L'inizio del romanzo Il buio non è per sempre di Claire Gleeson contiene già tutto quello che serve per capire quali sono le tematiche principali della storia, il che è sorprendente per due ordini di motivi: in sole due pagine, chi legge è condotto bruscamente verso un'atmosfera tutt'altro che lieve, e poi perché quello di Gleeson è un esordio.
Raramente capita, infatti, che un'autrice alle prime armi scriva un incipit per nulla lento e, anzi, così dinamico che il bisogno del lettore è quello di girare una pagina dietro l'altra. Inoltre, l'inizio del romanzo è importante perché è in medias res, dunque ci permette di entrare già dentro la vicenda, di assaggiarne il succo e di percepirne la potenza sin dalle prime righe. Si viene subito a sapere che Rachel è la protagonista, ha due figli piccoli, dei quali non verranno mai detti i nomi - scelta, questa, un po' triste da parte dell'autrice - e un marito, Tom, che deciderà delle sorti del suo nucleo familiare con un unico gesto, semplice e folle insieme: in un colpo, la donna perde i due figli. Questo approccio, però, sebbene abbia un impatto non da poco su chi legge, nasconde un'insidia. Il pericolo è che tra le pagine non vi sia più nulla di tanto travolgente da rivelare, che tutto il fuoco della narrazione sia stato consumato subito. In alcuni punti del romanzo di Gleeson il rischio sembra piuttosto concreto: cos'altro si può aggiungere a un inizio tanto intenso?
L'autrice introduce, quindi, un'altra tecnica di scrittura, quella del salto temporale. Dal momento cruciale dell'incipit, la vita di Rachel viene seguita da due prospettive diverse, prima e dopo il fatidico giorno di febbraio descritto nelle prime pagine. La donna ha attraversato un vero spartiacque, e visualizzerà per sempre la sua esistenza come spaccata in due. C'è la Rachel del prima e quella del dopo, la famiglia del prima e quella del dopo, e anche le emozioni, i gesti quotidiani e le abitudini subiscono un netto cambiamento in virtù della nuova vita che le è stata imposta. Nonostante il punto di vista del narratore rimanga univoco per tutto il romanzo - è il classico interno e onnisciente -, l'alternanza di prima e dopo dona un ritmo più dinamico alla storia di Rachel. La si può osservare, infatti, tramite una lente di ingenua fiducia, in cui immagina un futuro per sé e la sua famiglia, e poi vederla cambiare sotto i colpi impietosi degli eventi.
Poiché il narratore segue e conosce i pensieri della protagonista, li riproduce fedelmente, tenendo conto anche delle notevoli variazioni d'umore della donna, delle varie fasi della sua vita e dei ricordi da cui è tormentata o deliziata. Talvolta, perciò, il tono è molto indulgente con le sue sofferenze e ferite, altre volte è, invece, severo e disadorno. Lo si nota soprattutto quando Rachel è affetta dai sensi di colpa, sia di aver sposato un uomo di cui non ha saputo interpretare fino in fondo l'infermità mentale, sia di avere ricevuto l'opportunità di vivere dopo una profondissima e violenta perdita.
«Questa non è la vita che avrei dovuto fare». (p. 224)
È Rachel stessa a imporsi dei doveri e introdurre una tematica aggiuntiva a quella della colpa, cioè la pena. La protagonista tenta di controllare le proprie reazioni, di sabotare ogni possibile svolta positiva, di riempire le crepe, da cui potrebbe filtrare un debole raggio di luce, con dei pesanti obblighi morali. Si punisce per essere rimasta in vita e per dover continuare a farlo nonostante tutto. La punizione autoinflitta si intreccia con un altro tema importante del romanzo di Gleeson, cioè la depressione. La narrazione è un lento processo di demolizione e ricostruzione degli schemi di vita di Rachel, ma anche un serio approccio alle fasi di cura psichiatrica nei casi di fragilità mentale. Nell'introdurre il tema, l'autrice si serve di un buon connubio di delicatezza e giusta documentazione, pertanto si ha l'impressione che non abbia solo svolto i compiti, ma che abbia incamerato anche un proprio giudizio emotivo.
Per una prima prova di scrittura romanzesca, Il buio non è per sempre è un buon esordio, sebbene molto ambizioso: sembra che la portata delle emozioni dei personaggi – non solo Rachel, ma anche i suoi familiari e le conoscenze della sua nuova vita – sia difficile da gestire per l'autrice, che passa da un eccesso a un altro, da una sdolcinatezza tediosa a una vaghezza insoddisfacente. Tuttavia, è ammirevole l'intento di descrivere una donna che ha perso le sue ragioni di vita, ma continua imperterrita a cercarne di nuove.
Camilla Elleboro
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