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Olive, ancora lei: di parole che sanno trovarti quando più ne hai bisogno, di bellezza e speranza nonostante tutto

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Olive, ancora lei
di Elizabeth Strout
Einaudi, marzo 2020

Traduzione di Susanna Basso

pp. 272
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


L’estate era cominciata e, pur facendo ancora fresco a metà giugno, il cielo era sereno e affollato di gabbiani nella zona del porto. C’era gente a spasso, molti giovani con bambini e carrozzine, e sembravano tutti presi a conversare. Il fatto la colpì. Con quanta disinvoltura davano per scontato l’essere insieme, il parlarsi tra di loro! (L’arresto, p. 3)
Credo ricorderò per sempre il momento esatto in cui ho letto questo libro. Un giorno racconteremo di quel periodo terribile, chiusi nelle nostre case quando nel mondo si affrontava una pandemia, cercando fra le mura domestiche una normalità a volte un po’ claustrofobica ma per lo più accogliente, sicura. Racconterò delle parole che possono salvare e di come mai come prima lo sguardo pieno di grazia di Elizabeth Strout, autrice amatissima, mi abbia commosso e allo stesso tempo sollevato. Perché c’è bellezza, sempre, ed è proprio vero che certe storie arrivano quando più ne abbiamo bisogno.
Leggere la Strout, per me, è sempre una rivelazione e il modo che i suoi personaggi hanno di sentire il mondo è qualcosa che per un attimo credo di aver intravisto nella persona oltre la scrittrice, quando un paio di anni fa ho avuto l’onore di incontrarla ospiti di Einaudi. Strout non è Olive, ma forse è suo il modo di sentire, vedere il mondo e le persone. Quello che ci restituisce anche questa volta sulla pagina è un’umanità alle prese con piccole felicità, solitudini, attese, traumi e dolori profondi, sogni e speranze; rivalità, conflitti e relazioni complicate, ma anche improvvisa consapevolezza e sentimenti inattesi. E lei, Olive, che attraversa le pagine, osserva e sente ancora intensamente ogni cosa, provando questa volta a scavare a fondo anche dentro sé stessa, come mai prima era riuscita.

Quelli raccontati da Strout sono uomini e donne imperfetti e proprio per questo tremendamente veri, che fanno sbagli a cui non sempre è possibile rimediare. Anche in questo caso la narrazione si dispiega in forma di “romanzo in racconti”, tutti in qualche modo correlati tra loro e allo stesso tempo indipendenti, in cui ritroviamo molti dei personaggi del primo volume, ma anche storie che i lettori hanno conosciuto in altri romanzi dell'autrice (per esempio I ragazzi Burgess e Resta con me). Siamo di nuovo a Crosby, la piccola cittadina sulla costa del Maine di cui ormai riusciamo a intuire i contorni, riconoscere alcuni dei suoi abitanti, le strade, il paesaggio che cambia al susseguirsi delle stagioni. In queste tredici storie scritte più di dieci anni dopo il libro che valse a Strout il premio Pulitzer e la fama internazionale, ritroviamo Olive ultrasettantenne, ma ancora lei: ruvida, schietta, impaziente, suscettibile e capace di repentini cambi d’umore, ma forse più matura e disposta a guardare dentro sé stessa con la stessa onestà con cui per tutta la vita ha osservato il mondo intorno.

