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#VivaSheherazade - "L'ora del destino": il desiderio di libertà di Jane Austen, Mary Shelley, Giovanna d'Arco

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L'ora del destino.
Jane Austen, Mary Shelley, Giovanna d'Arco.
di Victoria Shorr
SEM, 2019

Traduzione di Alessandra Osti

pp. 285
€ 18 (cartaceo, ebook compreso)
€ 9,99 (ebook)

Jane Austen, Mary Shelley, Giovanna d’Arco: sono le tre protagoniste de L’ora del destino, di Victoria Shorr, uno dei saggi più interessanti e originali che mi sia capitato di leggere di recente. Un testo per sua natura non pienamente esaustivo, ma apprezzabile tanto come punto di partenza per ulteriori approfondimenti, quanto per l’approccio intimo con cui l’autrice racconta tra saggio e romanzo un momento preciso che diviene la vita intera di queste donne. Pubblicato in Italia da SEM, l’opera di Shorr è un testo decisamente apprezzabile: puntuale nella ricostruzione storico-biografica e arricchito di un apparato minimo di note e spunti bibliografici, avvince il lettore per il ritratto umano, intimo e vibrante di queste tre donne che scelgono il proprio destino. Personaggi diversi, ma identico desiderio di libertà e convinzione delle proprie scelte.
Per Jane Austen, la povertà e la mancanza di indipendenza rappresentano l’ostacolo maggiore, in un mondo in cui contrarre un buon matrimonio spesso era l’unica via di fuga e salvezza; forse delusa dalla mancata realizzazione di un sogno d’amore giovanile e rifiutato in età più adulta un candidato che l’avrebbe salvata dalla delicata situazione in cui si trovava costretta a vivere insieme alla madre e alle sorelle, Jane trova rifugio in nei personaggi e nei romanzi che l’avrebbero resa immortale. Un mondo ordinato, descritto con quell’ironia che ne è la cifra stilistica per eccellenza, simbolo di una mente vivace, impossibile da ingabbiare nel semplice ruolo di moglie e madre devota:
Aveva scelto il suo lavoro rispetto a quello che si potrebbe chiamare “vita”, il matrimonio, i figli, la sicurezza, la ricchezza. In quanti lo fanno? Specialmente tra le donne dell’epoca. Chi aveva il fegato di farlo? Nessuna. Statisticamente nessuna. (Jane Austen a mezzanotte (p. 48)
Jane lo fa. Rifiuta una vita che non le appartiene e trova la propria dimensione ideale nella scrittura, costruendo un mondo a misura delle proprie eroine: per ogni Elizabeth c’è un Mr Darcy che ne apprezza l’arguzia, la vivacità, l’intelligenza.
[…] Elizabeth Bennet, l’eroina di Orgoglio e Pregiudizio, anche lei una giovane più arguta che bella, anche lei senza un patrimonio. Lizzy però poteva contare sul fatto che Jane Austen creasse per lei un signor Darcy, un nobile favolosamente ricco che sapeva vedere oltre le costrizioni sociali del suo tempo ed era abbastanza intelligente da preferire l’audace, viva intelligenza di una ragazza senza soldi a una vita monotona e banale con un’ereditiera. (Jane Austen a mezzanotte, p. 13)
Quelle stesse costrizioni sociali che in parte hanno imprigionato Jane, relegandola ai margini, ospite di famigliari più abbienti la cui generosità era un’arma a doppio taglio, in quelle case dove mai poteva sentirsi davvero libera. La scrittura e lo stretto legame con la sorella Cassandra, sono l’unico rifugio possibile per Jane. Poteva rinunciare a tutto quanto, a una vita di comodità e agi, un buon matrimonio, la tranquillità domestica, ma scelse i propri personaggi, la propria libertà. Il racconto di Victoria Shorr restituisce al lettore la parte più intima e privata di una scrittrice sempre amatissima, senza indugiare in sterili congetture, ma permettendo al lettore di immaginare la donna e le sue scelte, divisa tra desiderio di affermazione e limiti sociali, sentimento e solitudine. Forse non sapremo mai con piena certezza le ragioni che spinsero Jane a non sposarsi, ma alla luce di quanto di nostra conoscenza, resta l’immagine di una donna straordinaria per l’epoca in cui ha vissuto, che alla sicurezza ha preferito sé stessa.

