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Pillole d’Autore: “Il libro dell’inquietudine”, di Fernando Pessoa

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Negli ultimi anni su Fernando Pessoa, in Italia, si è sviluppato un interessante dibattito sulle sue idee/tendenze politiche: Luigi Mascheroni sostiene che Tabucchi lo abbia edulcorato per renderlo più fruibile alla Sinistra, tralasciando invece di presentarlo nella sostanza di uomo di Destra qual si suppone fosse. Nessuno pare avere la verità in tasca, e ciò dimostra l’estrema difficoltà nel catalogare un autore come il portoghese, che come ben sappiamo si divertiva a spargere a destra e a manca legioni di eteronimi.
È anche vero che, per esempio, alcuni aspetti di Pessoa sono in ombra, come la passione per l’esoterismo: passione che viene considerata (nel Nostro Regno della Materia Post-Illuminista) minore, o come una bizzarria che ai geni (penso anche a Schopenhauer) si può perdonare con una pacca sulla spalla e un sorriso di compatimento. Di tale passione resta famosa la foto dell’incontro a Lisbona con Aleister Crowley, grande esoterista del Novecento.

Qui si cita però "Il libro dell'inquietudine", per cui lasciamo la parola a Bernardo Soares.

Edizione di riferimento: Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares, prefazione di Antonio Tabucchi, traduzione di Maria Josè de Lancastre e Antonio Tabucchi, Universale Economica Feltrinelli, 2000, pp. 280, Euro 8

