Un amore di porcellana
di Inma Aguilera
Piemme edizioni, 9 settembre 2025
Traduzione di Elisabetta Giamporcaro
pp. 416
€ 22,00 (cartaceo)
€ 14,99 (eBook)
La dama che dominava il piatto aveva un’espressione malinconica, ma bella, che rappresentava la speranza di vivere dopo aver superato grandi avversità. (p. 167)
La descrizione della dama dipinta su quel piatto dice molto di più di quanto sembri, perché quel volto è il riflesso delle protagoniste, tutte in qualche modo sopravvissute a qualcosa: all’amore, alla perdita e al mistero. Mistero, ebbene sì. Tutto ruota attorno a una domanda: quale segreto si nasconde dietro una fuga, dietro un piatto rotto in tre pezzi e ricomposto, dietro un volto dipinto con mani esperte sulla ceramica finissima della Cartuja di Siviglia?
Ogni epoca attraversata nel romanzo porta alla luce non solo i cambiamenti sociali, ma anche la trasmissione di un’eredità silenziosa, fatta di scelte non dette e di assenze che pesano come la porcellana cruda. Felisa, giovane ed appassionata decoratrice, si dedica con fervore all’apprendimento della tecnica, mentre vive un rapporto ambiguo col suo superiore, il bel Conrado, un’attrazione che si consuma in un’atmosfera di tensione e aspettative disattese. Ma Felisa incarna soprattutto un modello di determinazione tenace e silenziosa che in qualche modo trasmetterà alle donne che verranno dopo di lei.
È proprio qui che entra in campo l’anima più affascinante e riuscita del libro: l’arte della porcellana.
Aguilera, scrittrice con alle spalle studi di giornalismo e comunicazione e diversi anni di insegnamento, si sofferma con rispetto e meraviglia sui gesti degli artigiani, sui pennelli dei decoratori, sulle mani dei disegnatori, sulla precisione dei modellatori. L’autrice crea una narrazione quasi sensoriale, che restituisce tutto l’incontro di un’arte fatta di tecnica, ma anche di emozione. Il lettore entra nei laboratori, osserva i gesti e quasi percepisce l’odore della polvere di caolino, del colore appena steso e del silenzio che serve quando si accende il sacro fuoco della creatività e della concentrazione intensa. In un passo del libro troviamo Felisa di fronte alle decalcomanie e quasi sentiamo l’odore della vernice speciale:
La riproduzione si fissava sulla superficie della ceramica dopo la prima cottura, perché assorbisse il pigmento. Era un passaggio delicato: ogni pezzo si infornava con la decalcomania adesa perché si fondesse, ed era cruciale che si mantenesse al suo posto per tutto il processo. L’errore più insignificante era motivo sufficiente per scartare la tazza. Finché non riuscì a padroneggiare quella tecnica, Felisa soffrì moltissimo per ogni pezzo rovinato. (p. 99)
La fabbrica de las Cuevas, dove si apre il romanzo, sembra uscire da una fotografia d’epoca: un luogo che custodisce non solo bellezza, ma anche verità taciute. In questo libro vengono messe in evidenza la pazienza, il talento anche delle donne. Non solo il giovane taciturno, Esteban, nipote dell’autoritaria Brìgida Urquijo, proprietaria della fabbrica di porcellane, ha talento da vendere, ma anche Felisa, Macarena e altre figure femminili che lavorano nella fabbrica: sono loro che danno lustro a quelle porcellane. Esteban, in particolare, è un giovane dalla sensibilità spiccata e raffinata, e rivela gradualmente il proprio carattere e il proprio mondo interiore. Il suo rapporto con Macarena, l’allieva di sua zia, fatto di silenzi, imbarazzi, è uno dei nuclei narrativi del romanzo. Sarà lui a riconoscere alla ragazza il suo valore artistico e umano in un passaggio cruciale:
« […] Sai quante persone in giro si definiscono artisti solo per il loro carattere estroverso, pur non avendo alcun talento reale di cui vantarsi? D’altro canto, quanti poveri o contadini esisteranno al mondo più brillanti del più esperto degli ingegneri? Quante donne saranno migliori di molti uomini?» chiese, osservandola affascinato. «Ho davanti a me una persona straordinaria non ho dubbi. Mi dispiace di non aver fatto maggior affidamento su di te. Dovresti partecipare di più al progetto, Macarena». (p. 243)
Accanto a lui, spicca la figura di Brígida Urquijo, donna severa e inflessibile, vero perno della fabbrica e custode di un’eredità antica e di un passato inquieto. La sua presenza aleggia su tutto il romanzo: Brígida è l’archetipo della matriarca che tiene insieme ciò che rischia di sgretolarsi, ma che a sua volta ha dovuto sacrificare parte della propria vita per la sopravvivenza dell’intera fabbrica. Il romanzo lascia intuire che dietro la sua durezza si celino rinunce e dolori profondi. E poi c’è Trinidad, l’ultima delle tre donne, forse la più enigmatica, che raccoglie i frammenti del passato e cerca, come chi ricompone un piatto rotto, di dare un senso alle crepe della propria storia familiare. È lei che, nel 1901, si avvicina alla verità sul misterioso piatto: una porcellana che non è solo oggetto d’arte, ma metafora di identità frantumate e ricomposte. Il suo percorso è un’indagine, ma anche un rito di passaggio: attraverso lettere, oggetti, volti e voci, Trinidad tesse l’ultimo filo che unisce il disegno.
La struttura del libro è ambiziosa: tre linee temporali che si rincorrono, si sfiorano e si intrecciano in un crescendo emotivo che richiede attenzione da parte del lettore, ma che poi ripaga generosamente. Non mancano i momenti in cui il ritmo si fa più lento, dilatato, e questi passaggi possono mettere a dura prova il lettore più impaziente. Aguilera ha il merito di aver costruito una narrazione a più strati fatta di flashback e ritorni, a volte anche all’interno dello stesso capitolo. Proprio come un piatto fatto a mano, artigianalmente, il ritmo narrativo di Un amore di porcellana si increspa come un piatto rotto e rimesso insieme. Se non si accetta di rallentare, c’è il rischio di perdere la bellezza di questo romanzo così intenso e voluminoso.
Marianna Inserra
Social Network