L’amore e l’affermazione di sé, si possono avere entrambe? Mary Godwin attraversa le tempeste per vivere in libertà la propria vita, senza rinunciare a niente, all’amore – assoluto, libero da costrizioni – o al proprio io di scrittrice. Ha solo sedici anni quando fugge con Shelley:
All’epoca aveva sedici anni, e lui ventuno. Lei sapeva poco della vita, e niente dell’amore. Lui sapeva tutto, o così le sembrò. (Mary Shelley sulla spiaggia, p. 65)
Shelley sarà tutto, significherà tutto, nella vita di Mary, tanto nel bene quanto nel male. Le pagine che Shorr dedica a Mary sono a mio avviso le più intense, emotivamente coinvolgenti e ricche di spunti di riflessione del saggio, che da sole valgono il volume intero
Mary, una e tante donne insieme: figlia in perenne confronto con una madre scomparsa precocemente, un’eredità ideologica fondamentale per la sua formazione di donna e intellettuale; scrittrice cresciuta prima nella cerchia intellettuale del padre, tra Coleridge e i filosofi radicali dell’epoca, poi ispirata da Shelley, Byron, Keats e tutta la seconda generazione di poeti romantici, in cerca della propria voce; figlia rinnegata, abbandonata a quel destino che si è scelta fuggendo con Shelley; madre, troppe volte costretta a fare i conti con il dolore terribile della perdita. Ci sono mille sfumature di Mary, tutte egualmente importanti nel tentare di ricostruirne la personalità, i desideri, le scelte, di questa donna che è mille altre donne, lei stessa e la sua opera in un dialogo mai interrotto con la contemporaneità. È chiaro, mi rendo conto, il personale interesse che nutro per la figura di Mary Shelley, una passione nata durante gli anni universitari: mi colpiscono, oggi come allora, il coraggio delle scelte, il testimone raccolto dalla madre, Mary Wollstonecraft, il desiderio di libertà, la passione; e quell’opera fondamentale, Frankenstein, che racchiude in sé innumerevoli spunti e riflessioni, perfino Mary stessa, i suoi dolori, le sue paure, i suoi desideri. Una storia nata per gioco, per alleviare il tedio di lunghe giornate costretti in casa dal maltempo, una sfida tra Mary, Shelley, Byron e Polidori, che per alcuni di loro ha un valore molto più profondo del semplice passatempo.
Quanto alla sfida, lei era l’unica di tutti loro a prenderla molto seriamente, ritenendola la sua grande opportunità: esserne all’altezza e pubblicare con Byron, oppure ricadere nell’esistenza di una donna qualunque. Nella maternità. (Mary Shelley sulla spiaggia, p. 115)
Circolano molte “leggende” intorno alla composizione dell’opera e ad alcune di queste mi piace dare credito: immaginare Mary, colta nel sonno da un’ispirazione improvvisa, immagini vividissime di una storia che di lì a poco prenderà forma, i propri demoni trasfigurati sulla pagina. L’impegno in quel progetto che per lei non può essere solo un passatempo ma la chiave per uscire dalla condizione di moglie e madre, di figlia, e riprendersi la propria identità: Mary, la scrittrice.
L’ora del destino di Mary è su quella spiaggia di Lerici, in attesa di un ritorno che non sarà. Una tempesta, l’ennesima, che sarà costretta ad affrontare, questa volta per forza di cose senza Shelley. Eppure, neanche in quelle ore di terribile angoscia Mary rinnegherà le proprie scelte. Il coraggio della libertà.

Quanto può fare paura la libertà di una donna. Intimorisce oggi, in quest’epoca finto progressista, terrorizzava nei secoli più bui. Costava la vita. Traditrice, pazza, strega: sono tanti i nomi, le accuse, rivolte a Giovanna d’Arco, la contadina che sfidò il potere e guidò un esercito per liberare la Francia dal dominio inglese, portare sul trono il re legittimo. Spinta dalla fede assoluta nelle sue Sante, che le parlavano fin da bambina: «Sei nata per salvare la Francia». Smessi i panni femminili, abbandonata la casa paterna, Giovanna attraversa la Francia tutta, guida un esercito conquistato da quella ragazza che ha il carattere del generale, che ispira gli uomini e li conduce in vittoria, una battaglia dopo l’altra. Ma Shorr non ci racconta le gesta eroiche di Giovanna, non soltanto almeno, ma le ore della paura, della prigionia, del processo, dell’abbandono e della solitudine. In una cella sporca, vittima della violenza e dell’odio, Giovanna è “solo” una ragazza che teme il dolore, la morte.  
Quella mattina erano venuti con tutti i cavalli e gli uomini per bruciare quella ragazza che non soltanto li aveva disonorati in battaglia, ma che – nonostante ogni loro tentativo e proposito – aveva anche messo il punto finale al sogno durato cent’anni di unire le corone inglesi e francesi, battendoli sotto la cattedrale di Reims e incoronando un suo re, un re francese. (Giovanna d’Arco in catene, p. 165)
Il rogo. E la storia, purtroppo, ci ricorda che proprio in un rogo troverà la morte. Sono pagine crude, dolorose da leggere, quelle che Shorr dedica alla vicenda di Giovanna d’Arco, forse le più intime del saggio, certo le più controverse. Perché chi era davvero questa donna e come possiamo leggere, interpretare oggi la sua storia? Mediante la fede o la razionalità? Una figura complessa, di cui l’autrice ne restituisce l’umanità, presentandola vincitrice e sconfitta, guerriera e vittima, dolente, isolata, martire.

Gettando lo spunto per approfondire, a partire già dalle indicazioni bibliografiche in appendice, che sono un apparato utilissimo per proseguire nella lettura di queste tre donne straordinarie. Accomunate da un istinto alla libertà che niente può soffocare. Non una cella, non le convenzioni sociali. E per questo, ancora oggi fonte di ispirazione.