in

#CriticaNera - Massimo Carlotto tra la giustizia e "La verità dell'Alligatore"

- -
La verità dell'Alligatore
di Massimo Carlotto
E/O, 1995

pp. 252
€ 9,50

L'incipit dipinge atmosfere hard boiled in un contesto italiano: un locale notturno di Padova, un concerto blues, una donna che sta cercando aiuto. Lo trova in Marco Buratti, detto l'Alligatore, ex galeotto che ora dà una mano a tutti (previo compenso) muovendosi nel sottobosco urbano che i suoi clienti preferiscono non visitare di persona. La donna lo assume per scoprire che fine ha fatto il suo amico Alberto Magagnin, fuggito dalla semilibertà alla quale era costretto in seguito ad una condanna per omicidio per la quale si è sempre professato innocente.

La situazione si complica immediatamente: una donna che ha fatto parte della Corte che ha condannato Alberto viene uccisa e i sospetti dell'Alligatore (e di tutti quanti) ricadono sul fuggiasco.

Ma c'è qualcosa che non torna e Buratti, roso dalla curiosità, decide di approfondire.

Nella sua volontà di ricerca è evidente la distinzione tra verità e giustizia che Alessio Piras ha sottolineato nella conversazione sul noir pubblicata su Critica Letteraria: in questo genere spesso le vittime non ottengono giustizia, ma i protagonisti, disincantati, lottano comunque per arrivare alla verità.

La mia metà blues ritornava a farsi sentire e, tirandomi per la manica, mi chiedeva di non allontanarmi, di continuare a cercare. Il mio dannato bisogno di capire, di non lasciare alle spalle nulla di irrisolto.


A metà libro l'Alligatore sembra aver svelato le trame nascoste, ma sotto ogni verità se ne nasconde un'altra ed è suo compito farle emergere tutte. Questo proponimento diventa una missione per Buratti, che in alcuni frangenti sembra un eroe nel corpo di un delinquente. Verrà alla luce un giro di pezzi grossi che non vogliono finire sui giornali per i loro vizi. Sopra ai malavitosi da bar, c'è una cricca di professionisti altolocati che controlla i gangli vitali della città.


La giustizia è un meccanismo che stritola i perdenti.


Buratti fa parte della mala, quella criminalità territoriale che, non solo nel testo di Carlotto, assume contorni folcloristici ed intriganti. Sono passati già abbastanza anni dall'uscita del libro, poi, per dare alle pagine una patina di passato (percepibile nei dettagli descritti, ma anche nello stile) che ne aumenta il fascino rétro. L'Alligatore non pratica la violenza (a differenza del suo socio Rossini che non lesina metodi spicci) e, sotto pelle, nasconde una malinconia irrimediabile. “Ognuno ha il suo blues”: il suo è una donna che l'ha dimenticato.



Con La verità dell'Alligatore Carlotto in parte rielabora le sue vicende personali, già affrontate ne Il fuggiasco: come lo scomparso del romanzo, anche lui è stato latitante in circostanze molto simili a quelle che vive il personaggio.

Nell'esordio della saga di Marco Buratti Carlotto ha già ben chiaro il suo universo spaziale e tematico. Forse la prosa ha qualche incertezza, ma le invenzioni a livello di trama sono già efficaci. Il finale aggiunge aspetti interessanti al protagonista, mettendolo di fronte all'ambiguità generata dalla sua indole da outsider romantico calata nella spietatezza che la realtà criminale impone.

Nicola Campostori