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D’arte, amore e viaggi per mare. Il sabato pomeriggio di Wunderkammer 2025

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Alla ricerca della perfetta bellezza - Carla Maria Russo presenta Il velo di Lucrezia con Alessandra Tedesco

Proseguono i viaggi nel tempo nel pomeriggio di Wunderkammer. Carla Maria Russo e Alessandra Tedesco ci trasportano con una presentazione immersiva nella Firenze del primo ‘400, per esplorare la storia vera di Filippo Lippi e di Lucrezia, che è stata la sua musa. Il velo di Lucrezia è un libro incentrato sulle passioni e sulle costrizioni, introduce Tedesco. Le prime sono quelle di Filippo, che fin da bambino ama disegnare, e “la mano gli va un po’ per i fatti suoi”; le seconde sono per entrambi, forzati per motivi diversi a vivere in convento. L’arte per Filippo è una scoperta, una meraviglia, ma anche uno spavento. Lui vive con la zia e cresce nella parte più povera di Firenze, di là d’Arno, senza condizionamenti adulti. Il crescere libero però lo obbliga a confrontarsi da solo con il suo potenziale, con questa mano quasi autonoma, che trova pace solo nel momento in cui può riprodurre ciò che ha intorno, o anche solo nella sua testa. Per il giovane Filippo questa non è una dote, ma qualcosa di misterioso, difficile da comprendere

Una delle svolte per la sua vita è la possibilità di andare in centro a Firenze, dove incontrando per caso una bottega d’arte riesce a dare un senso a ciò che è e fa, comprende che la sua qualità può essere finalizzata. La libertà di Filippo incide però anche in modo negativo su di lui: non riesce a correggere alcuni tratti del suo carattere, è disancorato da un rapporto reale con gli altri, è disordinato, disobbediente, non capisce il valore del denaro e fatica a dominare i suoi istinti, a distinguere il bene dal male. Lui inizia a ricercare il bello dovunque lo trovi, ma sopratutto nella bellezza femminile. Nella bottega di Bicci, dove inizia a lavorare come apprendista, deve aderire a una tradizione artistica gotica, ormai stanca e quasi stucchevole. Opera però in quei tempi Masaccio, che vuole fare un’arte diversa, tornare a Giotto. Per Filippo l’incontro con Masaccio sarà una seconda svolta significativa: nell’arte di Masaccio lui riconosce il suo modo di fare arte, il suo voler ancorare l’arte alla realtà, di riportare l’uomo e i suoi sentimenti sulla tela. 

Filippo però, nel confrontarsi con un genio, inizia a sentirsi manchevole, inadeguato, e non riuscirà mai del tutto a superare questo senso di inferiorità. Quando la gente gli dirà che le sue opere sono capolavori, risponderà sempre “non ancora”. La sua è una ricerca ossessiva. Per creare un capolavoro non basta il talento, o la tecnica, spiega Russo, ma serve anche una grande passione, la capacità di incanalare tutte le proprie energie e il proprio mondo interiore in quella direzione. Serve un grande innamoramento come primum movens

La figura di Filippo è affasciante perché è un uomo che è animato dalle sue passioni, che a volte cavalca, mentre altre volte ne è dominato. Quest’uomo, così inquieto, a un certo punto viene chiuso in convento, dove gli verrà garantita un’istruzione e il necessario per vivere. Il ragazzo si mostra fin da subito riluttante a regole che gli sono state imposte, a una vita che non ha voluto. Il padre superiore del convento riconosce però il suo talento, come dono di Dio, e decide di aiutarlo a coltivarlo. 

Il terzo grande di momento di svolta per Filippo è l’incontro con Cosimo dei Medici, grande mecenate per la città di Firenze, che sta donando alla cultura locale una nuova mentalità di stampo umanistico. Cosimo vede e valorizza l’ingegno umano in tutte le forme in cui si manifesta. Siamo alle soglie del Rinascimento, e la vita terrena inizia ad essere considerata qualcosa di prezioso, da mettere a frutto. Questo ambiente alimenta in Filippo non solo la cultura, ma anche l’ambizione. Lui vuole fare in questa vita qualcosa di così incredibile che resti per i posteri, vuole trovare un modo laico per non morire

Anche Lucrezia, con la sorella Spinetta, viene costretta al convento, ma non riesce a rassegnarvisi. È la controparte femminile di Filippo. La sua storia arriva trasversalmente, attraverso il diario di Spinetta, che è profondamente rigida nei suoi confronti. Questo espediente permette di caratterizzare progressivamente Lucrezia attraverso le sue azioni e le sue reazioni. Delle due sorelle Spinetta è la più fragile, è quella che ha subito maggiormente la situazione famigliare, che vive con un senso di conflittualità la sorella, che ha un volto d’angelo, ma un carattere tempestoso, affamato di vita. A Spinetta la sorellanza basta, mente Lucrezia vuole vivere nel mondo. Al male di vivere, entrando in convento, si somma il “male del non vivere”. Il convento per lei è la tomba, quella in cui viene sepolta viva.

