«Adesso però [...] devi permettermi di farti da madre. Sei stata la mia per troppo tempo. Ora tocca a me». (p. 269)
Torna in libreria Roddy Doyle, e lo fa con una protagonista che i suoi lettori non stenteranno a riconoscere: Paula Spencer, già al centro di La donna che sbatteva nelle porte (Guanda, 1997, un anno dopo l'uscita in lingua originale) e Paula Spencer (sempre per Guanda, 2006).
Ora Paula ha sessantasei anni, i suoi quattro figli sono cresciuti e usciti di casa dopo varie preoccupazioni che sono state trattate negli scorsi libri (ma che non compromettono per nulla la lettura autonoma di ogni romanzo della saga). Ormai Paula non è più dipendente dall'alcol, è vedova di Charlo, da cui d'altra parte non si era mai davvero divisa neanche dopo averlo sbattuto fuori di casa, coltiva liberamente le sue amicizie e ha da diciassette anni una relazione con Joe. Lavora in una lavanderia con la sua amica più cara, Mary, e non sembra insomma patire particolarmente della sua solitudine. O meglio, le giornate di Paula sono sempre piene; semplicemente, vive da sola, e lo fa per una scelta deliberata.
Ecco perché, quando sua figlia maggiore Nicola le bussa alla porta e le chiede di potersi trasferire lì, Paula non può negarglielo, ma gli spazi in casa si fanno particolarmente stretti. Sì, perché, al di là delle convenzioni che vorrebbero una madre nostalgica dei tempi andati, Paula non soffre affatto della sindrome del nido vuoto. Anzi! L'arrivo di Nicola e le sue parole brusche e lapidarie («Io le uccido», p. 68, rivolta alle tre figlie) rompono la routine e l'immagine di perfezione che Nicola ha sempre portato con sé:
Sta guardando sua figlia. Forse per la prima volta. Ora tocca a Paula.
È la sua occasione.
Oddio, però – non finisce mai? (p. 69)
A non finire è il senso di colpa che affligge Paula, per troppi anni ubriaca sul divano, assente per i suoi figli e per sé stessa, vittima dell'inganno dell'alcol per sopportare un matrimonio deleterio per tutti, tanto per lei e Charlo quanto per i figli. Nicola si è sempre fatta carico di lei e dei fratelli, ma ora tocca a Paula esserci, offrire un sostegno reale, dall'offrire semplice ospitalità a sostenere quella figlia che non piange mai. Neanche adesso, sebbene sia palese che qualcosa l'ha sconvolta.
Inizia così una convivenza forzata, talvolta piena di complicità, talaltra con alcune frizioni, ambientata ai tempi del primo vaccino contro il Covid-19. Ed è proprio la scusa di essere entrambe positive a tenere Tony, marito di Nicola, lontano dalla casa della suocera e lontano dalla moglie.
Sono giorni in cui madre e figlia si parlano come non hanno mai fatto. E questo in effetti è un romanzo che vive soprattutto di dialoghi serrati, asciutti e perlopiù privi di didascalie o descrizioni. La verità sta nelle parole non dette, in quelle nascoste sotto divagazioni e battute ironiche. Ed è una verità bruciante, come possiamo immaginare fin dalle prime pagine. Una verità che chiede di scavare nel passato perché la reazione del presente di Nicola possa spiegarsi veramente.
Chi è davvero una madre? E chi è davvero una figlia? Fino a che punto si può recuperare un rapporto in cui i ruoli sono stati scambiati per tanto tempo? Le aspettative di Nicola saranno colmate da una Paula che si sente una madre assente per troppi anni? Ricostruire e ricostruirsi è un tema che Roddy Doyle propone in molte sue opere, e non è mai detto che da ricostruire sé stessi si passi a ricostruire i rapporti, ma la prima è senz'altro una premessa necessaria.
Senza scontatezze, il romanzo oscilla così tra importanti confronti tra le mura domestiche ed episodi fuori di casa che stemperano l'atmosfera, come a dire: il dramma sta dentro, dentro casa, dentro di noi; fuori c'è una vita più attiva, da commedia, che si può cogliere con maggiore leggerezza, tra incontri e ricerca di spensieratezza. La Paula che troviamo a casa sua è solo in parte la Paula ironica e sfrontata che vediamo all'aperto con le sue amiche o con Joe.
Il confronto tra quelle due parti di Paula e l'immagine della madre che ne ha sempre avuto Nicola sono tante sfaccettature di una stessa protagonista non ancora risolta come sarebbe sembrato nelle prime pagine. Perché il passato che ci plasma non se ne va mai del tutto, resta perlomeno come un esempio di ciò che non si vuole tornare a essere.
Con ritmo da commedia, Roddy Doyle mescola invece una buona dose di dramma in questo romanzo che non si fa mai realmente disimpegnato: i rapporti familiari, la possibilità di una nuova vita di Paula, ma anche le responsabilità e i sensi di colpa rendono Le donne dietro la porta un'indagine accurata della genitorialità imperfetta, ma anche un romanzo sulle seconde occasioni, quelle che non si possono perdere anche e soprattutto se fuori imperversa una pandemia.
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