di Teresa Ciabatti
Mondadori, aprile 2025
Checov, in Reparto n. 6, affermava che essere definiti pazzi o criminali è come entrare in un cerchio magico, dal quale non si esce più, seppure si tenti di farlo.
Tanto atteso dalla critica e dai lettori appassionati di Ciabatti, Donnaregina incuriosisce fondamentalmente perché il lettore si chiede: come mai Teresa Ciabatti – che di criminalità e di cronaca dice di sapere poco e niente – ha accettato di raccontare la vita di un boss criminale? Perché ha deciso di incontrarlo e in qualche modo “rendergli omaggio” con un romanzo-intervista?
Giuseppe Misso, detto ’o Nasone, accusato di rapina a mano armata, furto, associazione a delinquere, associazione mafiosa, trentotto omicidi commessi, centootto ordinati, ma per qualcuno molti di più, è noto sia alle pagine di cronaca sia, ma un po’ meno, a quelle culturali (per aver scritto libri, tra cui il romanzo autobiografico I leoni di marmo, uscito per la prima volta nel 2003).
Per il primo appuntamento, Teresa Ciabatti - la scrittrice - sceglie il ristorante in cui di solito festeggia le ricorrenze di famiglia, proprio sotto casa sua a Roma. Giuseppe Misso - il criminale, l’allevatore di colombi - mostra un video in cui li libera e parla di Ufo. Sullo sfondo, due colossi geografici: Roma e Napoli. Così la vita del boss si mescola alla vita di una donna che la racconta, l’eccezionale si mescola all’ordinario, un’esistenza criminale a un’esistenza borghese.
Donnaregina è il romanzo di un incontro tra due vite, quella di una scrittrice borghese e quella di un criminale. Ciabatti indaga vite – come quella di Misso – che giudica più interessanti della sua, per provare a darsi delle risposte. Così, le vicende di Misso si intrecciano a quelle personali della scrittrice-alter ego, ma su un piano di riflessione; c’è poca trama, è piuttosto l’indagine umana a prevalere.
In questo romanzo, l’autrice esplora il concetto di colpa e riscatto, di identità e finzione, senza mai rinunciare a quel tono personale che fa sentire ogni lettore complice. Si affrontano temi diversi, come quello dell’omosessualità e della depressione adolescenziale. Si racconta che durante un processo, Peppe Misso, deriso dai nemici – “Lui ha un figlio gay” -, si sia alzato in piedi e abbia detto: “Sì, signor giudice, mio figlio è gay, che male c’è?”. In questo modo Misso cambia la storia della camorra. Da quel momento figli e familiari gay di boss, i femminielli, che prima sparivano, non spariscono più.
Ciabatti scava a fondo: è un racconto, sì, ma anche un'inchiesta su due vite e sulle loro connessioni, in cui esperienze e ricordi diventano ganci, le amiche omosessuali della scrittrice – il figlio del boss; il dolore per l’amica M. che sta per morire – i morti ammazzati; la preoccupazione per la salute mentale della figlia adolescente – la preoccupazione per il figlio gay. Il tutto tenuto insieme dallo stile netto di Teresa Ciabatti, che appare sempre provvisorio, un appunto di diario, per giungere ad un risultato che mostra un grande equilibrio delle parti. È una prosa che sembra sviare, ma che in realtà solca ed estrae, portando alla luce il non detto, il rimosso, l’impossibile da raccontare.
La narrazione viene privata dell’occhio da inchiesta giornalistica per guadagnare quello dell’inchiesta umana, ed è proprio il fatto che la storia sia raccontata da una scrittrice che mai si è occupata prima di criminalità, il vero punto di forza del romanzo.
Così, Donnaregina non vuole indagare sugli omicidi, rapine e criminalità organizzata, non ha un intento giornalistico né la fascinazione del male, piuttosto un interesse profondo per il lato di umanità, sentimenti e legami. Seppure, di fatto, davanti al male si trovi.
Scrive:
Di giorno parlo con un assassino. Di notte ragiono: cosa si prova davanti ad un essere umano che muore. Il ricasco psicologico. L’abitudine, quando la morte diventa abitudine. Rigirandomi nel letto, in un crescendo narcisistico: dovesse spararmi? (p. 48)
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