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Quando Honoré diventò Balzac. La biografia di un genio, il saggio di Francesco Fiorentino

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Balzac
di Francesco Fiorentino
Editori Laterza, settembre 2025

pp. 296
€ 20,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

«Tutti i suoi libri formano un solo libro, un libro vivo, luminoso, profondo, dove si vede andare e venire, camminare e muoversi, con un non so che di sorprendente e di terribile mescolato al reale, la nostra intera civiltà contemporanea». (p. 268)

Così Victor Hugo  parla de La Comédie humaine di Balzac e la vastità (forse anche l'eccesso) di un'opera articolata in 137 volumi e in cui si intrecciano le vicende di più di duemila personaggi la dice lunga sul carattere inarrestabile e smisurato del suo autore. Sempre Hugo, al funerale di Balzac, quando il ministro degli Interni, Jules Baroche, gli chiese se Balzac fosse davvero un uomo notevole, rispose: «No, è un genio».

Francesco Fiorentino, uno dei massimi studiosi italiani di Balzac, in questo suo ultimo saggio ci conduce per mano alla scoperta della vita e dell'opera dello scrittore francese, del quale – come ammette nella premessa citando Théophile Gautier – «nessuno può avere la pretesa di fare una biografia completa» (p. IX).  Tuttavia, è difficile trovare mancanze o lacune nel saggio di Fiorentino, che presenta la multiforme e complessa vicenda esistenziale di Honoré de Balzac, a partire dal difficile rapporto con la madre. 

Non ho mai avuto una madre, oggi la nemica si è dichiarata. Non ti ho mai svelato questa piaga, era troppo orribile e bisogna vederla per crederci. Appena sono stato messo al mondo, sono stato mandato da una nutrice presso un gendarme e ci sono restato fino all'età di quattro anni (p. 10),

scriveva Balzac a Mme Hanska in una lettera del 2 gennaio 1846, e Fiorentino mostra bene come una certa tendenza al lamento che lo scrittore avrà con le donne, così come le relazioni con donne molto più grandi di lui, si possano far risalire al distacco emotivo della madre e al fatto che con lei ebbe sempre una relazione quasi formale. La madre, Laure Sallambier, aveva un temperamento rigido, che la rendeva incapace di  comprendere l'esuberanza e la vita artistica del figlio.

Laure Sallambier nutre un rispetto ossessivo del contegno borghese, che le era stato inculcato nella casa paterna: tiene alle apparenze proprie e dei figli; non ammette che il suo primogenito non sia all'altezza dell'immagine sociale che intende esibire della famiglia. Ha un'idea dispotica di come bisogna comportarsi in base a un ordine cui tutti dovrebbero piegarsi. (p. 19)

Segnato dal rifiuto affettivo della madre, il giovane Balzac cerca figure materne sostitutive: come Madame Laure de Berny, di ben ventitré anni più anziana di lui, che sarà un punto fondamentale della formazione  umana e culturale di Honoré, diventando non solo amante e maestra, ma anche confidente e consigliera. Ma il rifiuto della madre e il fatto che lo avesse sempre sminuito portarono in lui anche un costante bisogno di rivalsa, il bisogno incessante di essere riconosciuto, ammirato. Questo bisogno diverrà la frenesia del suo ritmo lavorativo:

Va a dormire alle 18 subito dopo il pranzo, si sveglia alle 24 e lavora fino alle 12. Alle 12 esce di casa c sbriga gli affari. Alle 16, ogni tre giorni prende un bagno alle 17 pranza. Lo sostengono in questo forsennato ritmo di lavoro i suoi famosi caffé composti da tre chicchi: il Bourbon comprato a rue du Mont Blanc (ora rue de la Chaussée d'Antin), il Martinique a rue des Vieilles-Audriettes al Marais, il Moka presso Mortier a place Saint-Michel (attualmente rue Monsieur le-Prince). Lo prepara nella caffettiera di porcellana con le sue iniziali e una corona nobiliare di fantasia che è conservata oggi alla Maison de Balzac. Gautier, che talvolta lo accompagnava in giro per la città ad acquistare i chicchi, sosteneva che il caffé di Balzac era il più buono di Parigi. Solo grazie ai suoi caffé – e mettendo a repentaglio la propria salute – riusciva a resistere cosi a lungo allo scrittoio. A differenza di Dumas, che era a capo di un'impresa a suo nome formata da vari scrittori, Balzac scriveva da solo. (p. 139)

Questa "bulimia" era radicata nella sua fantasia, che lo portava – non appena aveva scritto la prima pagina di un libro – ad immaginare altri trenta volumi per proseguire quella idea. Balzac appare in ogni cosa febbricitante, esagerato. Durante l'adolescenza trascorsa in austeri collegi, a soli tredici anni, scriverà un trattato filosofico sulla volontà, mentre a quindici anni per un eccesso di attività mentale entra in coma. Ciò segnerà il suo ritorno a Parigi e, successivamente, i suoi studi in giurisprudenza, presto però messi da parte per seguire la sua passione letteraria.

L'opera di Francesco Fiorentino è divisa in quattro parti: "Honoré e famiglia", "Honoré vuol fare lo scrittore", "Honoré cambia mestiere", "Honoré diventa Balzac". A queste parti segue l'indice delle opere di Balzac e l'indice dei nomi. 

Un saggio che mira maggiormente a ricostruire la biografia e la psicologia dell'uomo Balzac che a presentare in modo analitico il suo stile e e le sue opere, sebbene sia costruito in modo che le prime siano indispensabili chiavi per accedere alle seconde.   

L'idea di romanzo che porta avanti Balzac è grandiosa, «comprende la riflessione storiografica, filosofica, sociologica, eccede i limiti della produzione contemporanea, fondata essenzialmente sull'intrigo e sugli effetti di lettura: le lacrime, il riso, la paura» (p. 73). Honoré diventa Balzac quando decise di dare una rappresentazione totale della società, in cui i personaggi superano la loro individualità per rappresentare tipi sociali, caratteriali, generazionali. L'idea fondamentale dello stile di Balzac è anche il ritorno di tali personaggi. «Salutatemi, perché sono semplicemente sul punto di diventare un genio» disse Honoré alla sorella, nel momento in cui ideò Papà Goriot.

Grazie a quest'idea geniale, le tante singole straordinarie figure dei suoi romanzi non sono solo una galleria di profili racchiusi in un'unica parziale vicenda, sono gli abitanti di un universo – quello della Comédie – che s'impone come tale. Il loro ripresentarsi in diverse circostanze in altri romanzi li fa vivere d'una esistenza propria, li presuppone al di là delle stesse pagine in cui compaiono: insomma, da loro vita in più. Alla fine di un romanzo il lettore, come nella vita, non smette di conoscerli. Quando li ritrova, si ricorda di loro, arricchendo l'interpretazione dei loro caratteri. (p. 166)

Se, davvero non era possibile in un singolo saggio racchiudere la vastità dell'opera e dell'uomo Balzac, oltre che della sua eredità nella letteratura europea, Francesco Fiorentino si avvicina a questo traguardo, lasciando sempre quella parziale incompletezza, che semina nel lettore la voglia di scoprire ancora di più l'arte di Balzac.

Deborah Donato