in

Con gli occhi di un bambino

- -
Io non ti lascio solo
di Gianluca Antoni
IoScrittore - Gruppo editoriale Mauri Spagnol, 2018

pp. 262
€ 15,00 (cartaceo)
€ 3,99 (formato Kindle)




Scrivere una buona recensione di questo bel romanzo, una recensione che faccia il bene del lettore, così come quello del libro, comporta raccontare della trama solo lo stretto necessario. Niente di più. Quello cioè che serve a incuriosire, ma che lascia inalterato, per chi si accingerà a leggere, tutto il sapore della sorpresa e della scoperta.
Basti quindi dire che questa è la storia di Filo e Rullo, due ragazzini inseparabili accomunati da un nome un po' bizzarro e da un'amicizia di ferro.
Filo e Rullo, durante un'estate di qualche anno fa, decidono di "bigiare" il campo scout per addentrarsi, da soli, armati di tenda e di scatolette di cibo per sopravvivere, nel bosco dove, durante l'inverno, si è perso Birillo, il cane di Filo. Per lui una perdita insopportabile, che viene dopo quella, lacerante, della mamma.
Alla ricerca del cucciolo, i due ragazzini si spingono verso un podere, una cascina abitata da Guelfo Tabacci, un vecchio montanaro, grande e grosso, scorbutico e solo. Dalla cui casa però provengono dei latrati di cani e, nelle notti senza vento, il pianto di un bambino... così almeno si dice in paese, da quando, anni prima, il piccolo Tommaso, il figlio di Guelfo, è sparito a due anni senza lasciare traccia.

