di Gaston Bachelard
Edizioni Dedalo, 2025
Nel 1960 Gaston Bachelard pubblicò questo denso saggio, che rappresenta l'esprit de finesse della sua riflessione, per altri versi nota sul fronte dell'epistemologia e del ripensamento dello spirito scientifico all'indomani dei nuovi paradigmi della fisica. Analogamente impegnato a descrivere fenomenologicamente la facoltà della ragione e quella dell'immaginazione, Bachelard è un filosofo che le Edizioni Dedalo hanno il merito di riportare in libreria, perché questo è un saggio imprescindibile non solo per chi si occupa di filosofia, ma per chi vuole approcciarsi con profondità e freschezza al cuore della creazione artistica.
Che cos'è la rêverie? La radice della parola è quella di rêve, sogno. Tuttavia, mentre il sogno lo si fa in modo incosciente nel sonno, la rêverie è un fenomeno della veglia, nella quale sperimentiamo la stessa libertà e la stessa potenza creatrice dell'immaginazione tipica del mondo onirico.
L'opera è suddivisa in cinque capitoli, Il sognatore di parole, Animus e anima (in cui intesse un proficuo dialogo con i concetti junghiani), La rêverie sull'infanzia, Il «cogito» del sognatore, Rêverie e cosmo. Il tema centrale è considerare l'immagine poetica come l'origine di un mondo, perché «la poesia è uno dei destini della parola» (p. 9). Quindi non vi è spazio per pensare alla ragione poetica come una ragione di minore affidabilità o importanza rispetto alla ragione matematica, né tantomeno per relegare il fenomeno estetico a mero diletto.
L’immagine poetica appare come un nuovo modo di essere del linguaggio e non è per nulla paragonabile, secondo una metafora alla moda, a una valvola che si apre per liberare istinti repressi. L’immagine poetica illumina la coscienza con una luce talmente potente da rendere vana la ricerca degli antecedenti inconsci. (p. 9)
Questa insistenza sul ruolo "cosmico" (nel senso di creazione di un universo simbolico) della poesia è l'aspetto più dirompente e interessante di questo saggio, che, nonostante gli anni, rimane di grande attualità. Proprio l'insistenza di Bachelard sulla creazione artistica non come valvola di sfogo, ma come epifania di un mondo nuovo attraverso il linguaggio, dona alle parole una dignità che oggi più che mai è necessario ritrovare.
Io sono infatti un sognatore di parole, un sognatore di parole scritte. Quando leggo, mi soffermo su di una parola e alzo gli occhi dalla pagina. Le sillabe cominciano ad agitarsi. Gli accenti si invertono. La parola perde il suo significato, si libera di un carico troppo pesante che le impedisce di sognare. Le parole assumono allora altri significati, come se avessero acquisito il diritto di essere giovani. E vanno cercando, nelle pieghe del vocabolario, nuove compagnie, cattive compagnie. (p. 24)
Le parole sognano, scrive Bachelard, spesso quelle degli scienziati e degli psicologi hanno smesso di farlo. La perdita del sogno legata anche al processo di crescita e all'età adulta. Non manca quindi un capitolo dedicato all'infanzia e alla rêverie nei suoi rapporti con i ricordi. Resta per me un mistero come un autore francese abbia potuto attraversare questa tematica senza fare cenno a Proust, ma, al di là di questa mancanza, l'immaginazione come recupero della felicità fanciullesca, il ricordo come non mera riproposizione, ma riscoperte creativa di immagini passate è una tematica che illumina e affascina.
La portata filosofica più importante, a mio avviso, è il ridimensionamento del soggetto, attraverso l'immersione in quella che Bachelard chiama con un'espressione felice il cogito perduto. Egli riprende la contrapposizione junghiana fra animus e anima e la declina anche come contrapposizione fra esprit de geometrie ed esprit de finesse:
È all’animus che appartengono i progetti e le preoccupazioni, due maniere per non essere presenti a se stessi. All’anima appartiene la rêverie che vive il presente delle immagini felici. (p. 70)
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