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#TreQuarti14 Peep Show: Baccomo, la vacuità dello show business e la discesa agli inferi

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Peep Show
di Federico Baccomo Duchesne
Marsilio, 2014

pp. 368
€ 18.50




In futuro, tutti avranno quindici minuti di celebrità. Quindici minuti. E poi? Che cosa c’è laggiù, alla fine di quei quindici minuti, alla fine di quei lunghissimi quindici minuti brevissimi? Tutti quegli altri milioni di minuti che seguono, di che cosa sono fatti?
Nicola Presci, trentenne milanese vincitore di un’edizione del Grande Fratello, nessun talento particolare se non l’esperienza di quei mesi nella Casa da cui è infine uscito – inaspettatamente e contro ogni pronostico- vincitore. Poi, nei mesi che sono seguiti alla sua vittoria, il turbinio della fama: le interviste, gli inviti, le feste, autografi e soldi.. Ma cosa succede quando quei “quindici minuti” di celebrità svaniscono e il tuo nome, la tua faccia, vanno sbiadendo sempre più? È la domanda intorno a cui ruota l’ultimo romanzo di Federico Baccomo, già autore apprezzato di Studio illegale e La gente che sta bene, e da poco tornato in libreria con un romanzo che i primi lettori hanno giudicato un punto di svolta nella sua produzione letteraria.
Definizione, mi perdonerete, con cui in fondo non sono del tutto d’accordo: si, cambia il mondo che Baccomo sceglie di rappresentare, non più lo studio legale di una qualche multinazionale tra frustrazioni e cinismi quotidiani, non più l’ispirazione da quell’ambiente che è stata la prima vita del giovane autore e che ha sviscerato come Duchesne sul suo blog personale poi mediante la finzione narrativa con i due romanzi sopracitati diventati anche film di discreto successo; ma l’ironia, lo sguardo a tratti cinico e la battuta pungente, il racconto tragicomico delle miserie quotidiane dell’uomo in crisi e l’abilità di osservatore attento erano già tutte lì, in forma meno matura certo, protette da un’ambientazione familiare, ma di cui questa elaborazione non può sorprenderci. Peep Show è un romanzo molto più maturo e consapevole certo, capace di suscitare riso e commozione nello spazio della stessa storia, ma gli elementi strutturali, gli espedienti narrativi, i tratti stilistici dell’autore, erano già lì, pronti per passare ad un livello più complesso. 

Peep show è Baccomo fino in fondo. La voce è così inequivocabilmente sua, la scelta del tema intorno a cui ruota il romanzo assolutamente aderente all’interesse creativo dimostrato da Baccomo finora che pagina dopo pagina ci pare davvero di sentire uscire la storia direttamente dalla voce del suo autore. Lo stile, la materia, c’era già tutto: era solo necessario trovare il momento adatto per allontanarsi dalla confort zone ed esplorare situazioni nuove, senza snaturare la propria voce ma mettendola al servizio di una storia che si apre a più livelli di lettura. 
Come nello stile di Baccomo, Peep Show non è il racconto della conquista della fama di un uomo qualunque diventato improvvisamente una stella della televisione italiana con tutte le conseguenze che questo comporta: feste, droga, donne, soldi, apparizioni su giornali e programmi televisivi. Nemmeno il racconto della crisi di identità o di valori di un uomo frastornato dal successo inaspettato. No, l’ultimo romanzo di Baccomo ci parla di quel buco nero in cui si ritrova qualcuno un tempo noto –per meriti non meglio specificati- e incapace di arrendersi alla normale quotidianità, di ritornare ad essere lo sconosciuto di qualche anno prima e costruirsi una vita lontano dalle luci della ribalta:
«Settimana scorsa c’era la tua foto su Tv star nella rubrica “Non sono morti”, sottotitolo: Che fine hanno fatto le star che abbiamo amato.» «Io…» «Avevano anche sbagliato a scrivere il tuo nome. La tua carriera è finita. Quello che stiamo facendo ora è cercare di rimetterla in piedi, quella carriera, stiamo cercando di farla rinascere.»
È quindi anche la spietata analisi dei tentativi disperati del protagonista di non essere dimenticato, non importa se per farlo dovrà umiliarsi e venire a patti con la propria morale, se mai davvero ne abbia avuto una:
E allora: sei vestito da idiota? Certo, ma tu sei lì, con il tuo sorriso in primo piano. Proponi cessi d’appartamenti in mezzo ai beduini? Sicuro, ma tu intanto ti sei comprato una villa a Otranto. Prendi per il culo migliaia di morti innocenti? Altroché, ma tu non solo sei ancora vivo, tu sei famoso. Allora concediti al pubblico, falli sbavare, fagli sentire tutta la tua supremazia. Offendili, offendili fino a che non possono fare a meno di amarti.
Tutto è lecito, tutto è giustificato se utile per ritornare tra quei privilegiati che si muovono solo in limousine, attorniati da fan che chiedono un autografo, il cellulare che non smette mai di squillare, soldi e donne pronti a soddisfare ogni capriccio. Ora il telefono squilla soltanto per le sporadiche chiamate dei genitori o di Silvano, l’agente che inspiegabilmente ha scelto di non abbandonarlo e che gli propone lavori sempre più assurdi; dal sedile posteriore di una limousine pronto a portarlo di festa in festa, Nicola si ritrova ora al posto dell’autista e la sfilata di personaggi famosi che accompagna per una Milano notturna e spietata è tra i momenti più divertenti del romanzo: Laura Pausini che, forte del numero di dischi venduti e del successo nel mondo, inveisce contro una Fiorella Mannoia simbolo dell’impegno sociale; Alessandro Baricco, così patologicamente insicuro da rifiutarsi di pagare il bollino sulla caldaia perché ti pare che ad un intellettuale come Dostoevskij avrebbero chiesto di occuparsi di banalità come queste; Jovanotti che sforna rime su una qualsiasi disgrazia col solo interesse di scalare la classifica; Benigni, in completo Armani e ormai privo dell’accento toscano che lo caratterizza presso il grande pubblico; o ancora Rosy Bindi esilarante predatrice sessuale che si confonde sulle posizioni del kamasutra. È la descrizione impietosa e pungente di personaggi noti che Baccomo immaginiamo essersi divertito non poco a prendere in giro e che strappano sicuramente nel lettore più di una risata (solo Benigni, almeno nella sottoscritta, ha suscitato più riso dolceamaro che spensierata risata). 

