di Reyner Banham (a cura di Guglielmo Bilancioni e Simona Pareschi)
Pendragon, febbraio 2025
€ 40 (cartaceo)
Reyner Banham (1922-1988)
è stato una delle voci più acute e provocatorie nella critica architettonica
del XX secolo. Nel suo saggio Il Nuovo Brutalismo esplora uno dei
movimenti architettonici più controversi e influenti del Novecento. Il testo, che
si apre con l’introduzione di Marco Biraghi, rappresenta una
riflessione approfondita sulle origini, le caratteristiche e le implicazioni
estetiche ed etiche del Brutalismo, fornendo un'analisi critica
dettagliata e supportata da esempi concreti.
Tra i tanti -ismi novecenteschi, uno dei più problematici e contraddittori è rappresentato dal Brutalismo: problematico e contradditorio nei suoi fondamenti quanto strano e imprevedibile nei suoi sviluppi. (p. 11)
Il volume nasce, come
ricorda Banham nella prefazione ai lettori, sotto la spinta di un
seminario condotto ai suoi studenti nel 1963 su richiesta dell’architetto
tedesco Joedicke di realizzare uno studio «sugli aspetti del Brutalismo che
necessitano di una spiegazione storica» (p. 17). Ed è lui stesso a ricordare
che già nel dicembre 1955 scrisse un articolo per la rivista Architectural
Review in cui trattava l’argomento, lui che aveva avuto modo di
conoscere di persona la maggior parte dei Brutalisti britannici.
Il testo si articola attorno alla
definizione del Brutalismo e alla sua evoluzione nel panorama architettonico
del dopoguerra. Banham individua tre principi fondamentali del movimento:
immagine unitaria e memorabile - gli edifici devono avere una forte
identità visiva e rimanere impressi nella memoria; esposizione della
struttura - la costruzione deve esprimere onestà costruttiva, eliminando
ogni elemento decorativo superfluo; valorizzazione dei materiali
grezzi: il cemento a vista (béton brut) e i materiali lasciati
allo stato naturale diventano elementi espressivi fondamentali.
Tra gli esempi architettonici
citati da Banham spiccano l'Hunstanton School nel Norfolk di Alison e
Peter Smithson nel 1954, considerata un manifesto del movimento, e l'Unité
d'Habitation a Marsiglia di Le Corbusier realizzata tra il 1947 e il
1952, che ha contribuito a diffondere l'uso del cemento a vista.
Qualsiasi discussione sul Brutalismo non coglierà nel segno se non tiene conto del Brutalismo di essere oggettivo nei confronti della "realtà": gli obiettivi culturali della società, le sue urgenze, le sue tecniche e così via. Il Brutalismo cerca di affrontare la società della produzione di massa. (p. 70)
Il Brutalismo si diffonde
rapidamente su scala internazionale, assumendo sfumature diverse nei vari
Paesi. In Italia ad esempio il nuovo fenomeno architettonico trova una delle
sue espressioni più interessanti con l’Istituto Marchiondi di Vittoriano
Viganò, che Banham definisce: «una delle più grandi sorprese
dell’architettura europea della fine degli anni Cinquanta» (p. 167).
L’istituto era una struttura educativa destinata alla riabilitazione di giovani
con disturbi psichiatrici per il quale Viganò propose un edificio “forte,
intransigente e non sentimentale”.
Uno degli aspetti più
interessanti del saggio è l'indagine sul rapporto tra estetica ed etica
all'interno del Brutalismo. Banham discute se il movimento sia nato come una
semplice scelta stilistica o come una dichiarazione ideologica in
opposizione alla crescente commercializzazione dell'architettura. Il testo
mette in evidenza come il Brutalismo abbia influenzato profondamente
l'architettura pubblica e istituzionale degli anni '60 e '70, ma anche come sia
stato oggetto di critiche per la sua estetica severa e l'apparente inospitalità
degli spazi. Il libro si chiude con una riflessione sul ruolo
dell’architetto nella società contemporanea.
Non faccio finta di non essere stato sedotto dall’estetica del Brutalismo, ma nella tradizione radicata della sua posizione etica, nel persistere dell’idea che le relazioni tra le parti e i materiali di un edificio siano una moralità operante. (p. 216)
Dal punto di vista metodologico,
Banham adotta un approccio rigoroso, supportato da riferimenti storici e
tecnici, con un importante apparato figurativo comprensivo di sezioni e
piante degli edifici. Il linguaggio, chiaro e strutturato, ricorre a una terminologia specialistica, rendendo il saggio un'opera di
riferimento per studiosi e appassionati di architettura.
Silvia Papa
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