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Contro i fatti, per l’anima: “Il futuro della verità” di Werner Herzog

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il futuro della verità


Il futuro della verità
di Werner Herzog
Feltrinelli, agosto 2025

Traduzione di Nicoletta Giacon

pp. 112
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)

Il 25 agosto scorso, dietro al fumo di una bistecca fumante, Werner Herzog (@wernerherzogofficial) apriva il suo account Instagram: “Penso che dovrei condividere con voi cose di lavoro e anche altre cose”. Per il momento, sono ancora poche le cose che spartisce con il pubblico dello scrolling, tra cui una clip del suo nuovo film Ghost Elephants e la passerella con il Leone d’Oro alla carriera sul tappeto rosso dell’82esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, ma bastano a ricordarci, almeno a chi apprezza da sempre il regista tedesco, quanto mancava una personalità così bizzarra e brillante nel panorama dei social.

Il “soldato del cinema”, come Herzog stesso si ama definire, e cercatore di verità e mistero, lo scorso 26 agosto è uscito nelle librerie italiane con Il futuro della verità, edito da Feltrinelli. Conoscendo a fondo l’arte e la maestria del regista, viene spontaneo chiedersi se il titolo del suo libro-manifesto non sia una provocazione. La bellezza, intesa nel senso più autentico e profondo del termine, del metodo herzoghiano sta nel mettere in allerta fin da subito il suo pubblico, stimolando il pensiero e la riflessione, ma soprattutto la curiosità di chi incontra artisticamente e intellettualmente il maestro. Egli riesce a porre immediatamente lo spettatore e/o il lettore a un livello quasi mistico di aspettativa. Un altro esempio, e siamo solo all'esergo, è la leggenda persiana – quella di Dio che, dopo essersi specchiato e aver visto la verità, lascia cadere lo specchio che si frantuma in mille pezzi, e gli uomini comuni si affannano per raccogliere i frammenti e scoprire la verità, ma ciò che vedono è solo il riflesso di sé – che da una ricerca incrociata e veloce sul web sembrerebbe non esistere. Che sia un'invenzione dello stesso autore? A questo punto, l'interrogativo si fa più profondo: Herzog ci dirà davvero la verità?

Tuttavia il nostro dubbio si dissolve nella sua stessa arte, poiché Herzog, per sua stessa ammissione, ha sempre operato al confine tra il vero e il verosimile, tra la realtà e la verità. La sua verità estatica, come lui stesso la definisce, non è un dato di fatto immutabile, ma un processo, «un viaggio incerto». È un «costante tentativo di avvicinarsi a essa», un percorso «fatto di fatica e di inutilità», ma che dà senso e dignità all'esistenza umana, distinguendola da quella «delle mucche al pascolo» (le citazioni sono tratte da p. 13). Per Herzog, i fatti sono inerti, privi di vita. Non illuminano, non generano comprensione. La vera, profonda verità non si rivela in un'istantanea, ma emerge da un processo alchemico, come un'immagine che si sviluppa in camera oscura da uno strato fotosensibile, rivelando qualcosa che ha a che fare con la realtà, ma che non è la realtà stessa.

Questa distinzione è il cuore della concezione herzoghiana. «La verità del visionario è una costruzione di mezze verità» (p. 19). Secondo il maestro, è l'essenza stessa dell'arte che crea un'illusione per raccontare un'emozione più profonda. Herzog lo dimostra con esempi folgoranti, come quello dell'opera lirica, dove storie inverosimili diventano credibili grazie alla forza della musica. In questo senso, l'arte non è una menzogna, ma un'elevazione, dal momento che «in tutte le menzogne i sentimenti sono sempre veri» (p. 44)

Esiste nella natura umana una propensione ad accettare le bugie? La consapevolezza della morte e della paura dell’ignoto ha portato l’uomo ad andare alla ricerca di una consolazione. Ci consoliamo con la prospettiva di una vita eterna in paradiso. La disponibilità a ingannare noi stessi è una parte necessaria della nostra esistenza. (p. 70)

Del resto, si tratta della stessa propensione che ci fa credere negli alieni o nello Yeti.
Werner Herzog si oppone all'idea che i fatti debbano corrispondere per forza alla verità. La sua è una ribellione contro il mero reportage, contro la cronaca asettica. «[...] Solo attraverso la stilizzazione, l'invenzione, la poesia e l'immaginazione si può esplorare una verità più profonda» (p. 77), scrive. La sua concezione è in linea con quella di André Gide, che sosteneva di «modificare i fatti in modo tale che assomiglino più alla verità che alla realtà» (p. 78), e con quella di William Shakespeare che in versi scriveva «la poesia più sincera è la più fasulla» (p. 78). È la logica che sta dietro a capolavori come L'enigma di Kaspar Hauser, dove la realtà dei fatti cede il passo alla rappresentazione della verità dell'anima, o a La Pietà di Michelangelo, con una Madonna quindicenne e un figlio trentatreenne, che non rispecchia la realtà storica, ma una verità emotiva e spirituale infinitamente più potente.

Intendiamoci, care lettrici e cari lettori, Il futuro della verità non è il miglior libro di Herzog, ma proprio la sua imperfezione costellata di note sparse, di aneddoti, di esperienze personali e di riflessioni, che non hanno nulla a che fare con un'analisi approfondita o con un “reale” trattato filosofico sulla verità, ci permette di immaginare una chiacchiera ordinaria davanti a quella bistecca fumante o, per chi preferisce, un buon caffè amaro con quel genio che è Werner Herzog. Egli non vuole guidare lettori e lettrici verso un'unica idea, ma desidera condividere menzogne e verità affinché possano farsi un’idea tutta loro. E lo fa con la sua solita, sfrontata genialità, usando ogni strumento a sua disposizione – dalle foto di Robert Falcon Scott alle visioni spaziali di Elon Musk, dai motori scacchistici all'intelligenza artificiale, fino alle fake news e ai deepfake – per smontare ogni nostra certezza.

Forse la vera sfida che ci attende nel futuro non è trovare la verità, ma imparare a distinguere, in un mondo sempre più saturato di simulazioni e menzogne, quali bugie sono capaci di rivelare qualcosa di autenticamente umano. Il cinema, l'arte di Herzog, ha un obiettivo preciso: «Nel cinema, una questione centrale è come accompagnare, interiormente, il pubblico fuori dalla sala al termine del film» (p. 82), con un'emozione che smuova, che elevi, che crei uno spettacolo dentro di sé. Perché, in fondo, l'arte non cerca la realtà dei fatti, ma la verità intima, quella che ci rende esseri umani capaci di sognare, di inventare e di creare la nostra stessa verità.

Olga Brandonisio