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Lutto, femminicidio e trauma intergenerazionale: “Fai un bel respiro e ascolta” di Donata Maria Biase può dirsi un’opera riuscita?

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Fai un bel respiro e ascolta
di Donata Maria Biase
Baldini + Castoldi, giugno 2025

pp. 256
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

 
Tutto è terribilmente troppo quando la morte sopraggiunge e si porta via le persone nostre senza avere la clemenza di prepararci al distacco. (p. 104)

Con il suo ultimo romanzo Donata Maria Biase mette molta carne al fuoco: femminicidio, trauma intergenerazionale, lutti imprevisti e dolori rimossi consumano le concitate pagine di Fai un bel respiro e ascolta. Dopo la buona riuscita di Giallo Narciso (Cairo Editore, 2021), portato in teatro e adottato in contesti educativi come opera di riferimento sulla violenza di genere, la scrittrice e notaia lucana prosegue nella sua ricerca di una forma narrativa impegnata, che intrecci finzione e attualità. 

Al centro della vicenda troviamo Emma Valente, l’io narrante. Emma vive con sua nonna Ada ed è perennemente alle prese con un’inquietudine palpabile: incapace di definirla, comunque le appartiene, facendole visita nei sogni e tormentandola nell’umore. Quando ad Ada, ormai anziana, viene diagnosticato un tumore, l’urgenza della rivelazione sconvolge l’esistenza di Emma: i suoi genitori non erano morti in un incidente stradale ma perché «proprio il coltello che lui usava con maestria per affettare la carne che consumavamo a tavola, gli era servito per squarciare il corpo di mamma» (p. 57). Ridestata da una verità archiviata nel sottosuolo del suo inconscio, la giovane donna reagisce con inattesa apertura alla vita. Sostenuta da un connaturato talento pittorico, diventa un’artista affermata e incontra, quasi per mano del destino, Matteo, dalla cui unione nascerà Luca.

È proprio il dialogo con Luca, ormai adolescente, ad aprire il romanzo. Stanco di vivere con la certezza di non sapere, chiede alla madre il conto del suo passato: chi sono i suoi nonni, chi è il padre che non ha mai conosciuto? La risposta di Emma è una promessa: il giorno del suo venticinquesimo compleanno avrebbe conosciuto la verità. Prima di allora sarebbero trascorsi nove anni. Tra colpi di scena e rivelazioni inattese, il venticinquenne Luca verrà informato sulle sue radici: la menzogna si sarà rivelata la scelta più saggia o avrà finito per causare più danni di quanti avrebbe voluto evitarne? 

I temi affrontati da Biase sono molteplici e delicati. Primo fra tutti, il femminicidio, osservato questa volta da una prospettiva meno frequentata: gli effetti del trauma sulle generazioni successive, prima che questa staffetta di sofferenza non venga interrotta e il dolore opportunamente trasformato con nuove consapevolezze. Vale però la pena di chiedersi se il romanzo di Biase riesca a incarnare la gravità dei temi che si trascina dietro – elaborazione di lutti, depressione, uso di psicofarmaci, isolamento e problemi relazionali – ovvero se si limiti ad evocare, accennare tale complessità, senza attraversarla fino in fondo.  

Parrebbe forse il secondo caso: gli eventi sono elencati come in una cronaca; i passaggi temporali bruschi come salti di cavallette; i momenti di crisi poco sviluppati e in fretta superati. Emma è capace di passare da una depressione post-traumatica a una ritrovata gioia di vivere in poco più di una pagina: è legittimo domandarsi se ciò non rifletta una eccessiva semplificazione. I personaggi sono nel complesso deboli, poco autonomi: faticano a imporsi con una personalità riconoscibile, a esprimersi con una voce che non sia quella dell’autrice. 

Con tutti questi femminicidi, immagino siano tanti i bambini che hanno vissuto la tua stessa orribile esperienza. Possiamo fare qualcosa, mamma. Costituiamo un'associazione. Si parla tanto delle donne uccise, della violenza degli uomini, delle ragioni di un fenomeno sempre più preoccupante. Ma non mi sembra si riservi la stessa attenzione ai poveri figli superstiti. (p. 189)

Il rapidissimo excursus sulla storia d’amore tra Emma e Matteo, che si parlano per la prima volta nella «sala Cupido» (p. 155), è narrato con toni ingenui e stilemi da romanzo rosa.  

Quella sera, quando ti ho vista, ti ho riconosciuta. Non era importante sapere chi fossi, come ti chiamassi. Sono bastati pochi minuti per capire che eravamo fatti l'uno per l'altra. E non parlo di chimica, ma di un'attrazione che va ben oltre quella fisica. Non c'è sempre una spiegazione a tutto. È successo e basta. I nostri occhi hanno parlato per noi. Col tuo sguardo, e con quello che sei stata capace di trasmettermi solo con la tua breve presenza, ti sei impadronita del mio cuore. E so che sarà per sempre tuo. (pp. 156-157)

Il romanzo è un potenziale in bozza che però non diviene. Un merito va tuttavia riconosciuto alla chiarezza espositiva di Biase, che agevola il lettore con capitoli brevi e lucida linearità. La scrittura, forse influenzata dal suo retaggio giuridico, è composta e rigorosa, salvo risultare a tratti rigida e tecnica, soprattutto nei dialoghi – che peraltro predominano –, dove c’è poca variazione nel registro stilistico. Quando invece i personaggi si lasciano andare a espressioni più dirette e “scomposte”, il testo ne guadagna in spontaneità e verosimiglianza.

In conclusione, Fai un bel respiro e ascolta è un romanzo in cui si può ravvisare un apprezzabile intento etico. Il risultato narrativo, però, è ben altra cosa: non mi sembra che Biase con il suo ultimo lavoro abbia raggiunto l'effetto sperato. La trama regge, ma non convince fino in fondo, affidandosi talvolta a soluzioni semplicistiche e a cliché. Colpisce, in ogni caso, l’intenzione di rivolgere al futuro uno sguardo ottimista: sul fondo del vaso di Pandora, venuti fuori tutti i mali, Biase lascia che rimanga ben visibile la Speranza. Ed è proprio con la speranza di trovare ciò che in questo romanzo è mancato – resa della complessità, modulazione stilistica, adeguato sviluppo – che attendiamo il suo prossimo lavoro.

 Giulia Tardio