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«Un intreccio di relazioni conflittuali»: storia della famiglia Accoto in "Corta è la memoria del cuore" di Giuseppina Torregrossa

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Corta è la memoria del cuore 
di Giuseppina Torregrossa 
Mondadori, settembre 2025 

pp. 252 
€ 19, 50 (cartaceo) 
€ 10, 99 (ebook) 

In Corta è la memoria del cuore Giuseppina Torregrossa racconta la storia della famiglia Accoto: una storia segnata da forti contrasti e da incolmabili distanze emotive («Gli Accoto erano monadi che si allontanavano le une dalle altre», p. 162), che segue nel dettaglio la lunga vita della ‘matriarca’ Teresa. 

Protagonista indiscussa dalla prima all’ultima pagina, Teresa funge da catalizzatore a livello narrativo e determina il ruolo di tutti gli altri personaggi del libro, che si definiscono in base al rapporto, per lo più di parentela, che hanno con lei.

La nota dominante del suo spigoloso e complicato carattere è la rabbia, da lei sfogata indistintamente e senza sosta su familiari, animali e «cammarere». L’incipit è, in questo senso, già rivelatore: 

Le femmine della famiglia Accoto erano impastate con la rabbia. La vita era stata gentile con loro, avrebbero dovuto essere grate e invece sputavano veleno, il rancore le abitava. Di tutte, Teresa era la peggiore. (p. 9) 

Mentre indugia sul legame particolarissimo della protagonista con il marito e descrive la scalata socioeconomica che, grazie al lavoro di lui, porta la coppia dalla provincia siciliana ai quartieri della Roma bene, Torregrossa, indagando il misterioso e sfaccettato universo della maternità, si concentra sulla relazione di Teresa con i figli, specialmente su quella con la primogenita Elena. 

È proprio lei, infatti, a subire più pesantemente le conseguenze del carattere umorale e anaffettivo della madre, configurandosi come la vittima incolpevole di un immotivato conflitto iniziato nel momento stesso della nascita della bambina e poi proseguito ininterrottamente nel corso degli anni: 

Teresa prese in antipatia la figlia e nei primi mesi sembrò disinteressarsi di lei. (p. 27) 

Per tutta la vita Elena fa i conti con questa donna impossibile e lungamente silenziosa, che si rifiuta di chiamarla per nome e che mai le concede neanche un briciolo di quell’amore che lei invece non smette di inseguire con insistenza: 

 L’amore chiama amore, eppure, per quanto Elena si desse da fare, sua madre sembrava non volerle bene. (p. 101) 

 Sarebbe mai finito quel bisogno di sentirsi figlia? (p. 242) 

Il contrastato rapporto madre-figlia (e un altrettanto complesso rapporto con la figura paterna) fa da cassa di risonanza a un’altra delle tematiche più rilevanti del romanzo, quella, cioè, che riflette sull’importanza della comunicazione, sulla forza delle parole e anche delle non-parole: fino alla morte del marito, durante l’infanzia dei figli, Teresa infatti osserva con rigore 'la regola del silenzio' 
Quindi, ormai anziana e (letteralmente) più strega che mai, inizia a comunicare attraverso un fiume di cattiverie, insulti e maledizioni:

Teresa ritrovò la voce e da quel momento […] cominciò a parlare senza sosta. (p. 204)

Il suo modo di esprimersi – un linguaggio piuttosto ricercato da giovane, il dialetto stretto una volta lontana dalla terra d’origine –, così come il suo mutismo condizionano tutta l’esistenza di Elena e, a cascata, in un meccanismo ingestibile di corsi e ricorsi, le successive generazioni di figlie e nipoti: 

La voce di ogni femmina Accoto […] non era uno strumento neutro di comunicazione, ma lo specchio del vissuto affettivo. (pp. 146-147) 

Talvolta, involontariamente, in Elena emergono comportamenti, emozioni, attitudini similari a quelli di Teresa. 
Tuttavia, la mancata comunicazione con la madre, conseguenza diretta del caratteraccio e dell’anaffettività di quest’ultima, innesca in lei una sorta di contrappasso, che le impone una serie di scelte di vita uguali e contrarie: ad esempio, quella iniziare a parlare prestissimo («Per compensare il mutismo di Teresa, Elena pronunciò le prime parole che non aveva neanche un anno», p. 39); di cantare «quello che le passava per la testa, comprese le ricette mediche» (p. 119) durante i nove mesi della sua prima gravidanza; o, ancora, di raccontare di tutto alla nipotina appena nata, proprio per continuare a riempire quel vuoto che la perseguita da sempre: 

Nessuno di noi deve più provare l’angoscia del silenzio. (p. 115). 

La scrittura di Torregrossa, composta di frasi per lo più brevi, impreziosita dalla presenza di metafore potenti e richiami letterari, arricchita dall’incisività delle battute in dialetto di Teresa, è attraversata da un’ironia pungente, basata in gran parte su quella stessa brevità: come se l’autrice, pagina dopo pagina, avesse voluto mettere in pratica la riflessione sul potere della parole, dosandone con sapienza l’utilizzo.

Elide Stagnetti