La fragilità e l’imperfezione dei rapporti, le contraddizioni, le solitudini e i silenzi: tematiche e spunti con cui ancora una volta Strout si confronta, attenta alle sfumature dell’animo umano, alle zone d’ombra, ai battiti minimi eppure fondamentali. Lo spettro della solitudine, la vecchiaia e il senso di perdita, attraversano in forma diversa tutte queste storie eppure, come sempre, la scrittura si apre ad attimi di pura grazia e meraviglia straordinari, come la vita stessa che anche per Olive non smette di essere sorpresa e scoperta. Lei, madre imperfetta e manchevole, rimasta vedova del buon Henry che l’ha amata intensamente nonostante quel suo carattere difficile, la quasi totale assenza di tenerezza, i dubbi, la tendenza alla depressione; lei, Olive, che si innamora ancora, di un uomo tanto diverso dal primo marito con cui però scopre un nuovo equilibrio.
Gesù, Olive, certo che sei una donna proprio difficile. Tu sei impossibile, maledizione, e io, cazzo, mi sono proprio innamorato. Quindi, se non ti spiace, Olive, forse potresti essere un po’ meno Olive con me, anche se questo comporta esserlo un po’ di più con gli altri. Perché io ti amo, e non abbiamo tantissimo tempo. (Poeta, p. 191)
Lei, che avverte dolorosissimo il peso della solitudine e delle distanze e non si arrende alla morte, ma si stupisce sempre per un bocciolo di rosa che nasce in giardino, per un cielo di un azzurro tanto intenso da farci credere che il mondo, con le sue possibilità, sia proprio lì a portata di mano. Si dispiegano sulla pagina, attraverso ogni singola storia, tante piccole rivelazioni, verità minime che sembrano toccarci un po’ più profondamente in questi giorni strani:
E capì che non bisogna mai prenderla alla leggera, la profonda solitudine della gente, che le scelte fatte per arginare quella voragine di buio esigevano molto rispetto. (Esuli, p. 176)
Non lo so perché la scrittura e le storie di Strout mi colpiscano tanto intensamente, o forse si: per quella sua capacità di raccontare i rapporti e l’animo umano allontanando ogni forma di giudizio e allo stesso tempo rivelando tutte le nostre fragilità, imperfezioni, le paure profonde e le mancanze che ci portiamo appresso, senza però dimenticare che in fondo tutto è possibile, che c’è bellezza e speranza. I dolori e le colpe in questo secondo capitolo si fanno più oscuri, ma per contro i lampi di luce sono ancora più abbaglianti. Di Olive, vecchia impicciona, ho sempre amato quella sua sentita partecipazione alla vita delle persone, i suoi modi rudi ma schietti, l’umana comprensione per il dolore, la solitudine.
Raccontami come ci si sente a essere te. (Cuore, p. 231)
Ecco, questo desiderio di conoscere davvero, questa empatia, colpiscono profondamente, tanto più quando le parole sono rivolte a una persona lontanissima da Olive e da noi per cultura, tradizioni, abitudini di vita. E lei, umanissima e imperfetta, è capace di rimproverare aspramente un padre che allontana la figlia perché non ne comprende le scelte sentimentali e di vita, o una donna che guarda con sospetto una cultura diversa dalla sua, o, ancora, riconoscere nella solitudine di una vedova il suo stesso desiderio di trovare un’amica; ma allo stesso tempo è una moglie che tanti anni prima aveva desiderato abbandonare la famiglia e fuggire con l’uomo di cui si era innamorata, una madre capace di scatti d’ira violenta e incomprensioni che hanno messo sempre più distanza tra lei e il figlio, una donna insofferente alla tenerezza e alle convenzioni.

Strout non racconta favole ai suoi lettori, racconta la vita, con tutte le sue imperfezioni, i dolori, la bellezza, la speranza, e nel farlo non può darci assoluta consolazione e sollievo, non nel senso di tradizionali lieto fine. Ma sa imprimere sulla pagina la struggente bellezza di una giovane donna che riesce a preservare la propria innocenza di fronte all’orrore cui ha assistito, il sentimento che nasce in tarda età con una vita alle spalle, la capacità a un certo punto di accettare le mancanze delle persone che amiamo e provare a diventare adulti. C’è la vita, in ogni parola, precisa e puntuale, impressa sulla pagina da Strout. E allora «raccontami come ci si sente a essere te», non giudicherò, ascolterò attentamente e proverò a capire.

Di Debora Lambruschini