Ada
di Elisabetta Setnikar
prefazione di Paolo Guzzanti
Giraldi Editore, 2009
Il filosofo francese Henri Bergson istituì una similitudine, interessante e feconda, tra il tempo della vita – un tempo per definizione eterogeneo e continuo, irreversibile – e un gomitolo; o una valanga. “Il nostro passato ci segue e s'ingrossa senza posa col presente che raccoglie lungo la strada”, ci arricchisce accompagnandoci in ogni pensiero ma (soprattutto, e in maniera più completa) in ogni azione. Ma non è soltanto questo. L’attimo passato e, nel suo riverbero, presente, è anche “un vaso pieno di profumi, di suoni, di progetti e di climi” (ed è, stavolta, Proust). Non solo gomitolo, dunque, ma percezione del gomitolo. Profumo del gomitolo. Rumore del gomitolo che rotola lungo il pavimento.
Leggendo questo speciale romanzo, dal nome semplice e aereo, Ada, si prova proprio tutto questo. Si percepisce il gomitolo, che ha la calda morbidezza della lana. Questo gomitolo, in particolare – un gomitolo altrui, altrui memoria – ha la forma di un appartamento bolognese, profuma di borotalco. E la sua protagonista ama indossare grembiuli da casa e la più preziosa, tra le semplici cose che possiede, è una scatola verde piena di fotografie.
Il romanzo di Elisabetta Setnikar è un omaggio, colmo di affetto, al ricordo della nonna, e della vita con lei. Ma sarei impietosa se dicessi che tutto si esaurisce qui. Perché se la memoria è un tempo privato, nel momento in cui se ne fa dono all’altro – consegnandolo alla scoperta materialità dell’oggetto-libro – essa aumenta di valore. Resta speciale ma diventa, a suo modo, universale. Nonna Ada, nella sua semplicità, resta inimitabile e irripetibile, ma è anche, allo stesso tempo, tutte le nonne del mondo.
“Recuperare frammenti di passato, riviverli, interpretarli, capirli e attraverso di questi imparare a esplorare se stessi e comprendersi”: questo lo scopo del ricordo, che è atto d’amore rivolto al proprio caro, a se stessi e, se impresso nella pagina, a chi legge. È proprio questo che Elisabetta Setnikar, con un delicato invito, ci offre. Dal primo ricordo – un ricordo di gioia, la stessa risata infantile da cui James Barrie dice nascano le fate – fino a un presente più ricco perché (ed eccoci nuovamente a Bergson) colmo di passato, colmo di memorie. Il gomitolo, quel gomitolo che possiamo sfogliare in Ada, non è un macigno sisifeo, ma un dono meraviglioso da portare con sé, da tenere per mano.
Laura Ingallinella
mercoledì 30 giugno 2010
Memoria e profumi di un mondo privato
lunedì 28 giugno 2010
Giuseppe Prezzolini, l'anarchico conservatore
Con uno stile asciutto e una buona dote documentaristica, Gennaro Sangiuliano (vicedirettore TG1) ripercorre la vita di Giuseppe Prezzolini, dalla sua nascita alla sua morte. La biografia di un uomo, un intellettuale a tutto tondo e anche un imprenditore culturale, che è un po’ la biografia di un secolo d’Italia: l’Italia post-risorgimetale, quella della prima guerra mondiale, quella delle riviste letterarie, del ventennio e quella del dopoguerra e della ricostruzione. La biografia di un uomo che ripercorre 100 anni di storia di una nazione vista da dentro e vista da fuori.
Nel 1907 insieme a Giovanni Papini fonda il Leornardo, rivista di arte e impegno che vede l’uscita di pochi esemplari ma che ci introduce alla successiva esperienza de La Voce del 1908 che si proporrà un maggiore impegno nel civile: rivolgersi a quante più persone possibili per sprovincializzare l’Italia, rinvigorirne lo spirito, svecchiare l’università. Contribuire al formarsi di una nazione che esiste solo in teoria e che tentenna tra privilegi, banalità e corruzione. La Voce sarà uno dei più rumorosi centri dai quali si sosterrà l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale, vista come una necessità, per Prezzolini, al fine di dimostrarne il valore umano e spirituale dell’essere nazione, riuscendo però a non scadere mai nella retorica bellicista. Curzio Malaparte disse che La Voce fu “serra calda del fascismo e dell’antifascismo”: Papini, Soffici, Slataper, Jahier, Salvemini, Croce, Gentile, Cecchi sono alcuni degli intellettuali che collaborarono a La Voce, non senza ostilità.