Quando i due si incontrano lei ha vent’anni, lui ne ha cinquanta. Certamente Filippo esercita su di lei il fascino della sua esperienza. Ma ancor più su di lui, la bellezza di lei è risposta a una domanda posta da sempre. L’urgenza che lui provava si incarna in Lucrezia. Ne è fulminato non solo come uomo, ma soprattutto come artista. È la possibilità di realizzare il capolavoro, di fermare la bellezza nel tempo. Se però lui può realizzare il suo progetto solo grazie a lei, anche lei acquista improvvisamente consapevolezza del suo potere, del suo valore come donna, proprio attraverso lo sguardo di lui. Questo momento è ciò che le permette di realizzare anche il suo progetto, quello della fuga. 

Per non svelare troppo, il confronto si allontana ora dalla trama. Tedesco chiede a Russo come si possa trattare il materiale storico per trasformarlo in romanzo:

Un romanzo ha delle caratteristiche molto nette, molto chiare; il genere e la storia sono solo un pretesto perché l’autore narri se stesso, il suo cuore, il suo mondo interiore. Lo scrittore ha bisogno di innamorarsi di un pretesto, di una storia, per poter produrre l’opera. Io scelgo solo storie vere, solo queste mi parlano, perché mi piace l’umanità che vi si nasconde.

Quando si racconta una storia come quella di Filippo e Lucrezia si parte da scarni dati, tutto il resto va ricostruito, immaginato. La psicologia dei personaggi va cesellata, insieme al contesto storico, all’ambiente. L’immaginazione parte però da te, dal tuo mondo interiore. E questo vale anche per l’arte, Filippo prova a spiegarlo a Lucrezia. Croce enuncia un paradosso: la Storia non esiste. Vuole dire, spiega Russo, che la Storia è difficile da ricostruire, si può solo provare a cercare una verità con gli strumenti di cui si dispone. Se lo storico fa il ragionamento a partire dai fatti, il romanziere li ricostruisce a partire dalla propria anima




L’irresistibile richiamo del mare - Marco Valle presenta Andavano per mare con Gian Micalessin

Anche il secondo incontro propone un itinerario attraverso la storia. L’autore, Marco Valle, in un precedente volume aveva raccontato degli italiani che hanno scoperto il mondo via terra, ma la sua passione primaria rimane quella per il mare. In questa nuova opera sceglie di assecondarla, seguendo naviganti che hanno messo in contatto mondi diversi. È una grande storia dell’Italia attraverso diversi personaggi e diverse scoperte, ma anche attraverso il coraggio di affrontare l’ignoto.  

Quando io scrivo di questi meravigliosi folli, penso che loro si avventuravano in viaggi da cui non sapevano se sarebbero tornati. Li muove un misto tra bramosia di fama, curiosità, senso del mistero e anche cupidigia. Trovare nuovi mondi voleva dire la possibilità di fare fortuna. C’è tutto un alternarsi di sentimenti che spinge le loro imprese. 

Marco Valle dialoga con Gian Micalessin. I due si conoscono fin da bambini e la loro giovinezza, a Trieste, è stata sempre segnata dal mare. Le sirene delle navi che partivano dal porto li faceva salpare con l’immaginazione. Andavano per mare è una storia della navigazione italiana, che per lungo tempo è stata trascurata. Nonostante 8000 km di costa, la natura di penisola conficcata al centro del Mediterraneo, l’Italia ha da troppo tempo perso una visione del mare, se ne accorge poco. Tra Medioevo e Rinascimento, invece, la nostra penisola era una superpotenza economica e culturale proprio grazie al suo rapporto col Mediterraneo. Dopo Lepanto inizia un periodo di ripiegamento verso l’interno. Si aprono le nuove rotte atlantiche e l’Italia non poteva competere con altri Stati più agguerriti, anche sotto il profilo tecnologico. 

