di Dmitrij Danilov
Voland Editore, luglio 2025
Traduzione di Valentina Colafati
pp. 192
€ 18,00 (cartaceo)
€ 8,49 (e-book)
«Le hanno detto che potrebbe vivere fino alla vecchiaia e morire di cause naturali. Oppure che potrebbe morire un po' prima, ma non di morte naturale. Lo stesso vale per tutti gli altri».
[…] «Peccato che gli altri non devono attraversare ogni giorno la Zona rossa». (p. 72)
Con queste parole si coglie la sostanza di Ciao, Saša! di Dmitrij Danilov: un libro che trasforma la condanna di un singolo in una riflessione sulla precarietà di tutti. La vicenda è quella di Serëža, professore universitario condannato a morte, rinchiuso in una stanza che non ha nulla della cella tradizionale: è un vero e proprio hotel a tre stelle, con letto e bagno privato. In questo spazio neutro e impersonale, ogni giorno deve attraversare la Zona rossa, un corridoio al termine del quale pende dal soffitto una mitragliatrice automatica, Saša, pronta a sparare quando e se deciderà. La sua vita si riduce a una serie di azioni ripetute: ricevere i pasti, passeggiare, dialogare con i vari secondini, insegnare ai suoi studenti attraverso Zoom.
Il romanzo è suddiviso in ottantadue scene, a sottolinearne la natura teatrale. L’autore introduce spesso la scena come un regista o uno sceneggiatore, e la struttura richiama da vicino un copione. La scrittura insiste sull’endotico, sull’elenco minuzioso delle azioni quotidiane, in linea con la lezione di Georges Perec. Un esempio evidente è la scena in cui il narratore segue passo dopo passo Boris Michajlovič:
«Boris Michajlovič scende dall'autobus e percorre il vialetto tra i palazzi che conduce a casa sua. Boris Michajlovič prende l'ascensore fino al nono piano. Boris Michajlovič esce dall'ascensore, tira fuori le chiavi dalla tasca, apre la porta ed entra nell'appartamento». (p. 160)
La dimensione teatrale è accentuata dalla grande quantità di dialoghi, serrati e spesso surreali, che danno forma a un’ironia grottesca: anche quando la vicenda tocca il punto più cupo e disperato, la scrittura riesce a strappare un riso amaro, nato dall’assurdità delle situazioni. La condizione del protagonista, a metà tra vita e morte, consente a Danilov di toccare temi diversi: dalla religione, rappresentata da figure spirituali che visitano Serëža senza riuscire a confortarlo, fino al rapporto con la moglie, che confessa di non sapere più come amarlo perché la condanna lo ha già trasformato in un ricordo, un essere assente.
Particolarmente rilevante è l’uso delle lezioni universitarie: attraverso queste, l’autore ripercorre la letteratura russa degli anni Venti e Trenta, la formazione dell’Unione degli scrittori sovietici, e affronta questioni attuali legate all’organizzazione e agli standard della scrittura. In una scena spicca anche la riflessione sull’editoria odierna, sull’autopubblicazione e sui premi letterari. La moglie di Serëža, nei confronti di un giovane autore che tenta di abbordarla in spiaggia, si esprime con parole taglienti:
«Sarà uno scrittore famoso. Ha tutto quel che serve: una gaudente e sonora mediocrità, un intelletto vergine e privo di qualsivoglia contenuto, zero senso dell'umorismo. Lo scrittore ideale della nostra epoca. Le do un consiglio: si sforzi di scrivere un romanzo. Minimo una decina di pagine. E la attenderà un successo strepitoso. Vincerà tutti i premi e la vita le sorriderà». (p. 149)
Il romanzo tocca anche l’argomento dei social e dell’esposizione pubblica: la vicenda di Serëža divide l’opinione delle persone, che commentano, giudicano, esprimono pareri opposti sulla sua colpevolezza. Significativa è la scena in cui, durante una lezione universitaria, uno studente chiede alla professoressa – moglie di Serëža – come stia e cosa provi. Non lo fa per delicatezza, ma per curiosità, con una mancanza di tatto che rivela l’indifferenza della società verso il dolore privato, trasformato in spettacolo.
I riferimenti letterari sono evidenti: Il processo di Kafka e L’ultimo giorno di un condannato di Victor Hugo. Anche qui la condanna è senza appello, la giustizia è astratta, e il destino individuale diventa occasione per riflettere sulla condizione universale.
La scena 82, l’ultima, concentra l’essenza del romanzo: tutto ciò che lo precede trova lì il suo compimento, in un esito coerente con la poetica di Danilov, che non cerca la catarsi ma restituisce il senso dell’attesa e dell’assurdo. Un libro che si legge come uno spettacolo, fino all’ultima scena.
Leonardo D'Isanto
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