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«Quando la morte è ovunque l’ingiustizia diventa generalizzata». Giovani coraggiosi in lotta per la libertà dal regime nel primo romanzo dello scrittore siriano Omar Youssef Souleimane

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L’ultimo siriano
di Omar Youssef Souleimane
e/o edizioni, 1° settembre 2021

Traduzione di Alberto Bracci Testasecca

pp. 156
€ 15,19 (cartaceo)
€ 11,99  (eBook)

Sarah sostiene che la nostra sia una generazione-ponte: le generazioni future lo attraverseranno per arrivare alla democrazia. È un’idea che tu condividi, lo so, mentre io mi limito a guardare quello che succede: la migliore gioventù della Siria è morta senza che ciò abbia prodotto un risultato.

Il primo romanzo del giornalista e scrittore Omar Youssef Souleimane, L’ultimo siriano, è stato scritto nel 2020 ed è apparso in Italia per i tipi di e/o l’anno successivo, a guerra civile siriana inoltrata. Leggere oggi l’esordio narrativo di Souleimane, autore siriano sfuggito alle persecuzioni del suo Paese e accolto in Francia, ha un duplice significato: indubbiamente la piacevolezza della scrittura e la forza narrativa dell’autore sono già una buona motivazione, ma il romanzo serve anche per far luce e per far riflettere sulla realtà siriana degli ultimi anni, sul suo sogno di pace e di libertà, costato il sangue di innumerevoli vittime mentre l’Occidente stava a guardare.

L’ultimo siriano, attraverso la storia di giovani ribelli al regime di Assad, ci apre alla complessità multiculturale e multireligiosa di quel fazzoletto di terra nel Medioriente che è la Siria. Sembra che sia proprio uno Stato all’insegna della divisione: i musulmani sunniti rappresentano la maggioranza, ma ci sono anche quelli sciiti, i drusi, per non parlare dei cristiani, che rappresentano un gruppo ancora più stratificato, greco-ortodossi, armeni, maroniti, armeno-cattolici e altre minoranze (!).

Il romanzo racconta le vicende di un gruppo di giovani dissidenti e ribelli al regime di Assad, che chiamano Qalb, che si inserisce nel più ampio movimento di liberazione, la Primavera araba, riuniti attorno alla figura di una giovane donna, intraprendente e coraggiosa che si fa chiamare Joséphine

Non solo per la sua ammirazione verso Joséphine Baker, ma anche perché significa “colei che riunisce”. Nessuno sa come si chiami davvero. Quando glielo chiedono risponde ridendo: «Non me lo ricordo più». La sua vita è un cuore che palpita tramite le sue reti di conoscenze. Fin dal primo anno di università si è fatta amici dappertutto, ad Aleppo, Homs, Damasco, sulla costa. Si sposta continuamente da un luogo all’altro per andare a trovarli. Ogni volta che rivede qualcuno ha l’impressione di riscoprire se stessa. È felice quando riesce a risolvere i loro problemi. Ultimamente cerca di trovare una soluzione ai problemi del paese.

Joséphine  sin dal primo momento ha una simpatia speciale per un giovane, uno dei primi a unirsi al loro movimento di liberazione, Khalil: man mano che si dipana la storia, il lettore conoscerà meglio il loro legame. Si uniscono alle loro vicende, quelle di altri ragazzi ribelli, come Youssef, proveniente da Homs, bello e misterioso, sul conto del quale i compagni del gruppo non hanno notizie, ma si affidano alla sua segretezza e ai suoi ideali libertari. Il lettore però ha accesso ai segreti di Youssef, in quanto la voce narrante, terza persona esterna alla storia, ci racconta ogni cosa e rivela la sua storia d’amore, appassionata e coinvolgente, con Mohammad. Si tratta di un amore proibito dall’Islam, nessuno sa di loro, anche se Joséphine qualche volta rimane stupita dalla freddezza che Youssef, a cui è legata da amicizia profonda da anni, manifesta di fronte a battute o gesti più maliziosi da parte delle ragazze. I due innamorati si incontrano furtivamente nel negozio di Mohammad, a Damasco: Youssef è più spontaneo, più passionale e istintivo, mentre l’amato è più misurato, controllato, si guarda ossessivamente intorno, quando è con lui, timoroso di essere scoperto in atteggiamenti compromettenti con un uomo. Tra l’altro, particolare non da poco, il giovane ha anche una fidanzata, Sara, che è anche la sua promessa sposa. Nei paesi islamici, e la maggioranza dei siriani lo è, l’omosessualità è un reato punito con la prigione. Eppure sia Youssef sia Mohammad si interrogano sul perché di tale tabù, in fondo l’omosessualità è sempre esistita. In particolare 

