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I sogni impossibili di un (molto) adorabile e (poco) abominevole uomo delle nevi: ecco a voi "Murdo" di Alex Cousseau e Éva Offredo

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Murdo.
Il libro dei sogni impossibili

testi di Alex Cousseau
illustrazioni di Éva Offredo
traduzione di Simone Barillari
L’ippocampo, 2021

pp. 88
€ 15,00 (cartaceo)

Quando per tutta la vita non si è stati altro che il prodotto fantasioso dell’inventiva di qualcuno, il frutto leggendario dell’immaginazione altrui, l’esito di un parto mentale non meglio definito in senso genealogico e il costrutto culturale di un gruppo che aveva bisogno di dare vita a un’alterità nemica (ma che avesse in sé tutte le caratteristiche del non-umano), può capitare di sentirsi sufficientemente e giustamente stanchi di ribadire che le cose non stiano proprio così. O meglio, di avere accumulato tutte le energie necessarie per rivendicare in positivo la propria esistenza effettiva, ben oltre le parole dette attorno a un focolare e quelle scritte nelle pagine dei libri. Se poi si è uno yeti di nome Murdo, allora le cose si complicano sia in senso pratico che in senso poetico, perché il desiderio di esserci e di essere riconosciuto per davvero passerà attraverso un elenco di bisogni e soprattutto di sogni. E poco conterà, a quel punto, che questi ultimi siano o sembrino irrealizzabili. Anzi: sarà addirittura meglio così. Perché magari, anche se per certi aspetti somiglieranno al loro possessore, il sollievo dato dalla loro enunciazione sarà ancora più grande e profondo, identico alla conquista di una nuova libertà.

Sta tutta qui la quintessenza di Murdo, il piccolo esemplare di (presunto) “abominevole uomo delle nevi” che Alex Cousseau e Éva Offredo presentano a un pubblico ideale di lettori e lettrici giovani e giovanissimi: dare una voce che parli in prima persona singolare e un corpo grafico e colorato a una creatura che tutti sostengono non esistere nella realtà, e che invece sa e sente di essere vivissima, al di là delle storie vociferate attorno a un fuoco e leggiucchiate tra le pagine di un libro. Eccolo, dunque, pronto a mettere nero (e rosso e celeste e marrone) su bianco ciò che fa di lui un Signor Qualcuno, ripagando i suoi detrattori con identica moneta: perché a chi lo taccia di impossibilità, Murdo risponde esplicitando cinquantanove tra le sue fantasie più impossibili, a partire da quella di avere un senso anche in una dimensione che non sia fatta solo di suono o di carta. Ed è proprio a questo punto, e con queste premesse, che inizia il bello. Perché venire a conoscenza dei sogni di Murdo si rivela un’autentica lezione di filosofia teoretica e applicata: quella filosofia limpida, chiara, trasparente e cristallina di cui si è maestri eccellenti nell’infanzia e di cui – non si sa più come, o forse lo si sa fin troppo bene – ci si ritrova maldestri allievi in età adulta.

Anticipare quali siano i sogni di questo protagonista pur così ciarliero equivarrebbe a rovinare la sorpresa per chiunque avesse la curiosità di scoprirli da sé. Ma a parte il fatto che l’elenco risulterebbe piuttosto lungo e pedante – si sfiorano, come già detto, le sei decine – non si renderebbe comunque giustizia al senso di rinnovato stupore che invece si prova sfogliando il libricino, prendendo visione di quelli che sembrano stralci di diario o brani di conversazione con un medico esperto in psicanalisi, chiamato a interpretare vagheggiamenti onirici. Ma non perché lo yeti si diverta a esagerare o spararla grossa, tutt’altro. Le sue brame sono il più delle volte molto meno esotiche o pindariche di quanto non si sia portati a pensare – “che cosa potrà mai sognare un bestione che vive sottozero?!” – e si resta spesso confidenzialmente sorpresi di quanto la sua sensibilità coincida con la nostra. Proprio così: dentro e fuori dalla metafora zoologica, estirpato ogni pelo dal manto villoso del cosiddetto mostro, l’altro non è mai troppo diverso da noi, e anzi proprio come noi vuole amare, essere amato, fare amicizia, avere sodali e commensali, collezionare fortune e avventure. E giocare, certo: con le parole, innanzitutto, e poi con le categorie di tempo, luogo, ordine, causa e effetto. Ma solo per divertimento, solo per capire che cosa succede e che effetto fa prima di tornare alla realtà. Perché Murdo ha una predilezione per i paradossi, per le cose che vanno all’incontrario, per il suppergiù e il giuppersù, ma è altrettanto dotato di un animo sensibilissimo, un’indole riflessiva pronta a svelarsi con parole semplici a prova d’equivoco. Per esempio quando si tratta di ammettere il bisogno della letteratura ma anche… di una partner:

