Bompiani, settembre 2024
pp. 322
€ 17,10 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Nadia, piangendo piano, la seguì. A nove anni non hai scelta. (p. 22)
É ancora l'alba di un giorno di fine dicembre quando Rosa trascina sua figlia attraverso un brumoso bosco innevato per raggiungere la baita di barba Tone e restarci per un tempo indefinito. Nadia non conosce lo zio e ignora i motivi di quella fuga improvvisa, seguita a un Natale triste e solitario. Senza poter scegliere, si ritrova immersa nella realtà a lei del tutto estranea in cui è cresciuta sua madre, fatta di una vita essenziale e aspra, segnata da «poco sole e molto freddo» (p. 54). Tra le passeggiate nel bosco e la presenza silenziosa ma affettuosa dello zio, che la chiama rièda e le svela leggende e segreti della montagna, Nadia inizia un lento percorso di scoperta, tra memoria e radici.
È così che viene a conoscenza della leggenda della lepre nera, una creatura immortale e magica che con la sua corsa inarrestabile fa girare la terra e scorrere le stagioni. Anche se Tone afferma di averla incontrata una volta, Nadia sa che le lepri nere non esistono. Si interroga sull’origine di quell’apparizione, cercando risposte tra le pagine della sua raccolta di curiosità sugli animali, l’unico oggetto che sua madre le ha concesso di portare con sé.
Ma accanto a questa dimensione fiabesca, nella bambina si apre uno spazio più intimo e perturbante, segnato da quegli stessi interrogativi che animano la coscienza del lettore e che non troveranno risposta nei libri: dov'è suo padre? Perché quella fuga nel bosco?
Per trovare le risposte che cerca, Nadia si troverà ad avere un confronto diretto con le ferite emotive che segnano il rapporto con la madre. Su Rosa grava infatti un dolore opaco ma persistente: agli occhi della figlia, la madre appare come un'automa, una creatura meccanica dedicata al suo accudimento, ma incapace di trasmettere calore. Che cosa l'ha resa dura e resistente come quegli abeti dagli «anelli chiusi come le scaglie di una gemma, impenetrabili» (p. 54)?
Il romanzo si sviluppa infatti su due piani temporali: il presente di Nadia con una narrazione in terza persona e il passato tormentato di Rosa, narrato in prima persona.
Questi capitoli ci catapultano in una Bologna degli anni '70 giovane e caotica, popolata da «schiere sorridenti di ventenni con gonnellone a fiori, zoccoli e blue jeans, un pacchetto di Marlboro in tasca e un mozzicone in mano» (p. 60): il senso di smarrimento che prova il lettore è lo stesso che prova Rosa quando arriva in città per frequentare l'università e si ritrova di colpo immersa in un mondo assai sconvolgente per una montanara eremita come lei.
Di quando in quando non riuscivo ad accampare una scusa abbastanza valida e finivo per seguire la mia amica in mezzo a party scalcagnati dentro stanze zeppe di fumo e musica, carnai di giovani con la testa piena di sogni e di idee su come dovesse andare il mondo.
Alcuni di loro avevano il Manifesto del Partito Comunista in borsa, altri militavano nelle file del MSI, altri ancora erano stufi di sentir parlare di politica e puntavano soltanto a divertirsi. Da parte mia non sapevo che cosa pensare: la politica non era mai arrivata al mio maso né nel piccolo liceo che per tanti anni era stato l'avamposto della modernità di tutto il mio mondo. (p. 61)
Nata in città, Angela Tognolini ha incontrato la montagna quasi per caso, trasferendosi a Trento per motivi di studio. È lì che l'arrampicata ha acceso in lei una passione inattesa, destinata a lasciare un'impronta profonda anche nella sua scrittura. Ne L’inverno della lepre nera, romanzo d’esordio, la montagna non è infatti semplice sfondo narrativo, ma coprotagonista viva e mutevole: accogliente e ostile, materna e crudele è incarnazione della tensione tra bellezza e pericolo che attraversa l’intero testo.
Tognolini restituisce uno sguardo raro nella letteratura di montagna, dominata da una prospettiva tradizionalmente maschile. Il suo racconto è permeato di sensibilità femminile, articolata attraverso le due protagoniste: Nadia, il cui sguardo curioso esplora e interroga il paesaggio, e Rosa, che ne ha interiorizzato la durezza e ne vive la sfida quotidiana con consapevolezza.
In questo doppio registro si dischiude una riflessione più ampia sul rapporto tra identità e ambiente, su ciò che la montagna rivela e, al tempo stesso, esige da chi la attraversa o la abita.
Con una scrittura asciutta ma densa di significato, Tognolini riesce ad arrivare in profondità con poche parole, scegliendo con cura ogni immagine e ogni silenzio e scivolando con naturalezza tra diversi registri emotivi - dall’inquietudine alla tenerezza, dalla ferita al desiderio di riscatto.
Le descrizioni, mai ridondanti, sono precise e cariche di risonanza emotiva: non descrivono soltanto luoghi o gesti, ma rivelano stati d’animo, relazioni, fratture interiori.
È una prosa che lavora per sottrazione, ma che riesce comunque a essere evocativa, lasciando spazio al lettore per colmare i vuoti e abitare le sfumature.
L’inverno della lepre nera è un romanzo che lascia un’impronta duratura, come quelle leggende che, pur sfiorando il confine dell’incredulità, custodiscono «la voce antica del nostro sangue» (p. 314).
La figura della lepre diventa così emblema di resistenza e cambiamento, ricordandoci che «solo chi muore non può lasciarsi il dolore alle spalle» (p. 314): è nel movimento, nel non arrendersi, che si intravede una possibilità di salvezza, perché anche dopo un trauma è sempre possibile rinascere.
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