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Il cambiamento che porta con sé luci e colori: "La casa sul mare celeste" di T.J. Klune

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La casa sul mare celeste
di T.J. Klune
Mondadori, 2021

Traduzione di Benedetta Gallo

pp. 348
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Audiolibro disponibile su Audible (tempo di ascolto: 14 ore e 40 minuti); legge Guglielmo Scilla.

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Linus Baker è un assistente sociale del Dipartimento della Magia Minorile: puntiglioso e preciso, obbediente al Manuale delle Norme e i Regolamenti che considera quasi una Bibbia, rappresenta l’impiegato perfetto. Anche perché non ha molto altro: vive solo, senza famiglia né amici, con l’unica compagnia della sdegnosa gatta Calliope e dei preziosi album in vinile. È un uomo di mezza età, con una pancetta che non riesce a smaltire, e trova consolazione per un’esistenza mediocre in una routine rassicurante e senza scossoni. Ecco perché arriva come uno shock la missione – speciale e segreta – affidatagli dagli alti vertici del Dipartimento. Dovrà raggiungere l’isola di Marsyas e ispezionare l’orfanotrofio gestito da Arthur Parnassus, figura misteriosa e stravagante dal passato oscuro, per verificare che tutto venga fatto secondo le regole.

Linus è l’incaricato ideale, perché ha già dimostrato in più occasioni di non lasciarsi coinvolgere dai casi, che conduce fino a compimento per poi passare ai successivi. Mai un problema, mai un interrogativo, mai un’incertezza che possa mettere in difficoltà il DiMaM. L’uomo, però, non è affatto pronto a ciò che lo attende sull’isola, e certo non bastano a prepararlo gli esili fascicoli che gli vengono forniti. Ospiti dell’orfanotrofio sono infatti sei “creature magiche” del tutto fuori dalla norma: c’è Talia, che è una piccola gnoma barbuta; Phee, spirito dei boschi in grado di dare la vita a fiori e piante; la viverna Theodore, che custodisce sotto il divano il suo tesoro di monete e bottoni; Chauncey, difficile da definire per le sue forme non antropomorfe e la sua consistenza gelatinosa, ma che sogna di fare il concierge in un grande hotel della città; Sal, un ragazzone che sotto stress si tramuta in un cagnolino bianco, e che scrive testi straordinari chiuso in un armadio per tenere lontana la paura; e infine Lucy, l’anticristo, figlio del demonio, chiamato forse a una sorte di distruzione.

Paralizzato dal terrore per la grandezza e l’imprevedibilità del suo compito, Linus fatica molto a entrare nei ritmi di Marsyas e avviare con i suoi abitanti un vero dialogo. Sarà Arthur che riuscirà, poco alla volta, a spingerlo a realizzare che quelli con cui interagisce, ancor prima che creature dai grandi poteri, sono soprattutto (e prima di tutto) ragazzini, animati da sogni che bisogna coltivare e far crescere; sarà lui a spiegargli l’importanza di non assecondare gli stereotipi legati alle loro differenze, per non alimentare profezie autoavveranti (così è fondamentale, per esempio, che almeno una persona tratti Lucy come un semplice bambino, perché lui stesso non finisca per conformarsi passivamente alla propria natura). Quella che viene insegnata sull’isola – attraverso le lezioni del mattino, i pomeriggi liberi perché ciascuno possa dedicarsi alle proprie passioni, le “avventure” del primo sabato del mese – è una morale della gentilezza opposta alla chiusura e alla violenza. Questa è la posizione che assume anche Linus, che forse per la prima volta nella sua esistenza è costretto a schierarsi: «Andatevene, non vi vogliamo qui», scrivono minacciosamente dalla terraferma; «No, grazie», risponde pacato l’assistente sociale.

Quello dei rapporti con gli “altri”, ovvero con il resto della comunità, è uno dei temi centrali del romanzo. La tentazione di Arthur, educatore attento e sensibile, è infatti quella di proteggere a ogni costo i bambini dalla crudeltà che li circonda. Al tempo stesso, però, Linus – portatore di un sguardo nuovo e diverso – gli fa presenti i rischi dell’isolamento: il senso di protezione è un motivo sufficiente per tenere qualcuno lontano dal mondo? È vita vera quella condotta in un paradiso terrestre, o questo potrebbe alla lunga diventare una gabbia dorata, in cui restare, inconsapevoli della complessità del reale? Non è forse necessario espandere le prospettive dei bambini portandoli fuori dall’isola?
Ciò che è lontano dalla vista rischia di essere lontano dalla mente, spiega la sindaca del villaggio, Helen, quando si trova a faccia a faccia con i piccoli abitanti dell’orfanotrofio in libera uscita. Il modo per combattere ignoranza e fanatismo è trovarsi di fronte alla loro inconsistenza, cioè alla realtà. «Per cambiare la mentalità delle masse bisogna cambiare la mentalità dei singoli», insegna Arthur ai bambini, ma l’operazione non è così facile e le buone intenzioni si scontrano con la mentalità gretta e meschina di chi non vuole che nulla cambi. L’isola deve quindi prepararsi a fronteggiare la rabbia degli uomini, e quella che sembra configurarsi come una vera e propria invasione, una crociata dell’odio. Solo nel momento del confronto con l’esterno è possibile misurare l’entità del cambiamento sopravvenuto nei personaggi: il coraggio di Linus, ma anche la temperanza di Arthur, pronto a mostrarsi nella sua vera essenza, a svelare il suo più intimo segreto, per difendere chi ama.

La casa sul mare celeste prende vita grazie alla lettura dell’eccellente Guglielmo Scilla, capace di dare voce e carattere a ciascuno dei personaggi, ma anche a far percepire l’ironia, e le altre infinite sfumature emotive che fanno vibrare la bella prosa di T.J. Klune, qui alle prese con alcuni dei suoi temi più cari: la lotta al pregiudizio, l’invito all’empatia, il cambiamento che passa attraverso i rapporti di cura, e l’amore, qui interpretato nel senso più vasto possibile (quello romantico tra Linus e Arthur; quello educativo, quasi genitoriale, tra Arthur e i piccoli ospiti della casa; quello amicale, se non fraterno, che i bambini provano gli uni per gli altri). Costretto a fare i conti con una missione “a scadenza”, Linus si troverà costretto a riflettere su cosa l’isola e i suoi abitanti gli hanno donato: innanzitutto i colori, contrapposti al grigio piattume della vita in città, e poi il calore di rapporti sinceri, di uno spazio in cui poter essere finalmente se stessi. 

Questo non è semplicemente un orfanotrofio, è un luogo di guarigione.

La consapevolezza si fa quindi matrice di scelte, per lui, e per tutti i protagonisti di un romanzo che risulta per il lettore accogliente e rigenerante, un’ottima (audio)lettura per i momenti in cui si ci senta un po’ sfiduciati rispetto alla società contemporanea e si desideri un’iniezione di fiducia e positività.   

Carolina Pernigo