Filo e Rullo sono sicuri che il vecchio montanaro sappia qualcosa di Birillo e sono decisi a scoprirlo. Ma insieme, scopriranno, a loro spese, verità troppo grandi per loro e si metteranno nei pasticci. Stop, basta così. Il piacere adesso è tutto del lettore.
Dirò intanto della struttura del romanzo, che si snoda a partire da due diari, il diario di Filo, nero, e il diario di Rullo, rosso. I due quaderni, scritti fitti fitti, riemergono, dopo vent'anni, dalla cantina della casa del montanaro Guelfo, dove erano rimasti nascosti dietro un mattone, in seguito alle vicende di quell'estate. Vicende che i due ragazzini avevano deciso di riportare fedelmente nei rispettivi diari.
Leggiamo quindi il racconto di ciò che è accaduto dal punto di vista di Filo e poi dal  punto di vista di Rullo. I vari capitoli dei diari sono inframmezzati inoltre dalle parole del maresciallo De Benedittis a cui quei diari vengono consegnati dal muratore che li ha trovati. È lui il maresciallo che in quell'estate di vent'anni prima si era occupato del caso (e della marachella di Filo e Rullo).
Perché alla fine, di un "caso" si tratta: il bimbo sparito, Tommaso, non è mai più stato ritrovato, né morto, né vivo. Il maresciallo, anche se sono passati tanti anni, sa di non essere mai riuscito a scoprire la verità... che forse si trova proprio in quei vecchi diari, consunti dal tempo e dalla muffa. Quei diari che raccontano dei giorni in cui Filo e Rullo, per cercare Birillo, si sono avvicinati troppo alla casa del vecchio montanaro.
Da questa alternanza di capitoli risulta un romanzo costruito a più voci, raccontato però sempre in prima persona, vuoi dal maresciallo, vuoi da uno dei due ragazzini. Il ritmo rimane così incalzante, non dà mai tregua, lasciando il lettore costantemente sul filo della tensione, consapevole che qualcosa sta per accadere o è già successo.
Se però il doppio diario è un artificio letterario, dal punto di vista narrativo bene architettato e interessante, qualche dubbio ce l'ho sulla scelta linguistica. Se l'autore opta per uno strumento così perentorio come il diario che richiede, per sua stessa natura, che la lingua sia credibile, allora deve utilizzare un codice linguistico che sia appropriato a quello di chi scrive il diario stesso. E quindi, in questo caso, il linguaggio di un bambino. L'autore, invece, soprattutto nella prima parte del libro (procedendo nella vicenda l'effetto tende a smorzarsi), indulge a un intervento forse un po' troppo autoriale, un po' forzoso: il lettore, in certi punti, percepisce cioè che il linguaggio del diario è quello dell'autore e non quello del ragazzino. Mentre è lo scrittore a doversi calare nel ruolo del protagonista che ha scelto di far parlare, altrimenti rischia di diventare un "narratore onnisciente" occulto.
Detto questo, devo dire però che il romanzo è costruito in modo davvero sapiente (e ciò che fa nella vita Gianluca Antoni spiega molte cose), i due ragazzini emergono, nei loro diversi caratteri, in maniera prepotente e felice, così come gli altri personaggi che ruotano intorno a loro: dal montanaro Guelfo al padre di Filo, da Amélie, la ragazzina che li aiuterà a cercare Birillo, a Scacco, l'amico un po' svitato.
Lo stesso alternarsi temporale degli eventi, tra un ritorno al passato e il dispiegarsi del presente, coinvolge il lettore, anche e soprattutto dal punto di vista emotivo. Per non parlare del potente colpo di scena che spezza in due l'intera vicenda: da qui il lettore, spiazzato e sotto choc, non potrà far altro che tornare sui propri passi.
E rileggere questa favola noir con occhi diversi, gli occhi di bambini, che raccontano ciò che vedono, ciò che sentono e ciò che percepiscono con le categorie tipiche dell'infanzia: da qui il bosco, che diventa una foresta, a volte rifugio, a volte pericolo; da qui l'orco cattivo (il montanaro), che, esattamente come nelle favole, "mangia" i bambini; da qui il senso dell'amicizia totalizzante, che sia per un cane o per l'amichetto; da qui la fantasia nell'interpretare gli eventi; da qui l'onnipotenza del bambino che, lottando con i mostri, dispone di mille armi per sconfiggerli; da qui lo stupore innocente nell'apprendere verità troppo "da grandi"; da qui il modo di vivere il dolore, chiudendolo dentro di sé, comprendendolo a fatica.
Un romanzo bello, un libro che ho divorato, che mi ha tenuto sveglia nelle notti in cui lui dormiva sul mio comodino, che mi ha coinvolto, appassionato e commosso, un romanzo che consiglio a chi vuole leggere una bella storia, strutturata in modo non convenzionale, a chi vuole tornare a vedere le cose attraverso gli occhi dell'infanzia, a chi è disposto a lasciarsi stupire e a lasciarsi andare.
Due diari, uno rosso e uno nero. Sono sporchi, odorano di muffa. Per forza... Tornano alla luce dopo essere rimasti a lungo nascosti nella casa di un vecchio montanaro, che trent’anni prima era stato al centro di un mistero: la scomparsa del piccolo figlio Tommaso, mai più ritrovato. Due ragazzini, Filo e Rullo, in un’estate di qualche anno dopo, cercano Birillo, il cane di Filo che si è perso durante un temporale. Armati di tenda e scatolette di cibo, si avventurano per i colli. Scrivendo ognuno un diario. Finché arrivano nei terreni del vecchio, novello orco o Polifemo. Che cosa videro, forse, lo scrissero su quelle pagine. Che, a distanza, di tanti anni tornano alla luce. Ma uno dei due, così pare, non c’è più. Se vi appassionano i cold case, i misteri che tornano alla luce dopo anni e che, forse, trovano colpevoli e soluzione, potrete leggere sul sito la recensione di @sabrymiglio68, che sta divorando il giallo di @antonigianluca (IoScrittore, gruppo Mauri Spagnol). #gialli #romanzigialli #inlettura #libro #librosulcomodino #recensione #stoleggendo #booksaddict #criticaletteraria #librichepassione #recensionilibri #bookstagram #booklover #libri #librisulibri #librimania #ioleggo
Un post condiviso da CriticaLetteraria.org (@criticaletteraria) in data: