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Beowulf e l’etica del mondo guerriero germanico

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Beowulf
a cura di Ludovica Kock, testo originale a fronte
Einaudi, 2005 (1987)
282 pp.
11,00 €

Scritto in un periodo incerto (tra il VII e il IX secolo d.C.) e da autore anonimo, il poema epico Beowulf presenta per la prima volta nelle letterature germaniche lo scontro tra mondo umano e mondo mostruoso che diventerà presto un archetipo narrativo, portando alla creazione degli innumerevoli terribili draghi che sono stati uccisi dal coraggioso San Giorgio o da altri cavalieri.
In quanto primus nel suo genere, il poema ha una trama che potrebbe apparire scontata al lettore moderno. La storia narra le vicende dell’omonimo eroe scandinavo che arriva nelle terre dei Geati a soccorrere il re di Danimarca Hrōđgār e il suo popolo dal terribile mostro Grendel e, in seguito, dalla madre di questo assetata di vendetta. Dopo aver ricevuto i meritati onori Beowulf torna in patria e, diventato successivamente anche lui re dei Geati, regna per molti anni. La sua ultima impresa sarà l’uccisione di un drago che, prima di morire per mano sua e del nipote Wīglāf, lo colpisce a sua volta fatalmente. Gli episodi sono inframmezzati da numerose digressioni, spesso introdotte da aedi di corte durante i banchetti, che raccontano vicende e battaglie di celebri condottieri scandinavi.

Prezioso documento storico, Beowulf è il più antico e più lungo poema scritto in anglosassone. In 3182 versi allitteranti tre nuclei narrativi compongono la storia riproponendo un identico schema di fondo: quello della lotta tra eroe e mostro (Beowulf contro Grendel, poi sua madre, poi il drago). Ma la contrapposizione, oltre ad essere tra un singolo uomo e un singolo mostro alla volta, riguarda due mondi interi. Il primo è quello umano, fatto di feste, banchetti e allegria e rappresentato dalla reggia di Hrōđgār dove si vive sempre in ricchezza ed armonia e dove gli uomini sono legati da saldi valori feudali. Queste scene idilliache di abbondanza sono sempre interrotte dall’intromissione dell’altro mondo, quello mostruoso. L’aggregazione sociale degli uomini si scontra con l’ostilità di mostri alienati, che possono essere sconfitti solo con un intervento altrettanto “sovraumano”. Mostri così terribili, infatti, possono essere affrontati solo da chi possiede un’ “umana mostruosità”.
Eroe ai limiti dell’invincibilità e dotato di una forza quasi sovraumana, Beowulf è un condottiero che risponde perfettamente all’etica del mondo guerriero germanico. Uomo giusto e leale, Beowulf è sempre caratterizzato da sentimenti e valori estremi:
“era fra tutti i re del mondo, il più generoso con i suoi e il più cortese con gli uomini, il più gentile con la sua gente, e il più smanioso di gloria”.


Al momento di andare a combattere Beowulf, consapevole come Ettore davanti ad Andromaca, sa che all'onta della vigliaccheria è preferibile, anzi auspicabile, la morte in battaglia. E della fine della sua vita mondana Beowulf è estremamente consapevole quando, ormai vecchio, va ad affrontare il drago. In un inevitabile confronto con le Sacre Scritture, Beowulf non nega che vorrebbe il doloroso calice allontanato da lui:
“Non porterei la spada contro il Serpente, o un’arma se solo sapessi in quale altro modo potrei lottare con quel mostro, e vantarmene come ho già fatto con Grendel. Ma qui mi aspetto la guerra del suo fuoco rovente, del fiato, del veleno”.
Al paterno abbandono di Gesù sulla croce, però, qui corrisponde un ultimo eccesso di hýbris: Beowulf vuole vantarsi dell’uccisione del drago. All’altruismo di chi muore chiedendo il perdono dei peccati degli altri qui c’è, invece, la consapevolezza di un altro tipo di eccezionalità sovraumana:
“questa non è un’impresa per voi, non è a misura d’uomo, ma solo alla mia, confrontare le forze col Mostro, fare apparire la propria nobiltà”.
E come gli apostoli abbandonano Gesù sul Getsemani, anche i compagni di Beowulf fuggono dal mostro impauriti:
“e non gli si stringeva intorno la schiera dei suoi compagni più prossimi, dei figli dei principi, con le loro virtù di guerra. Al contrario, se ne erano scappati nel bosco, per salvarsi la vita”.

Il materiale tematico muove tra i più importanti valori germanici: il mito dell’eroe guerriero itinerante, le virtù in battaglia come metro di qualificazione degli uomini, la gerarchia del potere riconosciuto paragonato al caos del mondo mostruoso, il rimettersi alla volontà della natura – che offre segni premonitori per interpretare la realtà – il confronto tra le forze primordiali del bene e del male, la morte come momento di dignità estrema.
L’elemento del meraviglioso è ben presente nel romanzo, oltre che nelle figure dei mostri, anche in precisi oggetti, come la spada magica grazie alla quale  Beowulf sconfigge la madre di Grendel nella palude. Anche un oggetto come questo è connotato da qualificazioni estreme e assolute:
“Vide, su un mucchio di arnesi, una lama dotata di vittoria, una spada antica di giganti; un segno di prestigio per qualunque guerriero, la perla delle armi. Soltanto, era più grande di quante mai nessuno avrebbe potuto portarne nei giochi della battaglia: preziosa e bella, un lavoro titanico”.
Il titanismo dell’oggetto è in parallelo col titanismo dell’uomo, che  domina con la sua virilità e che, in questo poema fatto di uomini, non lascia nessuno spazio al femminino, se non in un’alienata distorsione (perché, nonostante le recenti produzioni hollywoodiane dicano il contrario, non si possono rintracciare nel mostro-madre di Grendel elementi che la caratterizzino come essere femminile, ma solo come mostro). Ma, quello del poema Beowulf, è un titanismo che va anche al di là della forza fisica, e arriva fino alla consapevolezza interiore dell’ineluttabilità della wyrd (fato, ma anche predestinazione): è proprio l’assunzione di questo fondamentale valore germanico che manifesta la precisa complessità intellettuale del poema.
   

Serena Alessi