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La gratuità di un dono: la poesia del “Diario postumo”

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Diario Postumo, Eugenio Montale
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1995
ed. a cura di Annalisa Cima

In un saggio del ’51 dal titolo Quelli che restano, poi incluso in Auto da Fè, Eugenio Montale sottolineava (ironicamente, ma non troppo) che il poeta morto gode di un importante vantaggio rispetto al poeta vivo: le sue opere sono, infatti, affidate completamente all’esercizio esegetico dei lettori; non potranno più esser chiesti chiarimenti o glosse al suo enigma poetico.
Tale destino, di orgogliosa e sorniona libertà, è toccato all’ottava e ultima raccolta del poeta ligure: il Diario Postumo. Già il titolo ci informa della sua natura diaristica, e del particolarissimo destino di dono poetico post-mortem progettato sin nei minimi dettagli dal suo autore.
Le 66 poesie (scritte su foglietti colorati di carta di riso, su buste usate o sul retro di cartoline) furono distribuite in 11 buste sigillate nel 1979, e affidate alla Fondazione Schlesinger con il compito di pubblicarle a poco a poco, dopo la sua morte, con scadenza annuale. Le indicazioni del poeta furono seguite alla lettera: e dal 1986 cominciarono ad comparire sugli scaffali delle librerie plaquettes contenenti Poesie inedite di Eugenio Montale, con l’inevitabile sorpresa di ritrovarsi di fronte a un Montale, ancora una volta, diverso. Le poesie del Diario Postumo, infatti, si inseriscono sulla scia dell’ultima produzione montaliana, volta alla conquista di una colloquialità intessuta di sempre più scarnificato, satirico nichilismo; ma da questa scia si discostano, nella ripresa disinvolta di modi e temi della prima produzione, ma soprattutto nel superamento, in barlumi, di quel nichilismo che avremmo detto la cifra poetica più evidente di Montale:

In giorni come questi, spesso
la tetraggine m'assale
e il vivere d'ora in ora

mi tortura. Ma arrivi tu

che sconfiggi la noia

coi tuoi discorsi variopinti.
Anche oggi cercheremo una breccia.

Una parola che ci possa salvare

e che ci tenga in bilico

sul confine ideale tra realtà

e fantasia potrà, anche

se per poco, cangiare l'esistenza.


A differenza dell’ormai antica In limine (“Se procedi t’imbatti/ tu forse nel fantasma che ti salva … Cerca una maglia rotta nella rete che ti stringe, tu balza fuori, fuggi!”) la salvazione non è possibile solo per l’Altro, ma anche per il poeta.
Il destinatario di questo componimento è la poetessa Annalisa Cima (ritratta in foto con il poeta), dedicataria dell’intera raccolta; all’interno di questa, almeno 34 componimenti sono proprio pensati per lei, che occupa il posto, impegnativo e rinnovato, di ultimo visiting angel della produzione montaliana. Annalisa è “anima viva”, “imperatrice”, “agile messaggero”, “guerriero”, “smarrito adolescente”, “animatrice di parole”: vagheggiata come figlia e riconosciuta come sensibilità poetica affine. Accanto a lei, e alle epigrammatiche riflessioni filosofiche, si trovano poi gustosissimi ritratti di amici e personalità di grande spessore intellettuale che in quegli anni ruotavano intorno al Poeta: tra questi, Andrea Zanzotto, Cesare Segre di cui ci lascia uno splendido bozzetto balneare ne Il filologo:

Con calze bianche e berretto di tela
ecco che giunge, in veste estiva,

il nostro maestro di filologia.

E se la luce tende a sfuocare

quel suo alone di mistero, egli
lo difende con lenti affumicate.

Così celato, sembra voler scrutare

il futuro ignoto a tutti.

I suoi gesti,esitanti, nascondono
paure,
rivelano il timore
dell’oscuro male dell’universo.


Il componimento prosegue con l’apparizione salvifica dell’angelo, Annalisa, mentre i due intellettuali, il filologo e il poeta, restano “entrambi in ammirazione / mentre il sole rinnova l’incanto / rigeneratore che ferma il tempo”.
E tale potrebbe essere, forse, una bella definizione per tutto il Diario Postumo; un incanto che ferma il tempo: che, in piccole, affettuose istantanee, cattura l’amica-figlia Annalisa nell’entusiasmo poetico dei suoi trent’anni; che, con la rabbia del poeta che si sente ormai “etichettato” (così scriveva a Dante Isella nel 1969), scaglia le ultime invettive contro i “mini-professori” e gli invidiosi; e che, infine, lancia un ultimo sguardo alla vita in una prospettiva ad posteritatem. “Il significato del suo piano prestabilito è forse un desiderio di eternità, di un futuro da opporre all’approssimarsi della morte. Da vecchi non si può vivere solo di memorie, Montale voleva ‘una morte che vive’; e la cercò attraverso una lente arbitraria, per poter mettere a fuoco le ombre usò una fotografia rovesciata, per dare al dopo il sapore del presente. (…) È questo il suo ultimo atto d’amore alle verso le persone a lui care.” (Annalisa Cima)

Laura Ingallinella