Proprietà Privata
di Julia Deck
Prehistorica Editore, 2025
di Julia Deck
Prehistorica Editore, 2025
Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala
pp. 180
€ 17 (cartaceo)
«Intenzionati a ridurre il nostro impatto ambientale, volevamo una costruzione non energivora, fatta di materiali destinati a durare. Non ci abbiamo messo molto a trovare quello che cercavamo. Ai margini della città stavano progettando diversi ecoquartieri. Dopo una serie di viaggi in taxi, la nostra scelta è ricaduta su un piccolo comune in pieno sviluppo» (p. 15).
Una coppia di professionisti benestanti di circa cinquant'anni si trasferisce dalla città (Parigi) in un'area suburbana, circondati da una ristretta costellazione di vicini di simile estrazione sociale, una sorta di villaggio verde, pulito, e in prospettiva autosufficiente a livello energetico.
Le premesse per una vita tranquilla sono pienamente soddisfatte, tuttavia l'andamento degli eventi prende una direzione diversa, e il luogo selezionato accuratamente per rifugiarsi (da chi? da cosa?) si trasforma repentinamente in un coacervo di intolleranza, malessere, crudeltà. Al punto che il romanzo si apre con le dichiarate intenzioni della coppia di uccidere il gatto dei vicini.
Una voce narrante fastidiosa
Solitamente nella scrittura e caratterizzazione dei personaggi si tende a disegnare le sfumature tra piacevole e spiacevole, attrattivo e respingente. Nel caso di Proprietà Privata Julia Deck consegna l'intera narrazione a Eva, la moglie della coppia; lei scrive al marito, è a lui che racconta il susseguirsi degli eventi dal momento del loro trasferimento, una storia che dovrebbe aver vissuto anche lui. La donna è fredda, distaccata, dissociata, e - probabilmente l'intenzione era creare un punto di vista noir-satirico - ma a mio avviso c'è quasi solo del noir. Eccetto qualche breve intermezzo in cui esplicita tutta la sua sociopatia e la sua totale incapacità di relazione, che colpisce perché si tratta di sentimenti comuni che spesso tendiamo a celare: «In particolare non sopportavo i mercatini. Mi ero sempre tenuta alla larga dal guazzabuglio di oggetti inutili che la gente riversa in strada monopolizzando i marciapiedi con un'allegria indecente» (p. 75), il suo tono mantiene costante quella cifra di scompenso psicotico per tutto il libro.
Più piccolo e protetto è il nucleo sociale di riferimento più alti e profondi sono i rischi
La narrazione della vita lenta, lontana dai centri, in piena armonia con la natura, nel silenzio dei propri pensieri e intrisa dell'umanità dei piccoli borghi rappresenta una narrazione attuale, forse una tendenza di una piccola élite, ma comunque un desiderio che si sta diffondendo. Mollo tutto e apro un chiringuito a Santo Domingo si sta trasformando in mollo tutto e vado a coltivare topinambur in una casa di faggio in campagna. Avete presente il film di Rodrigo Sorogoyen, As Bestas? Anche lì una coppia si insedia in un villaggio rurale (in questo caso preesistente e con dinamiche interne ben consolidate) per dar vita a un agriturismo, prima che questa anelata quiete autarchica prenda le forme della tragedia. Cosa succede quindi quando la migliore delle intenzioni, cioè la pace, si scontra con la più bieca delle realtà, ovvero che da se stessi non si scappa, né al mare, né in campagna, né in pianura, né in montagna? E neanche in un ecoquartiere. Eva non sopporta i rumori, li sente amplificati, è disturbata dagli odori forti, detesta che i suoi vicini, i Lecoq, possano fare dei lavori in giardino, non tollera il disordine nei patii delle abitazioni altrui. «Le sere seguenti abbiamo risentito la loro televisione. Alzavamo il volume per coprirla. Funzionava, ma aspettavo con timore le pause tra un dialogo e l'altro, durante le quali le grasse risate provenienti dalla casa accanto ci ricordavano che non eravamo mai soli» (p. 53). Così Eva e Charles Caradec trascorrevano le loro ore in casa, il marito affetto da una grave depressione socialmente paralizzante, la moglie che sentiva l'intera impalcatura familiare a carico suo, in una dinamica individuale e di coppia asfissiante.
I confini simbolici e quelli materiali
Leggendo Proprietà Privata ci possiamo immaginare una fitta schiera di villette a due piani, tutte uguali, ognuna con un suo giardino, qualcuna con il box auto, poca distanza tra un'abitazione e l'altra, tanta simmetria e cura delle proporzioni. Più volte vengono descritti i muri come eccessivamente sottili, e così la mancata privacy dei dialoghi di ogni famiglia genera un climax di conseguenze. Di contro circa a metà del romanzo possiamo accorgerci di quanto la volontà di possesso rivolta alla cose materiali (la casa, le porte, le finestre, il quartiere) sia lo specchio, la proiezione del bisogno di controllo degli altri, soprattutto dei più vicini, quindi dei più pericolosi. «La libertà ci avrebbe paralizzato se non avessimo saputo che di lì a poco ci saremmo ritrovati come sempre» (p. 47): queste le parole della moglie rivolte al marito, l'unico rapporto che per restare senza confini va protetto e isolato. Prima di leggerlo, pensavo che Proprietà Privata avesse connotati più politici, intesi proprio nel senso di modernità e farsa sociale; sicuramente ce ne sono le tracce, c'è una critica di classe, ma non credo che questo rappresenti la colonna portante del testo.
Prehistorica Editore nella scelta delle opere contribuisce senza dubbio a seminare stimoli per un dibattito di qualità. In Proprietà Privata le costanti dicotomie sporco e pulito, rumoroso e silenzioso, invadente e rispettoso rendono il testo da subito un'esibizione delle ossessioni, soltanto verso la fine però ne viene disvelata la portata, in un finale che non rivelerò piuttosto criptico.
Rossella Lacedra
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