«5. Ho sempre sognato di farmi un maglione con le parole di una poesia. Ogni parola sarebbe un filo di lana. Un gomitolo di parole per riscaldarmi. Sarebbe una poesia con parole semplicissime. E con qualcuna più misteriosa qua e là. Con parole che pizzicano sulla pelle. E altre che ti impediscono di chiudere gli occhi. Sarebbe una poesia che mi infilo poco prima che sia notte. Una poesia che non mi tolgo più, guardando le stelle cadenti. Forse sarà una poesia d’amore, e allora saremo in due a infilarci dentro. Ho sempre sognato di condividere un maglione con qualcuno».

E che dire di queste altre dichiarazioni sull’identità, in cui lo stesso yeti (“Tu quoque, Murdo!”) che sta cercando di dimostrare al lettore di esserci e di esserci con orgoglio si lascia andare a elucubrazioni su altre ipotetiche biografie:

«16. A volte vorremmo essere qualcun altro. E quello che spesso ce lo impedisce è il nostro passato. Perché non si può cambiare il passato. Ho sempre sognato un posto in cui si possano scambiare i ricordi. La memoria sarebbe come un immenso mercatino delle pulci. Riempirei un cestino di ricordi che non sono miei. Ci sarebbero foto di me fatte in paesi dove non sono mai stato. Quaderni mai visti e mai letti prima, in cui riconoscerei la mia scrittura. Oggetti di cui ignoravo l’esistenza, che avrebbero le impronte delle mie dita. Testimonianze di sconosciuti che dicono di essere miei amici. Allora potrei essere qualcun altro, perché non sarei lo stesso da sempre».

Apparentemente ideato per i più piccoli, Murdo è il classico volumetto che si finisce con l’acquistare prima per sé e poi per qualcuno che ci è caro e che sappiamo bisognoso di una carezza in formato libro, anche se si appartiene anagraficamente alla categoria dei più grandi. Ma si badi: ciò accade a proprio rischio e pericolo. Perché quelle concepite da Alex Cousseau e Éva Offredo sono pagine talmente disarmanti che basta un attimo per sentirsi trafitti sotto la corazza e ritrovarsi ignudi e intirizziti all’addiaccio – epperò, per l’appunto, senza la pelliccia di default che fa di uno yeti uno yeti doc, creatura villosa da cui si capisce di avere davvero molto da imparare. Parlando di sé e dei suoi sogni con così poca reticenza questo “adorabile uomo delle nevi” parla anche in nostra vece, e ci mette di fronte al fatto che tutti i desideri più elementari che finiamo col reprimere non sono altro che occasioni mancate di vita e di condivisione. In fin dei conti Murdo ci ricorda proprio questo: che ciò che sembra impossibile lo è solo fino a prova contraria, che enunciarlo può già coincidere con il farlo esistere (anche se solo un po’ e solo per un po’), e che se la realtà nella quale siamo calati ci sembra ordinaria, banale, ovvia e prosaica è perché non le abbiamo davvero mai dato la possibilità di stupirci e meravigliarci. Esprimiamo un desiderio, dunque, magari il sessantesimo che manca al libro per raggiungere la cifra tonda: Murdo sarebbe senz’altro orgoglioso di noi, e ci aiuterebbe a realizzarlo anche solo con la forza del pensiero.
 
Cecilia Mariani