Prezzolini è stato il primo promotore in Italia, insieme a Soffici, degli impressionisti francesi. Ha introdotto alla filosofia di Bergson, si è accorto di Pareto, ha condiviso una forte amicizia culturale con Croce, frantasi sulle divergenze riguardo l’interventismo.
Prezzolini non ha mai conseguito la laurea, disdegnò sempre un percorso di studi regolare, eppure è stato un emerito docente della Columbia University. Ed è negli Stati Uniti, dove ha passato 30 anni, che ha potuto vivere quel conservatorismo liberale che lui sognava per l’Italia. Quel conservatorismo che non è reazione, bensì senso critico, osservazione, ponderazione, non infatuarsi per la novità, consapevolezza di doveri, rispetto. Senso civico e morale. Laicità dello Stato. Attenzione ai valori e sano nazionalismo.
Antifascista e anticomunista era giudicato fascista dai togliattiani per il suo interventismo e nazionalismo passati e perché lo stesso Mussolini si formò sulle pagine del Leonardo e de La Voce; se ne andò però dall’Italia appena avvertì che si stava costruendo uno stato totalitario, nonostante lui in quelle circostanze avrebbe potuto godere di alti privilegi (per l’amicizia con Mussolini) tranne quello della totale indipendenza.
Occhio critico verso l’Italia del malcostume e della trascuratezza e del menefreghismo passò gli ultimi anni della sua vita a Lugano e quando tornò nel 1982 a ritirare il Premio Penna D’oro l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini gli chiese perché non tornasse in Italia. La risposta fu in pieno stile prezzoliniano: “Presidente non si preoccupi: torno in Italia ogni giovedi per comprare la verdura”.
Prefazione di Vittorio Feltri e inserto fotografico con copertine di libri dell’autore.
F. Mercanti
sabato 26 giugno 2010
Tennis, tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più)
Tennis, tv, trigonometria, tornado
venerdì 25 giugno 2010
Una storia semplice
Una storia semplice
di Leonardo Sciascia
Milano, Adelphi, 1989
Come gli altri gialli di Sciascia, Una storia semplice rientra in quella categoria che viene definita 'giallo infinito', in cui il colpevole, identificato dal narratore o da un personaggio, non viene punito, ma solo reso noto al lettore alla conclusione del romanzo. Questa tecnica, che discosta il giallo di Sciascia dalla struttura classica del genere, è funzionale alla rappresentazione della società italiana. L'abilità di Sciascia, tuttavia, sta nella scelta di non denunciare in modo populista o retorico i mali della giustizia. La sua lingua piana e sottile, l'intreccio apparentemente semplice e lineare, dipanato in poche pagine, permettono infatti all'autore di trattare con leggerezza tematiche importanti, e di far emergere con forza la sua condanna, seppure senza proclami.
In questo romanzo il tema della giustizia è indagato, oltre che dal punto di vista di Polizia e Carabinieri – da notare l'abilità dell'autore nel far emergere in modo ironico i continui contrasti, a volte anche grotteschi, fra i due corpi – anche dalla prospettiva di un normale cittadino, suo malgrado coinvolto nel caso da risolvere. Il mostrare le contraddizioni della giustizia italiana permette quindi a Sciascia di indagare come chi non sia coinvolto nel processo della giustizia si relazioni con esso. L' “uomo della Volvo”, imbattutosi negli assassini, viene infatti tenuto precauzionalmente in carcere, nonostante l'evidenza della sua innocenza. A lui l'autore dedica anche la fine del romanzo. Dopo essere stato rilasciato, si imbatte infatti nel prete (introdotto precedentemente come personaggio secondario) e in lui riconosce il finto capostazione, che era in realtà l'assassino. La sua reazione, però, è quella di non denunciare la sua scoperta: «“E che, vado di nuovo a cacciarmi in un guaio, e più grosso ancora?”». Con questa conclusione, Sciascia denuncia allo stesso tempo i problemi della giustizia italiana, che scoraggia i cittadini alla collaborazione, ma anche una certa leggerezza da parte degli stessi cittadini, che spesso preferiscono non essere implicati come testimoni.
