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Ritrovare un figlio e diventare finalmente padre: "Il bambino perduto", un romanzo del 1949 di Marghanita Laski

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Il bambino perduto
di Marghanita Laski
Garzanti, settembre 2025

Traduzione di Francesca Pellas

pp. 192
€ 17,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Hilary Wainwright scoprì che il suo figlioletto era disperso il giorno di Natale del 1943» (p. 9). Inizia con questa affermazione asciutta – se non fosse per quel "figlioletto" – Il bambino perduto, uscito in lingua originale nel 1949 e nel 1953 in italiano. 

Hilary, che prima della guerra era un poeta piuttosto apprezzato e con il Secondo conflitto mondiale svolge lavori top secret, ha visto solo una volta suo figlio John, il giorno dopo la sua nascita; la moglie, Lisa, è stata uccisa poco dopo dalla Gestapo nel 1942. A nulla è servito affidare John all'amica Jeanne, perché anche lei, trovandosi in una situazione di pericolo, ha dovuto nascondere il bambino da qualcun altro. Sì, ma da chi? E dove si trova adesso John? Ancora a Parigi, dove abitavano Lisa e Hilary? Sono solo informazioni vaghe quelle che Hilary riceve da Pierre, a lui sconosciuto ma fidanzato della defunta Jeanne. E quando Pierre si offre di andare in cerca di suo figlio, Hilary, che in quel momento non può lasciare l'Inghilterra, accetta, spaesato e sopraffatto dalle informazioni ricevute nonché dall'emozione di stringere tra le mani l'ultima lettera scritta da Lisa. 

Solo nel 1945, alla fine della guerra, Hilary ha modo di lasciare l'Inghilterra e sbarcare in Francia per cercare suo figlio: non ha di lui alcuna immagine, ma Pierre gli ha fornito degli indizi. In questo tempo, ha provato a mettere a tacere la sua angoscia per le sorti del figlio, ma ormai è ora di darsi da fare e realizzare la richiesta accorata di Lisa: ritrovare loro figlio. Il percorso alla ricerca di John è un viaggio in una Francia devastata dalla guerra: Laski non tace lo sbalordimento di un intellettuale benestante come Hilary, che attraversa strade dissestate, assiste alla miseria quotidiana e allo strozzinaggio del mercato nero. Hilary «non vedeva altro che bruttezza, ovunque volgesse lo sguardo» (p. 71) e si sente «trafiggere da un fiotto di pietà profonda» (p. 72) per la cittadina di "A", a una cinquantina di chilometri da Parigi, dove c'è un orfanotrofio che potrebbe ospitare John. 

Non immaginatevi un lieto fine immediato: il bambino che viene mostrato a Hilary, per quanto bene educato, è uno sconosciuto. L'uomo non sa riconoscervi il suo John: in un'epoca in cui non si poteva ricorrere agli esami del DNA per stabilire un rapporto di paternità, il protagonista può solo affidarsi a una presunta somiglianza. Sono però soprattutto le differenze a essere rilevate da Hilary: 

«Ma gli occhi - fece Hilary implorante - pensi agli enormi occhi scuri del ragazzo. Né io né mia moglie abbiamo mai avuto occhi così». (p. 134)

Nonostante evidenti perplessità e una certa ritrosia, Hilary non rifiuta di passare un po' di tempo con il bambino. Dopo l'imbarazzo iniziale, quel bambino, che tutti lì chiamano Jean, gli mostra interesse e affetto, e Hilary gli compra piccoli regali che sembrano enormi agli occhi del piccolo. L'orfanotrofio è infatti un posto ben poco ospitale, perché tutto nella città di A grida miseria: i bambini tubercolotici passano il tempo accanto ai sani, il cibo è insufficiente e poco nutriente, i piccoli ospiti non hanno vestiti abbastanza caldi per l'inverno. Hilary, come un mantra, si ripete: «So quel che devo fare. Sono venuto qui pronto a compiere il mio dovere. Se il bambino fosse stato mio, l'avrei preso; in caso contrario, l'avrei lasciato in orfanotrofio» (p. 141).

La sua, in ogni caso, non è una scelta semplice, perché si trova in violento conflitto con sé stesso, diviso tra il desiderio di prendersi cura di quel bambino e la resistenza di un uomo che si troverebbe così a diventare davvero padre, e dunque si assumerebbe delle responsabilità nuove. Dovrebbe, in altre parole, rinunciare all'egoismo e ai piccoli capricci che si concede – non ultimo, qualche flirt anche nella cittadina di A –, per mettere suo figlio al primo posto. E questo dissidio è il cuore del romanzo di Laski, che si insinua sapientemente tra le pieghe della psiche del suo protagonista. In pochi giorni Hilary dovrà decidere il da farsi. E dalla sua decisione dipenderà il futuro, forse addirittura il destino, di Jean (John?). 

Ispirato probabilmente a una storia vera avvenuta nell'Inghilterra di trecento anni prima, Il bambino perduto è però ambientato in un'Europa post-bellica in rovina. E la denuncia degli orrori della guerra si amplia più andiamo in là con la lettura: è proprio a causa dei conflitti che Hilary non ha assistito alla nascita del figlio e lo ha visto una sola volta, o che sua moglie e l'amica sono state uccise. E ancora, è colpa della guerra se tantissimi bambini come John sono finiti in orfanotrofi e chissà in quali privazioni, senza conoscere i propri genitori. 

Ancora molto godibile nonostante gli anni trascorsi dalla sua pubblicazione, Il bambino perduto problematizza sia il tema della paternità sia il complesso cammino post-bellico. E così viene, ancora una volta, da ringraziare Garzanti per questa bella collana dei «Repêchage», che riporta in libreria opere che resterebbero altrimenti nell'oblio.

GMGhioni