Sono pagine di innegabile ilarità, ancora più divertenti se collocate nel contesto tragicomico del romanzo. Perché dietro la battuta pungente di Nicola, di cui senza dubbio è maestro, le crisi isteriche e le nevrosi quotidiane, i personaggi al limite del surreale che sfilano nel pittoresco mondo dell’ex star del Grande Fratello, Baccomo abilmente ha saputo inserire in un unico romanzo registro comico e tragico, entrambi funzionali alla storia e necessari alla riflessione per una lettura più puntuale dell’opera. Nicola che perde le staffe per le assurde proposte del suo agente, per poi un attimo dopo richiamarlo ed accettare lavori strampalati, le sfuriate di fronte a chi non ricorda il suo volto o ne storpia il nome, l’incapacità di ammettere perfino con i propri genitori di essere tornato un signor nessuno senza alcun talento né fama. Che poi capacità particolari ci appare ormai tristemente chiaro non siano più di tanto necessarie per conquistare il proprio posto tra i famosi, perché in fondo «il talento è solo uno dei tanti modi per arrivare al successo, nemmeno il più efficace». Poi cosa spinga Nicola a combattere così ferocemente per riconquistare la notorietà, rimane un mistero; certo, il tenore di vita si è nettamente modificato al ribasso da quando non è più celebre, le donne hanno smesso di girarli costantemente intorno:
Non voglio dire che sono in difficoltà economiche e che devo assolutamente rivedere il mio tenore di vita al ribasso. Ma sono in difficoltà economiche e devo assolutamente rivedere il mio tenore di vita al ribasso. Non sono mai stato particolarmente accorto dal punto di vista finanziario, non sono un risparmiatore né tantomeno un pianificatore. Non conosco sobrietà o accumulo, considero i soldi per quello che sono, il mezzo più efficace per la rapida soddisfazione di un desiderio, e ai miei desideri ho sempre cercato di accordare la precedenza sul resto, senza che la prudenza – la prudenza, io- sia mai riuscita a impormi un freno o anche solo uno straccio di cautela.
Ma chiaramente non è solo il desiderio di tornare ad abitare appartamenti di lusso, fare spese folli e sperperare senza ritegno; si intuisce qualcosa di più profondo che rende a Nicola insopportabile vivere una vita qualunque, anonima. E in nome di questo qualcosa non si fa scrupoli, usa ogni mezzo a disposizione per tornare alla ribalta sacrificando dignità, orgoglio e soprattutto mettendo da parte sentimentalismo ed etica. Non guarda in faccia a niente e nessuno, cinico arrivista che pare fare il verso alla celeberrima – e, ammetto, tra i personaggi letterari che più amo- Becky Sharp che per soddisfare la propria brama di conquista calpesta dopotutto senza troppi sensi di colpa chiunque le intralci la strada. Nicola è un personaggio difficile da amare, è cinico, arrivista, egoista ed egocentrico, a tratti violento e indecifrabile. 

Ma quando pensiamo di averlo davvero inquadrato, un po’ odiato anche, Baccomo riesce a destabilizzarci: cala il suo protagonista in una storia così drammatica e oscura degna del più tradizionale dramma e la sofferenza di Nicola suscita umana compassione, facendo dimenticare per un attimo i lati più cattivi del suo carattere. Il male che gli viene fatto è così terribile e la pubblica condanna così aggressiva che assorbe tutta l’ilarità della storia per trasformarsi in qualcosa di altro, scatenando differenti interrogativi e motivi di riflessione non solo sul male ma anche sulla società che condanna senza appello rovinando la vita di un uomo che qui inequivocabilmente appare in tutta la sua fragilità e solitudine. Nicola è infatti un uomo profondamente solo, una figura malinconica che si rifugia dietro il cinismo di una battuta pungente e uno spirito arguto, osservatore disincantato del vano mondo che lo circonda. 

Nell’alternanza di registro comico e tragico, Baccomo si serve della sua abilità nel comporre dialoghi, quella che stilisticamente è il suo talento più spiccato e che anche in questo caso sostengono brillantemente la storia e la identificano inequivocabilmente come sua. Nicola è un maestro della battuta sagace, il cervello svelto e la lingua tagliente che i suoi interlocutori non sempre comprendono fino in fondo ma che per il lettore è un continuo sorriso a denti stretti da seguire pagina dopo pagina. La duttilità dello stile di Baccomo si esprime al meglio poi negli stralci di articoli di giornale che, nell’ambito di una drammatica svolta della trama, riportano il nome di Nicola Presci anche troppo presente al grande pubblico: l’autore inventa notizie dai principali quotidiani italiani evocando lo stile caratteristico dell’uno o dell’altro giornalista o del tono della testata su cui appaiono i contributi. Peep show è quindi un melting pot di stili, tematiche, registri che dimostrano la capacità di giocare con la materia letteraria propria di Baccomo, osservatore a tratti disincanto ma sempre lucido delle meschinità del nostro tempo.

Debora Lambruschini