Per finire, una breve considerazione sulla lingua, che sottolinea i passaggi rilevanti nella narrazione attraverso particolari scelte stilistiche. Una su tutte, l'indizio che permette di individuare l'assassino - il guanto del commissario di Polizia – viene introdotto all'inizio della narrazione, quando tra gli aggettivi per descrivere il commissario Sciascia sceglie “guantato”.
La 'storia semplice' tracciata da Sciascia, quindi, nasconde sotto un'apparente semplicità e leggerezza una vasta rete di significati. Da grande narratore, Sciascia non nasconde le problematiche che intende affrontare con trucchi che il lettore deve risolvere, ma le lascia naturalmente emergere tra le righe della scrittura.
mercoledì 23 giugno 2010
La grande storia di un fiasco: "Revolutionary road" di Richard Yates
di Richard Yates
prefazione di Richard Ford
trad. italiana di Arianna Dell'Orto
minimum fax, 2009
martedì 22 giugno 2010
La Vera Storia del Cuore di E. Podestà
L’Iconoclasta sceglieva bene le sue vittime. Non sapete quanto F. Moccia ci rimanesse male. Cosa avevano i A. Baricco e compagnia scrivente più di lui? Non chiedetelo a me, io leggo altra roba, io sono ancora più intransigente dell’Iconoclasta.
Si ricomincia, ecco il viaggio: viaggerò nel tempo e riviaggerò nel tempo. Fin quando troveremo il momento della storia, nello spazio, nelle nostre vite, passato e futuro, in cui Andreea mi bacerà.
lunedì 21 giugno 2010
La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata

La casa delle belle addormentate
di Yasunari Kawabata
Oscar Mondadori 1995
pp. 203
euro 7,80
Ogni volta che Eguchi riposa accanto ad una ragazza viene assalito da un fiotto di ricordi, che lo riportano ora alle sue passate esperienze sentimentali, ora al suo rapporto con la sua ultima figlia, ora a sua madre. Sono visioni intrise di una forte carica onirica, a tratti filtrate dal dormiveglia, che scaturiscono dalla contemplazione delle ragazze, il cui corpo nudo viene descritto fin nei minimi dettagli. Dei seni piccoli oppure floridi, delle mani infantili oppure lunghe e con le dita laccate di smalto, delle labbra innocenti oppure tinte di rossetto, ogni cosa fa affiorare i ricordi che Eguchi conservava sepolti nella sua memoria. I sensi, tra cui anche l'olfatto, che alla maniera proustiana fa rinascere vividi e intensi sprazzi di vissuto, sono i protagonisti in assoluto del racconto. Dall'empirismo del corpo si passa alla visione onirica, la quale scaturisce in tutta la sua potenza mischiando ricordi reali a immagini di sogno, in una sorta di immersione nel profondo di sè stessi. Un'azione apparentemente sordida come quella di recarsi in una casa di appuntamenti si trasforma in un dialogo di Eguchi con il proprio io interiore, già minacciato dal senso di disfacimento e di morte tipico della vecchiaia eppure ancora prepotentemente attaccato alla vita.
L'edizione Oscar Mondadori comprende anche altri due racconti, Uccelli e altri animali e Il braccio, entrambi incentrati sul tema della solitudine e dell'alienazione nelle sue varie forme.
domenica 20 giugno 2010
Sopravvissuti a una notte di ghiaccio
di Giuseppe Scuderi
Giovane Holden Edizioni, Massarosa 2008
pp. 249
€ 10.00
sabato 19 giugno 2010
L'importanza di chiamarsi Ernest
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La locandina della riduzione cinematografica di Oliver Parker |
LA STRAGE DEI FIORI
LA STRAGE DEI FIORI
poesie persiane
di Forugh Farrokhzad
Le Ellissi- Orientexpress
traduzione italiana di
Domenico Ingenito
Una clochard l’altra sera mi ripeteva: “Io non posso amare”. Avrei allora voluto leggerle in quell’istante dei versi di Forugh Farrokhzad:
“Pettinerò di nuovo i miei capelli nel vento?
Pianterò di nuovo le viole in giardino?
E lascerò di nuovo i gerani
Nel cielo dietro la finestra?
Danzerò di nuovo sui bicchieri?
