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Di quello che tutti noi siamo stati: «Randagi» di Marco Amerighi

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Randagi
di Marco Amerighi
Bollati Boringhieri, 2021

pp. 386
€ 18 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Perché non abbiamo fatto così anche noi, Pietro? Perché non li abbiamo lasciati entrare a sfasciare tutto, a prendersi la loro vendetta? Perché non ci siamo uniti alla loro rabbia e al loro dolore? Quel giorno abbiamo perso tutto anche noi. (p. 137)

Raccontare Randagi non è semplice, innanzitutto perché si rischia di banalizzarlo già a partire dall’etichetta: se dovessimo ritrovarci a inserirlo in una categoria, infatti, la scelta più immediata sarebbe dire che il romanzo di Amerighi, seconda opera dopo quel Le nostre ore contate che nel 2018 gli è valso il Premio Bagutta Opera Prima, è un romanzo di formazione incentrato sui primi trent’anni di vita di Pietro Benati, ma è anche un romanzo generazionale che racconta la giovane età adulta di un gruppo di ragazzi a cavallo fra la Generazione X e la Generazione Y (quella dei millennial, per intenderci). Se l’opera di categorizzazione ha degli indubbi vantaggi, come quello di poter inquadrare facilmente un processo, il lato negativo è la facilità con cui si perdono i dettagli dei singoli eventi. E dunque sì, Randagi parla di giovani adulti dei tardi anni Novanta e dei primi Duemila alle prese con l’avvento di internet, la nascita della moneta unica e l’europeizzazione dell’Italia, ma al contempo la storia di Pietro Benati e dei suoi coetanei è assolutamente unica e irripetibile come tutte le storie individuali.

È pur vero che anche i temi affrontati rientrano nel genere formativo-generazionale: da un lato abbiamo i sogni e i progetti dei due giovani rampolli della famiglia Benati (non solo Pietro, ma anche il fratello maggiore Tommaso), le aspettative che chiunque si trovi al mondo inevitabilmente ha, come il bisogno di evadere e di emergere, di crearsi una propria nicchia, di scoprire cosa c’è al di là delle colonne d’Ercole della famiglia; dall’altro troviamo le durissime mura della realtà, contro le quali quei sogni, quei progetti, quelle aspettative spesso si schiantano. In Randagi queste due enormi forze si scontrano per tutto il libro, lo attraversano come una colonna vertebrale, come gli Appennini attraversano l’Italia da nord a sud. A ciò si aggiunge il retaggio familiare, quella gabbia da cui spesso è difficile uscire perché condiziona i comportamenti del singolo ben oltre l’uscita dal nido casalingo; senza contare che la maledizione che grava sopra la famiglia Benati, i cui membri maschili tendono a “scomparire” (ossia a darsela a gambe) con estrema facilità. Così cresce il piccolo Pietro: convinto che in ogni istante gli possa capitare di lasciare il proprio angolo di mondo che tanto ama e che con tanta difficoltà ha contribuito a costruirsi.

Questi temi e argomenti vengono ben costruiti dalla penna di Amerighi, i cui sforzi sembrano tutti volti a rendere l’esistenza di Pietro quanto più familiare e intima al lettore possibile. Nel corso delle pagine (e degli anni) troviamo un personaggio che si rende sempre più persona. Sul piatto abbiamo le sue paure, le sue debolezze, ma anche la sua forza e ogni singolo centimetro della sua pelle. La mole di personaggi – comprimari e secondari – che incontriamo lungo la via rendono il romanzo lontano dalla fiction e via via più simile alla realtà. Le cose spesso accadono senza un apparente motivo aggregante, i personaggi si perdono e si ritrovano proprio come avviene nella vita reale. In Randagi il difetto principe del romanzo – fare ciò che nella vita reale non capita, vale a dire rendere tutto perfettamente incastrato come un gioco d’intarsi – non si percepisce. C’è, perché ovviamente è finzione, eppure sembra realmente di leggere il resoconto della vita di un ragazzo di trent’anni che potrebbe essere chiunque di noi. Riuscire in questa impresa di far perdere il lettore fra i vicoli e le stradine del proprio romanzo è una sfida difficilissima da vincere e Amerighi c’è riuscito appieno.

Randagi è dunque un romanzo di formazione? Un romanzo generazionale? Concludiamo affermando che Randagi è un romanzo che affronta il più grande dei misteri, vale a dire il diventare adulti, e lo fa con la perizia della biografia. Il resto sono commenti di contorno.

David Valentini