazione -, il romanzo di Canfailla e Di Virgilio ritrae spietatamente le montagne russe del precariato culturale, tra grandi aspettative post-laurea e il rischio di schiantarsi a contatto con la realtà del lavoro a tempo determinato e sottopagato. I dubbi, i desideri, le frustrazioni, la paura di sbagliare e di non essere all'altezza frenano a lungo l'ambizione, al punto che a molti giovani precari viene da chiedersi se sia ammesso avere dei sogni che vadano oltre il triste bonifico dello stage. 

GMGhioni