I Rintocchi della porta mi condurranno
Di nuovo all’attesa di una voce?”
In questa raccolta di poesie della giovane poetessa iraniana curata dal giovane Domenico Ingenito, sentiamo scorrere la tradizione ma anche il presente di una terra sacra. L’Iran, dopo aver ricoperto di scandalo questa donna morta giovanissima nel 1967, l’ha poi santificata fino a fare della sua scrittura quasi un oggetto alla moda, abuso pubblico della sua intimità violentata da risvolti di revisionismo. Oggi leggiamo sui blog e vediamo nei film sull’Iran una netta contrapposizione tra spazio pubblico e spazio privato, vietati i comportamenti che non rispondono ai precetti della shari’a, sono praticati entro mura sorde e cieche, dove si fissano veri appuntamenti con dio. La stessa contraddizione faceva da fondale all’esistenza triste ma gloriosa di Forugh. I giovani de “I gatti persiani” film di Bahman Ghobadi sono costretti a suonare clandestinamente e allo stesso modo, di nascosto, si consuma l’amore che lei canta: il buio è la dimensione eletta per l’unione di quei corpi che nell’estetica della lirica persiana diventano fiori e giacciono in un giardino, radicati alla terra. E dalla terra fioriscono le sue passioni:
“Non ho mai desiderato, io
diventare un astro nel miraggio del cielo
o come spirito dei prescelti diventare
compagna silenziosa degli angeli
mai stata io, separata dal terreno
e mai amica delle stelle,
io m’innalzo sulla terra”
È la terra che nutre il rito notturno della celebrazione del peccato che cede alla stanchezza solo alla fine, solo quando “ per le strade fredde della notte /si separano gli innamorati lentamente”. La sua scrittura è poetica della notte, tempo dell’incanto e della perdizione, mentre in Occidente qualche anno più tardi, un’altra donna lo canterà, “because the night belongs to lovers”. Gli amanti ribelli vivono di notte nella luce della loro innocenza, senza vergogna o timore perché non c’è colpa, solo condanna. Rivive nei suoi versi il romanzo di Nezami di Ganja del 1188, Leila e Majnun, dove Leila (lett.la notte) e Majnun (lett.il pazzo)si contorcono nell'essenza di unione irrealizzabile, un folle amore tra un uomo e una donna che nella tradizione letteraria persiana non si consuma e in Forugh invece divora tutto lo spazio che si interpone tra i corpi.
“Buongiorno notte innocente!
Buongiorno, notte che trasformi gli occhi dei lupi della piana
In ossuti fossi di fede e di fiducia”
L’incontro amoroso, topos letterario per eccellenza nella poesia, si tinge di fiori rossi e si accende negli sguardi che l’amante disperde nello specchio quando è ora di curare la propria solitudine, morsa dal disincanto di un amore mortale, animato dalla fine di ogni nuovo incontro che già anela al prossimo. L’abbandono dell’amante partorisce una sofferenza che scava solchi d’umanità, porta acqua agli occhi e veste ogni gesto.
La misura dello scandalo che Forugh provocò sta anche nella tensione realistica della sua scrittura che non innalza mai la sua esperienza verso una dimensione evanescente ma sempre terrena:
“Sotto terra dorme colui che porterà salvezza
E la terra, la terra tutta che accoglie a sé,
è un segno di riposo”
e ancora
“ Forse verità erano quelle due giovani mani, quelle due giovani mani
Sotterrate dal peso della neve senza sosta”.
Il freddo , il buio , la terra, vortice di sensazioni e visioni riscaldate da sorsi di vino che scivola su corpi disfatti e defluisce come linfa per rendere la vita.
Qualcuno ha classificato Forugh tra le protagoniste di un femminismo ante litteram e la critica viene soprattutto oggi influenzata dai gender studies ma lei stessa disse di sé: “se la mia poesia può essere considerata femminile, è naturale, sono una donna. E se comunque la mia poesia è giudicata secondo criteri artistici, non credo che il sesso sia un fattore determinante”.
I suoi versi sono come perle nere che cadono al fresco di una stalla nel film di Abbas Kiarostami, Il vento ci porterà via (1999), quando il protagonista li recita ad una giovane donna che munge nell’ombra una vacca rifiutando di mostrare il suo volto
"Oh! Corpo rigoglioso
Le tue mani, come doloroso ricordo,
poggiale tra le mie mani innamorate.