All’università Mohammad si era appassionato alle storie sull’omosessualità dell’epoca abbaside, l’VIII secolo. Gli piaceva il modo in cui quella lingua molto poetica descriveva i corpi degli uomini e i loro giochi di seduzione. Via via che leggeva immaginava se stesso andare in giro per le fattorie intorno a Damasco, incontrare un ragazzo e fare l’amore con lui in mezzo alla natura. Aveva l’impressione di essere circondato da gente semplice, felice, ricca, talvolta più libera di quanto non lo sia nell’epoca in cui sta vivendo. Una storia in particolare gli era piaciuta, quella del califfo abbaside Al-Wathiq e del suo amante Mouhaj, nel IX secolo.

Un altro militante del gruppo Qalb è Bilal, un giovane che aveva chiuso il negozio in cui riparava biciclette per seguire l’ondata di sollevazione popolare contro la dittatura e l’oppressione « Bilal sapeva solo che le manifestazioni erano il cuore della sua esistenza. Da allora passava il tempo a ragionare sul modo in cui il regime doveva concludersi».  Ho trovato molto interessanti le battute concitate che scambia con Khalil all’indomani di una manifestazione di protesta terminata nel sangue, per l’ennesima volta: dice Khalil 

«Togli “nel nome di Dio” e la parola “arabo”». 

«Ma da queste parti la maggior parte della gente è araba, siriana e musulmana».

 «Forse, ma fra noi ci sono anche curdi e cristiani, dobbiamo tenerne conto».

 «Il Qatar e l’Arabia Saudita non ci sosterranno se il nostro discorso non ha un carattere islamico». «Pazienza! Ovunque ci sosterranno i siriani, credi a me. Non abbiamo bisogno di essere aiutati da paesi stranieri. Dobbiamo rimanere indipendenti, l’indipendenza è il pilastro della libertà».

Libertà. La libertà che molti popoli bramano e per cui hanno sacrificato le loro migliori menti, i più forti e coraggiosi uomini, ma anche donne intraprendenti come Joséphine. Nelle carceri siriane sono stati torturati uomini e donne, anziani sospettati di cospirare contro il regime,  ragazzi e ragazze, il futuro della Siria. E il lettore dovrà entrarci in quelle luride prigioni, qualcuno dei nostri amati ragazzi verrà torturato e umiliato nelle più svariate forme della bestialità di cui talvolta è incapace l’uomo. L’ultimo siriano è un romanzo davvero appassionante, è un piacevole arazzo di gioventù siriana, di sogni, di ideali per cui dare la vita, di rabbia contro le ingiustizie e contro le finzioni di cui la loro società vive.

Avendo già letto dello stesso autore Il piccolo terrorista pubblicato nel settembre 2024 e ora l’esordio, posso confermare che Souleimane ha sempre una penna intima, elegante, anche cruda quando la storia lo richiede, sincera e autentica. È uno scrittore coraggioso, pur provenendo da una famiglia di musulmani molto devota e da una formazione salafita (un “Islam” molto più chiuso) impartitagli in Arabia Saudita, dove ha vissuto per buona parte dell’infanzia e dell’adolescenza.

Dal suo esordio narrativo viene fuori la realtà siriana così come essa è, ancora oggi, nonostante il loro oppressore abbia perso e abbia trovato asilo a casa dell’alleato russo. La Siria è un coacervo di popoli, religioni ed etnie come del resto diverse realtà mediorientali e ogni discorso semplicistico che non tenga conto di questa radicata complessità è davvero inutile. Io credo che siano autentiche e sagge le parole di Bilal: per essere liberi i siriani non devono chiedere aiuto a nessuno Stato e a nessuna organizzazione, ma trovare nella loro storia, nelle loro risorse economiche e umane, finanche nella loro complessità, quell’unione che possa portare al superamento di ogni divisione politica e religiosa che possa indebolirli ancora. È l’unico motivo che, forse, giustificherebbe l’immane spargimento di sangue che dal 2011 ha sporcato quelle terre.

Marianna Inserra