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Memoria, tempo e vite comuni: "Le dissonanze" di Edith Bruck tra poesia e prosa

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Le dissonanze
di Edith Bruck
Guanda Poesia, marzo 2025 

pp. 59
€ 15 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

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Tutto ho buttato sulla carta
l'infanzia
la famiglia
le passioni acerbe
i sogni a occhi chiusi
gli incubi a occhi aperti
l'indignazione senza fine
le ferite inguaribili
le speranze rinnovate
i dolori conviventi
l'amore infedele
l'intera vita
su fogli a quadrettini
come a scuola
ritrovandomi svuotata. (p. 16)


Il confine tra poesia e prosa è un luogo costantemente visitato da Edith Bruck, un crinale narrativo, uno spazio di esperienza. Autrice di poesie e romanzi, sceneggiatrice, giornalista e traduttrice, nella sua produzione dà corpo alla memoria e alle esistenze - che sono necessariamente plurali - affidando alle parole il compito di rievocare, conservare, trasmettere e mediare. 
Le dissonanze è una raccolta che su questo confine con la prosa si muove avanti e indietro, un "prezioso libro di poesie, nato di giorno in giorno nell'arco di una convalescenza", come scrive Michela Meschini nella prefazione. 
Persone amate e incontrate per caso, il male che accade, le dimensioni del tempo e dell'amore: i testi sono il frutto di quella portentosa «memoria-magazzino» dalla quale Bruck sembra pescare aneddoti, immagini e riflessioni.
Scritta in italiano, lingua adottiva e scelta con consapevolezza umana e letteraria, sorretta da una voce tenace e chiara, questa raccolta è un inno al ricordare e al raccontare.
Gli elementi di dissonanza evocati dal titolo stanno nelle piccole pieghe esistenziali, nelle cose di ogni giorno, nell'intensità degli sguardi e nelle espressioni dei volti. I testi sono accomunati da alcuni temi che sorreggono il libro come travi portanti: le memorie della Shoah e i pesi che l'autrice porta da sopravvissuta, il tempo che passa  cambiando i corpi, le menti e le foglie dei grandi alberi, la vecchiaia e la solitudine, le piccole e grandi crudeltà che le persone compiono, la differenza tra la morte atroce e quella naturale, il consenso e le molestie sessuali (tematica che chiude in modo commovente il volume con una rassegna di vite femminili di ogni età colpite e danneggiate dagli uomini). 
C'è molta infanzia in questi testi, c'è il ricordo di un fratello che si chiude nel silenzio dopo il lager, quello di un padre stanco e dalla tristezza incompresa, quello di una mamma a cui non si è potuto regalare un cappotto caldo, delle scarpe comoda e un ripostiglio pieno di provviste. 
Le ceneri del nazismo ancora ricoprono di atrocità i volti e i pensieri mentre si cantano canzoni e ninne nanne per andare avanti e si prova a digerire «l'indigeribile». I lampi di immagini sono gli stessi a cui Edith Bruck ha dato forma anche nel romanzo Il pane perduto e nei racconti di Andremo in città, testimonianze di come la Shoah resti sempre dentro, strappi a se stessi, si allunghi a gettare un'ombra costante come trauma personale e collettivo. 

Bruck non ha paura di guardare in faccia «il mondo ingiusto» e le tristezze, né di aprire i cassetti scomodi di questa memoria tentacolare. È proprio attraverso il ricordo che si costruiscono i ponti tra le persone, si colmano i vuoti e si trova del calore. Le dissonanze sono quelle che emergono a furia di ricordare e sono il frutto dell'incontro tra passato, presente e futuro come «tempo unico» e nuovo. Un tempo dilatato che ci abbraccia nell'invito a superare l'indifferenza, a rivolgerci parole buone, sguardi di ascolto, timidi tocchi della mano. Le dissonanze di questa raccolta riescono nei loro frammenti a curare un po' la solitudine; la vita annotata su fogli a quadrettini non è certo meno dolorosa ma appare sicuramente più umana. 

Claudia Consoli