E le tue labbra, come una sensazione calda di vita,
lasciale carezzare le mie labbra innamorate.
Il vento ci porterà via"
Esplode l’oscurità anche di giorno pervasa da un pudore che cosparge il preludio di un’estasi placidamente immorale.
Ode a Forugh e al coraggio che l'ha resa poetessa.
venerdì 18 giugno 2010
La letteratura come "passion predominante"
di Giulio Ferroni
Liguori, 2009
Claudia Consoli
giovedì 17 giugno 2010
"Il Salotto": intervista a Valeria Cereda

mercoledì 16 giugno 2010
Invito alla lettura: Il bell'Antonio
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Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale nella riduzione cinematografica di Bolognini (1960) |
martedì 15 giugno 2010
LA SEPARAZIONE DEL MASCHIO. Francesco Piccolo.
di Francesco Piccolo
Einaudi, Torino 2008
€ 17,50
pp. 198
La Separazione del Maschio o meglio lama di rasoio per una nuova consapevolezza o esempio di probabilità che diviene sempre di più certezza.
Un libro che costringe, obbliga ad una coscienza della realtà: cosa significa per un uomo sapere di essere e vivere sino in fondo, anche dolorosamente, il suo stato di maschio.
“E’ rassicurante somigliare a qualcuno che alla fine fa tutto nel modo giusto”, dice l’io testosteronico narrante. Sì, rassicurante ma impossibile per un maschio: un maschio che vive la poligamia come una necessità, che sente di dover frammentare la vita per sentirsi parte di essa, che sopporta i turbamenti dell’amore avendo più donne, donne che sceglie con cura e di fronte alle quali si scopre incapace di abbandonare, impreparato ed inadatto a “lasciar andare”.
La soluzione di un uomo di fronte alla domanda “come si sopporta la vita?” è e rimarrà “affidandola a più mani”, perché vivere sulla bilancia è un modo di vivere.
La poligamia serve a soffrire bene e il lettore di fronte a questo eccesso di verità resta spiazzato, inerme, come il protagonista.
Ma è dal protagonista del racconto che ogni lettore riesce a dare un senso unico alla frammentarietà.
Siamo di fronte ad un libro verità, un libro che ti tocca dentro, perché parla alla sensibilità di ognuno di noi, e insegna a rinunciare alla radicale negazione delle ragioni dell’altro, maschio in questo caso.
Quando un libro insegna ad ammettere le debolezze, sarà sempre in grado di ricordare al lettore qual è il modo da usare per concedere a sé stessi un futuro, l’autore, Francesco Piccolo, è riuscito in questo intento!
Emma Gabriele
lunedì 14 giugno 2010
Donna alla finestra di Catherine Dunne
pp. 300
€ 16.50
Un appartamento lussuoso, circondato da un giardino in stile orientale. Una famiglia alto-borghese, composta da padre, madre e due figli. Questo è il tranquillo universo di Lynda Graham, una donna intelligente e affascinante che apparentemente ha tutto: il benessere economico, un marito devoto e innamorato, due figli belli e sani. Ben presto, però, alcune nuvole offuscano la serenità di questo cielo terso. Piccoli imprevisti, danni apparentemente minimi, sabotaggi a prima vista imputabili a vandali di strada turbano la quiete familiare. Sono tutti segnali, tessere di un puzzle che man mano si uniscono, indizi che sembrano mostrare il volto inquietante di Danny, il fratello del marito di Lynda, un disadattato che distrugge tutti quelli che gli vogliono bene. Il passato, un passato doloroso, torna a riemergere e Lynda fatica a controllare i suoi timori. Danny è realmente tornato a minacciare lei e suo marito Robert? Oppure è tutto frutto della sua immaginazione? Un incontro fortuito con Jon, un amico del figlio adolescente, riporta un po’ di serenità in famiglia. Jon è gentile, educato, e sembra esercitare un influsso positivo su Ciaràn, il figlio più piccolo di Lynda, un ragazzo ribelle e introverso. Il nuovo arrivato riesce a farsi benvolere al punto da diventare ospite fisso in casa. Tuttavia, là fuori, nel vialetto davanti al giardino ben curato, qualcuno sosta davanti all’abitazione dei Graham, ed ogni mattina, prima del sorgere del sole, è pronto ad eseguire degli ordini che rappresentano una minaccia sempre maggiore. Il passato può ritornare, e può farlo in molti modi diversi, ripresentandosi con un altro volto. Fidarsi di qualcuno si rivela spesso un passo falso…