I grandi dotti della letteratura italiana hanno perlopiù ignorato il mare, con l’unica illustre eccezione di Dante Alighieri, che ben oltre l’episodio di Ulisse spesso si paragona a un vascello in movimento, e fa molti riferimenti al mondo della navigazione (la bussola, l’Arsenale di Venezia). Da lì in poi, però, il mare è sempre tenuto in disparte. Anche i Malavoglia, pur essendo pescatori, lo temono. Noi a Verona per fortuna abbiamo avuto Salgari che ha narrato di avventurieri e naviganti; poi c’è stato D’Annunzio, ma nel complesso si trattava sempre di una prospettiva marginale. 

Anche dal punto di vista economico, in Italia - anche per via della frammentazione politica - manca il fenomeno che ha fatto decollare le economie marittime europee nel Seicento, una Compagnia delle Indie. Solo Venezia mantiene la sua vocazione commerciale, ma non ha più una posizione di rilievo. Mentre tutti i paesi evolvono, gli italiani a un certo punto si fermano. Questo dovrebbe ricordarci l’importanza di continuare a fare ricerca, mantenersi orientati al progresso.

Il volume di Valle spazia tra i più svariati argomenti, che vengono rievocati con vivacità aneddotica all’interno della presentazione: dalle scoperta del baccalà alle avventure di Dionigi Galeni, giovane calabrese fatto prigioniero come schiavo dai Saraceni e poi convertito, che parteciperà alla battaglia di Lepanto nello schieramento ottomano con il nome di Uccialì; si racconta del caratteraccio di Magellano e delle cronache di Pigafetta, che descrive la circumnavigazione del globo ed è uno dei pochi a tornare vivo, pur senza essere un marinaio; della nave scuola italiana Amerigo Vespucci, dedicata a un personaggio che non era un uomo di mare, ma un astronomo, uno scienziato, che fece la sua prima navigazione più che quarantenne; si parla anche della guerra per mare in tempi più recenti, in particolare dei MAS opposti alle grandi corazzate durante la seconda guerra mondiale e delle traversie tragicomiche di Luigi Rizzo; o ancora della nascita della vela come tradizione sportiva d’eccellenza italiana. Nel racconto animato e appassionato di Marco Valle si sente tutto il coinvolgimento personale per il tema, che arriva anche a lambire la sua storia di famiglia. E, tra i tanti libri proposti al festival, questo è il primo che porto subito a casa con me, perché immagino gli occhi sognanti della mia controparte nel riceverlo e partire all’avventura. 



Passioni senza tempo tra jet set e letteratura - Anna Folli presenta Prendersi tutto con Riccardo Pedicone


Con l’ultimo incontro si torna a parlare d’amore, insieme ad Anna Folli, autrice di Morante/Moravia, Ardore e l’ultimo Prendersi tutto, e a un coinvolto e coinvolgente Riccardo Pedicone. Per cominciare, il moderatore richiama una nota domanda di Raymond Carver: di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Non esiste un unico modo d’amare, introduce Folli, ma tante forme d’amore quante sono le persone che lo provano. Un esempio è quello della coppia Morante-Moravia, che provavano sentimenti quasi sempre non allineati, non sincronizzati. Pur essendo stati imperfetti, pur essendosi traditi molte volte, si sono però sempre voluti bene, presi cura l’uno dell’altro. E questo tipo d’amore non ha nulla di meno rispetto al colpo di fulmine, all’amore-passione che ha unito Romain Gary e Jean Seberg, o Aristotele Onassis e Maria Callas. 

Quando Elsa e Alberto si sono conosciuti, Moravia era già Moravia. Lui aveva avuto un successo inaspettato con Gli indifferenti, e apparteneva a una famiglia benestante. Lei era intimidita, ed era già innamorata in qualche modo di lui, perché era innamorata del suo libro, mentre lei non aveva pubblicato ancora nulla, a parte una raccolta di racconti per bambini. Al centro della loro relazione c’era la letteratura, che li univa anche quando i caratteri confliggevano. 