«All’improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno. Nel balenìo del lampo quella che avevo creduto essere una città era una radura deserta; e la luce sinistra che mi ha mostrato me stesso non ha rivelato nessun cielo sopra di essa. Sono stato derubato dal poter esistere prima che esistesse il mondo. Se sono stato costretto a reincarnarmi, mi sono reincarnato senza di me, senza essermi reincarnato.
Io sono la periferia di una città inesistente, la chiosa prolissa di un libro non scritto. Non sono nessuno, nessuno. Non so sentire, non so pensare, non so volere. Sono una figura di un romanzo ancora da scrivere, che passa aerea e sfaldata senza aver avuto una realtà, fra i sogni di chi non ha saputo completarmi.» (pagg.32-33)
«Ho già visto tutto, perfino ciò che non ho mai visto e che non vedrò mai. Nel mio sangue scorre perfino il più infimo dei paesaggi futuri e l’angoscia di ciò che dovrò vedere di nuovo è per me una monotonia anticipata.
E affacciato al davanzale, godendomi la giornata al di sopra del volume della città intera, un unico pensiero mi riempie l’animo: il desiderio intimo di morire, di finire, di non vedere più alcuna luce su città alcuna, di non pensare, di non sentire, di lasciare indietro, come una carta da imballaggio, il percorso del sole e dei giorni; di togliermi di dosso, come un abito pesante, vicino al grande letto, lo sforzo involontario di essere.» (pag. 46)
«C’è un’erudizione della conoscenza che è esattamente ciò che chiamiamo erudizione, e c’è un’erudizione dell’intelletto che è ciò che si chiama cultura. Ma c’è anche un’erudizione della sensibilità.
L’erudizione della sensibilità non ha niente a che vedere con l’esperienza della vita. L’esperienza della vita non insegna niente, così come niente insegna la Storia. La vera esperienza consiste nel diminuire il contatto con la realtà e nell’aumentare l’analisi di quel contatto, in tal modo la sensibilità si allarga e si approfondisce, perché in noi c’è tutto; basta cercarlo e saperlo cercare.
[…]
Colui che ha varcato tutti i mari ha varcato soltanto la monotonia di se stesso. Ho già varcato più mari di tutti. Ho già visto più montagne di quelle che esistono sulla terra. Ho già attraversato più città di quelle che esistono, e i grandi fiumi di nessun mondo sono passati, assoluti, sotto i miei occhi contemplativi. Se io viaggiassi troverei la brutta copia di ciò che ho già visto senza viaggiare.» (pagg. 100-101)
«È tutto assurdo. Costui passa la sua vita a guadagnare soldi che mette da parte, e non ha figli a cui lasciarli né speranza che il cielo gli riserbi una trascendenza di quei soldi. L’altro invece impegna le sue forze a guadagnare notorietà per quando sarà morto, e non crede nella sopravvivenza che potrebbe venirgli da una consapevolezza della fama. Quell’altro ancora si affanna alla ricerca di cose che tutto sommato non gli piacciono. E inoltre ce n’è un altro che […].
Alcuni leggono per conoscere, inutilmente. Altri si divertono per vivere, inutilmente.
Seduto sul tram osservo con calma, com’è mia abitudine, i dettagli dei passeggeri che mi siedono di fronte. I dettagli sono per me cose, voci, lettere. Separo il vestito della ragazza che è davanti a me dalla stoffa di cui è fatto e dalla lavorazione che è stata necessaria a cucirlo (poiché lo vedo come vestito e non come stoffa), e il ricamo leggero che orla il colletto mi si divide nel filo di seta ritorto con il quale è stato ricamato e nella lavorazione che c’è voluta per ricamarlo. E immediatamente, come in un libro elementare di economia politica, si aprono davanti a me le fabbriche e le lavorazioni: la filanda dove è stato fatto il tessuto; la filanda dove è stato fatto il filo di seta ritorto, di un tono più scuro, che orla con increspature ricamate le stoffa del colletto; e vedo le sezioni delle fabbriche, le macchine, gli operai, le sarte, i miei occhi rivolti all’interno penetrano negli uffici, vedo i dirigenti che cercano di essere tranquilli, seguo sui libri la contabilità di ogni cosa; ma non è solo questo: vedo, più in là, le vite domestiche di coloro che vivono la loro vita di esseri umani in quelle fabbriche e in quegli uffici… Il mondo intero mi si srotola davanti agli occhi soltanto perché ho davanti a me, sotto un collo bruno che dall’altra parte ha un volto che ignoro, un orlo irregolare di un verde scuro sopra il verde chiaro di un vestito.
Il consorzio umano nel suo insieme è davanti ai miei occhi. Al di là di questo intuisco gli amori, i segreti intimi, l’anima di tutti coloro che hanno lavorato affinché questa donna che è davanti a me sul tram porti intorno al suo collo mortale la banalità sinuosa di un filo di seta ritorto verde scuro sul tessuto di un verde più chiaro.
La testa mi gira. I sedili del tram, con una trama di una paglia resistente e sottile, mi portano a regioni lontane, mi si moltiplicano in industrie, operai, case di operai, vite, realtà, tutto.
Scendo dal tram esausto e sonnambulo. Ho vissuto tutta la vita.» (pagg. 134-135)
«Ci sono momenti in cui tutto ci stanca, perfino ciò che potrebbe riposarci; quello che ci stanca perché ci stanca; quello che potrebbe riposarci perché l’idea di ottenerlo ci stanca. Esistono certe prostrazioni dell’animo al di sotto di qualsiasi angoscia e di qualsiasi dolore; ed essi sono ignoti solo a coloro che evitano le angosce e gli umani dolori e vengono a patti con se stessi per sfuggire al proprio tedio.
[…]
Vivere mi sembra un errore metafisico, una negligenza dell’inazione.» (pagg. 135-136)
«Non l’amore, ma i suoi dintorni valgono la pena…
La sublimazione dell’amore illumina i suoi fenomeni con maggiore chiarezza della stessa esperienza. Ci sono verginità di grande comprensione. Agire compensa ma confonde. Possedere significa essere posseduto e dunque perdersi. Soltanto l’idea raggiunge, senza sciuparsi, la conoscenza della realtà.» (pag. 177)
«Essere puro, non per essere nobile o per essere forte, ma per essere se stesso. Colui che dà amore perde amore.
Abdicare alla vita per non abdicare a se stessi.
La donna è una buona fonte di sogni. Non toccarla mai.
Impara a liberare le idee di voluttà e di piacere. Impara a assaporare in ogni cosa non ciò che essa è, ma le idee e i sogni che provoca. Perché nulla è ciò che è: i sogni sono sempre i sogni. Per questo non devi toccare nulla. Se toccherai il tuo sogno esso morirà, e l’oggetto toccato occuperà la tua sensazione.
Vedere e sentire sono le uniche cose nobili della vita. Gli altri sensi sono plebei e carnali. L’unica aristocrazia è non toccare mai. Non avvicinarsi: questo è nobile.» (pag. 177)
Aleister Crowley e Fernando Pessoa

Piero Fadda