Catherine Dunne, con abilità e maestria, riesce a tracciare il profilo di una personalità malata e a illustrarne le dolorose vicende passate, descrivendo nel contempo lo svolgersi di una vita familiare che pian piano è sempre più intaccata nella sua serenità. Il ritmo narrativo, inizialmente lento, diviene alquanto sostenuto man mano che gli eventi si susseguono, interrotti di tanto in tanto da un illuminante flashback. L’intricata matassa si dipana poco per volta, rivelando particolari a prima vista insignificanti che si mostrano decisivi nel rivelare la verità, in un crescendo di tensione, fino alla scoperta finale. La figura di Lynda, la protagonista del romanzo, è quella di una donna pronta a lottare fino all’ultimo per proteggere i suoi cari, il suo mondo, la sua vita. Nel fare ciò dovrà affrontare molte problematiche relative al suo matrimonio e al rapporto con i figli, guardando in faccia una realtà diversa da quella che era abituata a vedere. Malesseri e incomprensioni che covavano sotto terra riescono finalmente ad emergere.
Donna alla finestra è un giallo particolarmente riuscito, anche perché affronta delle dinamiche che appartengono ad un universo familiare. La famiglia, che a prima vista può rappresentare il simbolo della sicurezza, rivela il suo lato più oscuro e segreto, i suoi pesanti scheletri nell’armadio. Il pericolo, anche se ha l’aspetto di uno sconosciuto, molto spesso non viene da fuori, ma si annida all’interno di una realtà ben nota che svela inesorabilmente i suoi inquietanti segreti.
sabato 12 giugno 2010
Intervista a Marco Abundo

Grazie a voi! Per me è la prima volta e mi fa molto piacere!
Una domanda a bruciapelo: chi è Marco scrittore?
"Reset", la svolta, il cambiamento. La storia si ferma nel momento precedente l'azione. Come mai questa scelta?
Volevo focalizzarmi sul percorso interiore che porta una persona a comprendere di essere malato, di aver bisogno d'aiuto e di non avere molte speranze davanti a sè. Il finale libero nasce come consapevolezza di non avere risposte univoche da dare, nemmeno una strada specifica da indicare. Esperienze di vita e l'osservazione e l'ascolto di quelle degli altri mi hanno portato a pensare che l'importante è capire, arrivare ad essere consapevoli di aver toccato il fondo. Come dicono i medici: "Per guarire innanzi tutto devi sentire che sei ammalato".
"Reset" è nato in modalità confuse, poi ha preso vita con coerenza. Mi venivano in mente scene e le scrivevo. In un secondo momento ho riorganizzato il lavoro. Mi sono ispirato al mio mondo, alle persone che incontravo sulla mia strada. Si, talvolta mi sono sentito dubbioso rispetto le licenze che mi concedevo scrivendo, ma poi ho semplicemente seguito l'istinto, il mio gusto e la voglia di non limitare la mia espressione. La mia famiglia ha capito che dietro ogni mio libro c'è un percorso di crescita e che se sono giunto a trattare di determinati temi c'è sicuramente un motivo. Se l'avessero rifiutato, se fossero venuti a dirmi: "Non devi scrivere questo!" sarebbe stato durissimo. Sarebbe stato come se avessero rifiutato me, ciò che sono. "Reset" non è un romanzo autobiografico, è una riflessione sulla vita. Esprime l'esigenza di rinnovamento. Un processo di rinascita.
Che rapporto hai con le critiche ai tuoi scritti?
Accetto le critiche perchè desidero imparare. Fatico a leggere i miei precedenti scritti perchè li sento sempre mancanti. Sono molto severo con me stesso. Eppure so che tutto ciò che ho creato, dalla prosa alla poesia, racconta un percorso di crescita. Le critiche costruttive sono per me momento e opportunità di miglioramento.
Grazie Marco! E' stato un piacere parlare insieme! Un ultima domanda prima di lasciarti andare: programmi letterari futuri?
(Marco ridacchia) La tesi!!