Molto diversa da questa è la relazione di Gary e Seberg, tra cui c’è stato un vero e proprio coup de foudre. Erano entrambi sposati e si sono incontrati per caso a una cena. Lei era un’attrice già famosa ed era bellissima, aveva una luce tale che non si poteva credere che in seguito quella donna così luminosa sarebbe diventata così infelice. Lui era molto più vecchio di lei e un gran seduttore, ma quando la vede rimane folgorato. La loro diventa una relazione viscerale, non possono più stare l’uno senza l’altro e per questo rinunciano a tutto (lui anche alla sua carriera diplomatica). Quando poi la loro passione scemerà e si separeranno, non verrà meno il bisogno di proteggersi a vicenda. Non sapranno mai rompere, allontanarsi davvero. E quando lei morirà, lui non scriverà più. 

Entrambi i personaggi, nota Pellicone, hanno interpretato in vita molti ruoli diversi. Nella loro relazione, però, questa scissione non c’è stata, secondo Anna Folli. Il loro rapporto è anzi stato segnato sempre dalla trasparenza, dalla condivisione della verità, anche dopo la rottura. 

La narrazione di Anna Folli rivela a ogni risposta la conoscenza profonda, l'attività di scavo e documentazione che sta dietro a ogni libro, ma anche una certa forma di confidenza raggiunta con i personaggi che affronta. 

Per scrivere libri come questi, bisogna necessariamente immergersi nelle storie dei personaggi. Conoscerli diventa quasi un’ossessione, loro diventano degli amici, che frequenti assiduamente e vuoi avvicinare nella loro intimità. Questa operazione diventerà sempre più difficile, perché stanno venendo meno le lettere che sono un’importante fonte di conoscenza. 

L’ultimo volume di Folli, nota Pedicone, diverge però per molti versi dai precedenti, a partire dal titolo: Prendersi tutto. Io, Aristotele Onassis non pone più al centro una storia d’amore quanto l’io. Il personaggio viene presentato attraverso un coro polifonico, quasi come in una tragedia greca. Anna Folli spiega che anche la scelta della figura da indagare è nuova: Onassis non è un intellettuale, non ha niente in comune con lei. È un uomo che ha i piedi saldamente piantati nella realtà e la sua vita incrocia tutti i grandi eventi storici del Novecento (nel 1922 l'invasione di Smirne, la crisi del '29, la seconda guerra mondiale e l'amicizia con Churchill, la Grecia dei colonnelli… lui c’era sempre). Una vita così articolata, e una persona così divisiva, non poteva che essere raccontata da più punti di vista, quelli di chi aveva intersecato la sua esistenza. Alla fine del libro, il lettore può scegliere quale posizione prendere rispetto alla sua figura. 

In giovanissima età Onassis si trova solo a Smirne e decide di prendersi tutto, tutto quello che gli era stato tolto, e ancora di più. Aristotele Omero Onassis non era un uomo colto, pur parlando perfettamente sette lingue, ma era un grande amante dell’epica classica e si sentiva profondamente greco, pur non essendo nato in Grecia (così come Maria Callas). Ha amato quest’uomo o ha cercato di colmare un profondissimo senso di solitudine?, chiede Pedicone. Folli ha rivolto questa domanda a un suo cugino, che le ha risposto: “Ha amato soprattutto se stesso”, ma poi ha aggiunto: “Ha amato anche moltissimo la sua famiglia d’origine, e ha avuto alcuni momenti d’amore con alcune donne della sua vita”. Tra queste non c’era, secondo Folli, Jacqueline Kennedy, c’era invece Maria Callas, e probabilmente anche Ingeborg. Onassis è stato in seguito accusato di aver rovinato la carriera di Maria Callas. In realtà è stata lei a scegliere di dedicare tutta sé stessa a lui. Voleva che la sua vita fosse la più normale possibile insieme a lui. La persona che Onassis ha amato più di tutto, però, è stato il figlio Alexander. Quando lui è morto, per Onassis non c’è stato più nulla. 

L’aggettivo che più si adatta alla vita di quest'uomo è “tenace”, spiega Folli, anche se di questa tenacia non resta nulla dopo la scomparsa del figlio. Il nome Aristotele, rinforza Pedicone, contiene in sé la proiezione verso un fine, il fine migliore, e in qualche modo incarna lo spirito dell’uomo che lo porta. Ma alla fine Onassis è riuscito a prendersi tutto?, si chiede. Risponde Folli: 

Lui è stato un uomo profondamente solo e questo gli ha impedito di essere felice, se non per brevi istanti. Ha passato la sua vita a cercare qualcosa che non ha mai trovato davvero, la sua corsa non è mai finita. La sua vita è stata davvero una tragedia greca. 


Carolina Pernigo