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Tra cemento e memoria: il Sud di Holdenaccio in "Senza rabbia non serve nulla"

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Senza rabbia non vale nulla
di Holdenaccio
Bao Publishing, maggio 2025

pp. 224
€ 22,80 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)


Senza rabbia non vale nulla di Holdenaccio, edito da BAO Publishing, è una graphic novel che esplora temi di profonda attualità e rilevanza sociale. Attraverso la storia di Anto, il protagonista che ritorna a Taranto dopo anni trascorsi a Torino, l'autore dipinge un quadro vivido e toccante della lotta per l'appartenenza e la memoria in una città segnata dalla speculazione edilizia e dalla crisi identitaria.

Anto, un giovane tarantino emigrato al nord in cerca di fortuna, decide di tornare nella sua terra d’origine. Ma ad attenderlo non c’è la città che ricordava, bensì una realtà deturpata, dove i ricordi d’infanzia sono stati asfaltati da colate di cemento e cantieri senza anima. Il romanzo grafico si sviluppa alternando flashback e presente, esplorando il conflitto interiore del protagonista, in particolare attraverso il rapporto mai risolto con il padre, un uomo che ha sacrificato sogni e dignità per sopravvivere in una città che, in cambio, non gli ha lasciato nulla, se non fatica e disillusione.

Il cuore pulsante della storia è il senso di sradicamento. Anto è simbolo di una generazione cresciuta tra promesse mancate e illusioni di cambiamento. Molti, come lui, si trovano costretti a lasciare il proprio territorio per trovare altrove ciò che la propria terra non può offrire: lavoro, stabilità, futuro. Ma il ritorno è ancora più doloroso: ritrovare una città profondamente cambiata, svuotata di senso, spinge a chiedersi se esista davvero un posto a cui appartenere, o se siamo condannati a essere in eterno in transito tra un “qui” che non basta e un “altrove” che non accoglie.

Taranto, in questo racconto, non è solo uno sfondo: è protagonista. È una città ferita, sfruttata, dimenticata. Le imprese, spesso guidate da logiche speculative e senza radicamento nel territorio, stanno distruggendo ogni traccia di vita e identità: quartieri rasi al suolo, spazi verdi cancellati, memoria collettiva ridotta a macerie.

Holdenaccio lancia una critica feroce, eppure mai banale, all’urbanizzazione selvaggia e alla devastazione culturale che questa comporta. Il racconto si fa manifesto: senza la rabbia – quella che spinge a ribellarsi, a non cedere, a denunciare – non si cambia nulla. Senza rabbia non vale nulla non è soltanto una graphic novel ben realizzata: è un grido d’allarme, un atto d’amore per una terra che soffre e per una generazione che cerca risposte. È il tentativo di trasformare la frustrazione in resistenza, l’abbandono in presa di coscienza. Holdenaccio, con delicatezza e potenza narrativa, costruisce un’opera che fonde il personale con il collettivo, il ricordo con la perdita. Un libro che tocca corde profonde, soprattutto per chi conosce il dolore del distacco e la fatica di ritornare. Un fumetto necessario, che parla a chiunque si senta in esilio nella propria casa.

Il disegno di Holdenaccio è denso, graffiato, con un uso del bianco e nero che riesce a riflettere le emozioni dei personaggi in modo sottile e potente. I toni candidi dei ricordi si scontrano con i grigi spenti del presente, creando un contrasto visivo che potenzia il messaggio emotivo della storia. Ogni tavola è studiata per comunicare sensazioni oltre le parole: la malinconia dei luoghi abbandonati, la rabbia repressa, la nostalgia e la lotta. 

Il senso di appartenenza è una forma di radicamento invisibile, qualcosa che si intreccia silenziosamente al nostro respiro e ci lega alla terra come le radici a un albero, lo stesso che i tre amici nella storia hanno cercato di conservare gelosamente nella pienata della città. È una nostalgia preventiva, un bisogno primordiale di riconoscerci nei luoghi che ci hanno cresciuti, nei muri che hanno ascoltato i nostri primi silenzi, nei vicoli che ci hanno visti diventare adulti.

Nel racconto di Anto, Taranto non è solo una città: è una ferita aperta. È il luogo in cui la memoria si scontra con l’asfalto, dove l’infanzia viene inghiottita da palazzi senz’anima, costruiti per riempire spazi e svuotare identità. Tornare diventa allora un atto drammatico, quasi rituale: non è un ritorno fisico, ma un tentativo disperato di ritrovare se stessi nei frammenti di ciò che si era, prima che tutto venisse cancellato.


La verità è che si appartiene a un luogo come si appartiene a un sogno: ci si riconosce in esso anche quando cambia, anche quando tradisce. Ma quando quel luogo non offre più ascolto, quando non lascia possibilità di costruire, allora l’appartenenza si trasforma in malinconia feroce, in una rabbia che non distrugge, ma nutre. Una rabbia necessaria, come dice il titolo, perché senza di essa non si resiste, non si rivendica, non si sopravvive.

È in quella rabbia, in quel dissenso profondo e amorevole, che si afferma l’ultima forma di fedeltà al proprio luogo d’origine. Non una fedeltà cieca, ma consapevole, che sa denunciare, piangere e amare allo stesso tempo. Così, la lotta di Anto non è solo una lotta per salvare un campo o un edificio: è il tentativo di salvare ciò che resta del proprio essere, della propria storia, della propria voce.

In Senza rabbia non serve nulla, Holdenaccio ci mostra quanto sia tragico, ma anche vitale, questo legame con l’origine. Taranto – con le sue contraddizioni, i suoi cieli sempre a metà tra la bellezza e la rovina – non è solo uno scenario urbano, ma un'entità viva, quasi mitologica. È una madre stanca, che ha offerto tutto e ricevuto poco. Una città martoriata dalla retorica del progresso, usata e poi lasciata marcire. Eppure, nonostante tutto, amata.

Anto torna per salvare qualcosa che non esiste più. Ma è proprio in quel tentativo, disperato e inutile solo in apparenza, che si rivela la vera appartenenza: non nel possesso, ma nella cura; non nella vittoria, ma nella resistenza. Il ritorno non è mai il ritorno sperato, eppure, nonostante tutto, si resta. Anche da lontano. Si resta con la voce, con il disegno, con la rabbia. Senza rabbia non serve nulla è proprio questo: un atto d’amore in forma di denuncia. Una dichiarazione di guerra poetica contro l’oblio. Un modo per dire che ci siamo ancora, che esistiamo ancora, che Taranto – e tutte le città come lei – meritano di essere ricordate.

Serena Palmese