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Relatività di un comandamento: "Questo mondo non è casa" di Viola di Grado

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Questo mondo non è casa 
di Viola Di Grado 
Rizzoli, settembre 2025 

pp. 132 
€ 13,00 (cartaceo) 
€ 7,99 (ebook) 

Attraverso l’ausilio di alcune valenti autrici contemporanee, un recente progetto editoriale di Rizzoli si propone di attualizzare e, in più di un caso, di rivisitare i precetti dei dieci comandamenti. 

Accade così che il lettore si ponga diversi interrogativi morali circa le possibili interpretazioni dell’imperativo categorico contenuto nel quinto (Non uccidere), di fronte al breve romanzo di Viola Di Grado, Questo mondo non è casa, pubblicato all’inizio del mese di settembre. 

Alcuni elementi lievemente inquietanti (come un cervo bianco ucciso in un bosco o delle vecchie bambole da collezione) e una linea non troppo sottile di violenza di genere attraversano questo libro, che ha quasi per intero la forma di un diario privato: quello redatto negli ultimi mesi di vita dal protagonista, lo psicanalista sessantenne Guido Pacher, e, come ci viene riferito nelle primissime pagine, pubblicato postumo per volontà della sua ex moglie Beatrice. 

Il diario ci pone di fronte a un personaggio del tutto negativo, con il quale è molto difficile empatizzare. Sessista, narcisista e manipolatore, Guido è del tutto consapevole del potere che esercita sulle proprie pazienti («...ho sentito montare un senso inebriante di potere. Con una sola parola potevo salvarla o sbriciolarla», p. 75) ed esprime di continuo giudizi sprezzanti sulle donne che ha in cura, donne in crisi, spesso sole, che descrive in questi termini: 

Donne sole che si interrogano incessantemente sulla propria solitudine. (p. 19) 

Donne irrazionali, dall’emotività ridondante, ma che hanno una visione ragionieristica dell’esistenza. (p. 19) 

Perché tutte queste donne vogliono somigliare a Barbie? (pp. 51-52) 

Coerentemente con la forma diaristica, la sintassi paratattica e l’uso prevalente dei tempi presente e passato prossimo conferiscono al testo un andamento veloce, immediato, quasi in presa diretta, tanto più che l’analista ha l’abitudine di riportare per intero non solo i propri pensieri e le proprie considerazioni, ma anche le battute dei dialoghi intrattenuti con le sue assistite. 

Nel grande studio situato al centro di Torino, in cui troneggia «una grottesca testa di Freud» che «occupa un intero scaffale» (p. 126), Pacher riceve l’affascinante ed enigmatica Linda, una paziente che in breve tempo si trasforma per lui in un pensiero fisso: prima con i suoi silenzi, poi con le sue storie misteriose lasciate in sospeso tra una seduta e l’altra, ma anche con la sua avvenenza, Linda lo ammalia al punto che il dottore si sente persino contagiato dai malesseri della ragazza: 

Quando è uscita dalla stanza […] mi sono sentito improvvisamente solo […]. Come se la sua solitudine mi avesse contagiato. […] Devo smettere di scrivere solo di lei nel mio diario di pazienti. (p. 50) 

Linda appare una figura abbastanza surreale (si è creata persino un doppio dal nome ‘parlante’ di Dalì), ma è lei il personaggio chiave che ci aiuta a comprendere in pieno la bassezza morale di Guido.

Elide Stagnetti